martedì 12 novembre 2019

La seconda vita della cartolina dai saluti al gadget pubblicitario


Nata nel 1865, fece scandalo: messaggi privati finivano sotto gli occhi di tutti
di CARLOTTA MISMETTI CAPUA

Una cartolina del '43

ROMA - L'anno è il 1865, la città Karlsruhe. Un funzionario prussiano propone un'idea marketing: si chiama "Offenes Postblatt", in pratica un cartoncino color avorio formato 85x122 mm, preaffrancato e da spedire senza busta a tariffa ridotta. Lo scopo? Aumentare il traffico postale e semplificare i commerci. Fu un successo (1,4 milioni di esemplari venduti nel primo mese) eppure questa sottilissima idea di carta, che oggi chiamiamo cartolina, venne ben presto scartata: fu considerato sconveniente, quasi immorale, che comunicazioni private viaggiassero sotto gli occhi di tutti.

Oggi che gran parte delle nostre cose sono sotto gli occhi di tutti, il cartoncino 85x122 vive una seconda vita. Surclassate dalle mail, travolte dai cellulari, definitivamente sconfitte da francobolli sempre più cari, oggi le rivoluzionarie "Offenes Postblatt" non se la passano male, semplicemente se la passano altrove. Languono nelle sempre più rare cassette postali ma si vendono su e-Bay; scarseggiano dai tabaccai ma prosperano nelle librerie; sono dimenticate dagli amici ma usate dai pubblicitari; scomparse come genere della corrispondenza amorosa ma rinate come oggetto artistico (impazzano i concorsi di Mail Art, esperienza di arte comportamentale nata su ispirazione del gruppo Fluxus negli anni '60).

Ma soprattutto le vecchie cartoline si sono trasformate in promocard, trovandosi più che a loro agio nei localini alla moda, tra un Brunello di montalcino e un flyer: un vero fenomeno, considerato che lo scorso anno ne sono state distribuite oltre 100 milioni. "In realtà la cartolina pubblicitaria è il secondo media più antico dopo il manifesto pubblicitario apparso in Francia verso il 1870. La bisnonna della promocard nacque 10 anni dopo e all'inizio era diretta ai pochi che si potevano permettere le stazioni termali" racconta Gianni Berti, che delle promocard è l'ideatore.

Mutuate dalla Francia, Berti le portò in Italia negli anni '90, indirizzandole prima verso i locali happy hour e infine negli art-hotel. Oggi esistono 500 aziende specializzate nel mondo. "La vecchia idea della cartolina commerciale, immessa in un luogo nuovo, ha attirato un pubblico diverso e sviluppato nuove creatività. Oggi contiamo circa 4500 location. Le grandi aziende come Pirelli, Bugatti, Pelikan, Vespa e Campari, nel corso della loro storia avevano prodotto cartoline con grandissime firme, ma da 20 anni ormai non ne facevano più. La nostra è stata una vera rivoluzione mediatica: è la pubblicità presa per libera scelta, quindi consapevolmente" conclude Berti.

Una consapevolezza che frutta. La Vodka Absolu, che aveva sul mercato italiano un budget risibile, dieci anni fa si inventò una campagna appositamente pensata per la cartolina. Oggi, in cartoline, investe il 40% del suo budget.

Un altro grande classico sono ormai anche le cartoline dell'Unicef: 3,9 miliardi vendute in tutto il mondo dal 1949 ad oggi. E mentre sulla rete esistono siti specializzati, in occasione delle più svariate ricorrenze rimbalzano come se niente fosse i sempreverdi auguri cartolinari. E poi ci sono i collezionisti - oltre 30 mila in Italia - gente capace di avere in casa 200 mila cartoline e tutte delle stesso soggetto, che siano parate militari o maiali poco importa. "Ognuno di noi ha una busta a suo nome dai commercianti che raccolgono le cartoline tema per tema. Il commerciante di fiducia quando ha due etti di maiali o tre etti di parate te li spedisce" spiega Enrico Sturani, collezionista.

Eppure, nonostante tutto questo, la cartolina è una "sopravvissuta", così dicono gli esperti. Perlomeno da quando, nel 1995, le Poste Italiane eliminarono l'affrancatura a tariffa ridotta di cui godeva da 121 anni, rendendola meno speciale e praticamente uguale ad una lettera. La decisione, giunta ora, di affrancare qualunque lettera o cartolina con il timbro di "posta prioritaria" non fa che sancire un percorso già segnato. Peccato. Perché la cartolina è simpatica, non impegna, viaggia leggera e quando arriva arriva allegra.


(21 maggio 2006)


giovedì 30 agosto 2018

Il mistero dell'abete.

Non so come accada - e che senso ha chiederselo fino al tedio di sè e degli altri?  interrogarsi sul fascino del pino? pino o abete qui sonointercambiabili - ma si sente, dopo una convivenza nella solitudine dove le grandi voci scendono a confronto, finalmente, nel silenzio dei monti, quando gli uomini tornano alle loro occupazioni. E noi restiamo soli. Dopo essersi scrutati, dopo aver vissuto insieme ne tempo due esseri. Un rapporto intenso. Si avverte non ci si parla. Il mondo parla tanto, troppo e non dice che di rimpianti e illusioni. Meglio ritenere le parole per le grandi occasioni, cosi diventano poesia, canto. Parole ad alto peso specifico.

