venerdì 31 maggio 2013

La leggenda della Stella Alpina.



LA LEGGENDA DELLA STELLA ALPINA.




Nel tempo dei tempi, sulla grande alpe nevosa viveva un montanaro con una figlia di nome Stella.
L’uomo era grande e grosso, la fanciulla piccola e fragile. Il padre era forte e vigoroso, la figlia debole e delicata.
Stella aveva i capelli biondi come l’oro, gli occhi azzurri come i limpidi cieli estivi, la pelle candida come la neve, le labbra pallide come la nebbia.
Il montanaro, accarezzandole la testa, le diceva sempre: “stai attenta, mia adorata stellina!”
Temeva che quel suo fiorellino delicato non resistesse al terribile e spietato freddo della montagna.
E così fu. Un brutto giorno, rincasando dopo una durissima giornata a spaccare legna nei boschi, l’uomo trovò Stella con le gote accese di un malsano fuoco.
Dopo tre lunghissimo giorni di agonia, la piccola bambina volò in cielo.
Da allora, ogni notte, il montanaro prese ad uscire di casa per recarsi in cimaal monte e, guardando la volta celeste, con gli occhi pieni di lascrime e il cuore straziato dal dolore, era solito ripetere: “Stellina! Stellina!”
Chiamava e piangeva.
Una notte, le sue amare lacrime, cadendo, imprimessero la forma di una stella sulla neve.
La mattina seguente, in quello stesso luogo, gli altri alpigiani trovarono sbocciati strani fiori mai visti. Sembravano fatti di neve ed avevano la forma di stella. Erano le stelle alpine, fiorite in ricordo della bimba del montanaro.


La scienza la descrive così: il leontopodium  è un genere di piante erbacee appartenente alla famiglia delle Asteraceae o Compositae.


Perchè 'zampa di leone' dalla forma dei capolini fiorali e non 'lacrime di padre'?







giovedì 30 maggio 2013

L'individualismo si può considerare una forma di compiacimento indebito del propio io, una adulazione del sè, a discapito dei doveri verso la propria civiltà e comunità, che non sono mai dei fatti individuali. La leva per scalzare la stabilità tradizionale che conteneva la corrosiva e progressiva crescita dei campi dell'individuale si mostra essere l'esaltazione dei diritti e la comoda denigrazione, o anche il semplice sottacere, dei doveri.
Il culto dell'espressione

"La catastrofe".

LA CATASTROFE.

"Oggi è il giorno 25 dicembre dell'anno 2002 dell'Era Giudeo-Cristiana. I cattolici celebrano la nascita del Bambino-Dio che chiamano esù e che sarà poi il 'Kristo'. Per quasi venti secoli ciò è stato imposto, è stato sostenuto, è stato creduto. Per quelli che nacquero e vissero in questa credenza sembrerebbe impossibile pensare che non fu certo, che nulla di tutto questo accade, che quell'edificio-tempio millenario si costruì sopra una menzogna accuratamente elaborata nei suoi inizi e poi modificata e proiettata per mezzo dell'Archetipo.
Ed è precisamente ora, dopo duemila anni dall'aver imposto al mondo ariano d'Occidente il più terribile senso di colpa per l'assassinio di un 'Uomo-Dio' e, nel suo nome, aver distrutto antiche culture e civiltà pagane, qui in America e in tutto il mondo."
M. Serrano , Il figlio del vedovo, Mlano 2005, pag. 11.



L'idea della "Catastrofe" risulta difficilmente comprensibile, un'idea che dà le vertigini. Un effetto inscindibile dalle acquisizioni in cui siamo stati cresciuti, 'educati'. La stessa sensazione di capogiro che si prova alle prime letture di René Guénon, definito da qualcuno un nazista senza Panzer. A tal punto porta il rischio di rigetto delle proprie convinzioni inculcate in noi fin dall'infanzia, la vertigine provocata dalla sola idea di dover procedere ad una eventuale revisione, come ad esempio quella del progresso continuo e lineare, di tutte le idee incentrate sulla speciale superiorità autoriconosciutasi dall'Occidente su tutte le altre civiltà, verso le quali ancora oggi cerca di imporre le sue vedute, ed ancora oggi, mentre scriviamo, cerca di annientare nel momento in cui si confermano nella loro diversità.

Occorre affrontare con spirito di coraggio la vertigine, quella della 'Catastrofe'. Non cedere alla nausea e al malessere che provoca. Una vera e propria prova di coraggio iniziatico che occorre affrontare. Solo a questa condizione si dischiuderanno i tesori inestimabili racchiudsi nella scrigno della Tradizione.








martedì 21 maggio 2013

Le mie prigioni.

Nietzsche disprezzò i giornali quotidiani, la cultura di un giorno, effimera per definizione, destinata all'oblio. Ci si abbandona alla corrente  vorticosa del fiume. L'oppiaceo oblio. Anzichè cercare il punto fermo. La fune cui aggrapparsi per portarsi al sicuro, è la stessa corda cui ci si appicca.


I classici, le opere senza tempo di qualsiasi natura sono abbandonate a favore dell'effimero. Perfino la Chiesa abbandona il latino, che un tempo univa l'Europa, non l'euro e la finanza usuraria mondiale di oggi.
Figuriamoci cosa avrebbe detto della televisione e anche di internet. 
 Siamo finiti, se non evadiamo da queste prigioni!

mercoledì 15 maggio 2013

Il Gulag del debito e le sue catene.

"Erriamo non perché la verità sia difficile da vedere. Essa è visibile al colpo d’occhio. Erriamo perché la bugia è più confortevole". (Alexander Solzhenitsyn).
 
Avete notato la solerzia e la concordia all'unisono con cui i partiti dell'establishment PD+PDL hanno modificato la costituzione pur di incorporarvi il 'fiscal pakt', cioè una versione moderna dell'antica 'schiavitù perdebiti'? Per ogni altro motivo la modifica della Costituzione avrebbe comportato procedure faragginose, a dir poco. In questo caso sono stati rapidi, uniti e discreti. 
Le 'soluzioni'  scorciatoie purtroppo non sono praticabili; quelle proposte dalla politica, dibattiti televisivi e congressi e raduni partitici men che meno.
 Esiste tuttavia la strada per uscirne: si comincia col chiedere l'uscita dall'euro, dai suoi debiti elargita a coditte operazioni 'salva-Paesi', che creano catene che si vorrebbero indistruttibili con interessi inestinguibili, lmeno entrola logica del pagatore fedele,  scontro con FMI e BCE, libertà monetaria, una politica sovranista vera poi che fa tremare le vene ai polsi, ma da farsi. Ripudiare, o il semplice progetto di ridiscuterne le modalità, il ricatto del debito implica il problema di ricollocarsi nell'ambito delle strategie politiche internazionali. Lasciare i vecchi 'Alleati' - e quindi addio alle servitù militari del tipo 'Sigonella' - per crearci nuove alleanze indipendenti (Cina, Iran, Venezuela, Islanda, Russia, PIGS, ecc). Perchè la 'benzina al distributore' la devi avere. E commercio estero pure.
Occorre preparare il terreno per una nuova cultura politica identitaria nazionale comunitarista o sociale e superare tanti individualismi che ci sono stat imposti in questi decenni per comandarci meglio. Ruralismo e corporativismo, difesa nazionale, rilancio della committenza pubblica (non assistenzialismo ma operosa, per il bene comune). 
Ed infine essere ottimisti, non cedere alla disperazione per nessun motivo, e lottare, credere, organizzarci, impegnarci contro il nemico numero uno la finanza internazionale e i monopolisti dei mercati delle materie prime, denaro compreso. La disperazione, come l'individualismo è frutto di una cultura che si è arresa, che ritiene non ne valga più la pena di opporsi, l'ineluttabilità dell'economia, del progresso, dei ricatti moralistici sull'indebitato, de-virilizzato, de-moralizzato, ludopatico, drogato da vari sistemi messi in campo.
 
Questa arida materia da prigionia, da gulag, da sindrone di imprigionamento rassegnato, visto con il più totle distacco dagli avvenimenti decisi altrove. Il sovranismo implica una forte decisione, incurante delle ritualità democratiche, boniste,  diritti umani, promiscuità multietniche, spacciate per opportunità, e formalismi paralizzanti, implica una disciplina viva di lotta, un kaempfende Wissenschaft, 'scienza, cultura e spirito in lotta'.
 
 
 
 

 

mercoledì 8 maggio 2013

Nobiltà e aristocrazia.



"E' universalmente riconosciuto che il benessere ed il progresso, sia fisico che morale, di un popolo sono intimamente legati alla saldezza della sua nobiltà. Un'aristocrazia sana è in grado di condurre un popolo al più alto fiorire dello Stato e dei costumi, ma l'avvenire di un popolo è condannato dal momento in cui si trova nelle mani di una classe dirigente agonizzante, a meno che questo popolo non riesca in tempo utile a trovare in se stesso un nuovo ceppo di dirigenti."



Nobiltà salda e aristocrazia sana vengono coltivate nelle "famiglie di valore riconosciuto, senza alcun privilegio particolare che le differenzi dalle altre famiglie della comunità popolare" (W. Darré, La nuova Nobiltà..., Milano 2010, p. 23 e 25).

In sintesi, questa sembra la ragione, materiale e morale, per cui la famiglia è sotto attacco da decenni da parte di coloro che da tale attività traggono profitto.

Il primo passo? Liberarci dal condizionamento di mentalità che i concetti di 'nobiltà' ed 'aristocrazia' abbiano a che vedere, se non per ragioni fortuite, con ragioni di censo, di classe o privilegi. Aggredire cioè quel risentimento tanto profondamento radicato nell'invidia coltivata delle rivalità intrasociale, tutto ciò che impedisce di pensarsi come comunità.