Ecco ad un certo punto ho avvertito la stranezza dell'abete. Una stranezza che non si nota perchè e fin troppo evidente. Ma questo albero è diritto, s'alza al cielo sempre diritto, o quasi sempre. Ha naturalmente un portamento metafisico.

Ortogonale è virile. Rettitudine che non può sfuggire a se stessa. Elevatezza come aspirazione, come tendenza alla fruizione celeste. Puntatore che indica il cielo, la meta elevata.

Accostatelo ad un noce o un frassino, un acero o un ontano, una betulla o un faggio, vive di una linearità ascendente unica,  netta e pulita, sconosciuta agli altri tragici alberi che si dibattono laceri tra terra e cielo. Annaspano e soffrono a mezz'aria, l'abete no. 

Mi par strano che le cose siano cosi facili. La sua via non può essere quell'idillio. A volte le punte si sdoppiano. La crescita si arresta. Il radioso cammino segno nervosamente il passo. Nascono incertezze sul dove andare, il percorso, l'esistenza attraversa il dolore di una lotta interiore. Allora a goderne maggiormente sono i fianchi, i rami laterali e più bassi. La sua chioma si fa più  tonda senza però mai tradire la gerachia del concetto che in alto parrivano sempre in pochi. E meno male che è così. Questa piccola e semplice imperfezione lo umanizza, più facile ora riporre fiducia in un fratello che ci assomiglia. 

A volte intervengo, ed elimino la competizione, la guerra fratricida cosi speso inevitabile. Taglio. Lascio quello più centrale, che a volte è anche il più robusto, e non passa molto tempo che mi dà una risposta collaborativa, di gioia per essere andato oltre l'ostacolo. A me resta il dubbio se ho fatto bene, dopo tutto ho dovuto recidere, asportare linfa, profumi resinosi che col tempo seccheranno al suolo. Ma soprattutto, la grande questione rimane, sotto le ceneri, per quale processo si è addivenuti che i rami apicali, l'aristocrazia, anzichè collaborare tra loro a lode dall'Ordine, hanno sviluppato una inimicizia intestina cosi collerica e distrutiva, perchè si distrugge? Forse perchè si ricrei, ma intanto vi è di mezzo la qualità della coesistenza. E si elude: ma quanto sono profonde le radici del bene e del male?
 
Anche nel nostro destino di popolo vi è stata recente una guerra fratricida, cruenta e crudele. Lascia ferite quasi inguaribili, quando va bene cicatrici, memento di sofferto ritorno. Impariamo almeno a conviverci, almeno inizialmente. Ma quando verrà la cesoia del Giardiniere demiurgo a liberarci dai legacci che imprigionano il nostro edificio, e ripreneremo la nostra vocata salita verso l'alto?
Ecco la dualità far capolino, e decisa si impone: o cresci snello e deciso a grandi passi, ma con quali fragilità? oppure la tencia con cui combatti ti rafforza, ma al prezzo di attardarti sul tuo limitato tempo del nostro cammino.


venerdì 17 agosto 2018



Il Tempo del Sogno  dreaming può aspettare.
(I)

Non è un tema per specialisti. Potrebbe sembrare, ma non è così. Non del tutto. Oramai se ne parla anche nel mondo anglosassone, Siamo nei primi anni del terzo millennio. Oltre due secoli, due e mezzo, sono passati da quando dei bianchi, come predoni famelici cominciarono a ronzare intorno alla sua preda australe. Qualche saggio di approdo. Il magnifico Cook, Botany Bay, Oyster Cove. Un giro intorno, per vedere quanto fosse grande. Dal circumnavitore M. Flinders vennero a conoscenza che la preda era ghiotta, e molto: una enorme isola-continente. Una preda del calibro di oltre 7,5 milioni di km quadrati. Compagnie delle Indie Orientali e teste coronate d' Europa con maniere ineffabili si accostano al sontuoso desco. Un saccheggio da corsari in grande stile. Ma la storia non è nuova e unica.
Niente affatto nuova. Certo il Nuovo Mondo. Ma non solo. Chi non ricorda "un popolo senza terra e una terra senza popolo", con il valore aggiunto di portarvi la democrazia in Palestina? Volete mettere boschi sterminati, prati. Dov'era deserto, inch'allah se dio vuole, ora sorgono  oliveti e frutteti (e bombe atomiche in abbondanza). Città industriali con tante fabbriche, condizioni civili e una frizzante vita moderna, non ne valeva forse la pena? Ma perchè le genti indigene non erano civili?
No. Decisamente non erano ritenute tali. Il darwiniano impero britannico, le sue università, facoltà scientifiche e umanistiche congiunte, e la intellighentzia accademica e no molto seriamente si misuravano si questioni fondamentali del tipo: a chi spetta la palma del ruolo di "anello mancante"? Senza contare poi che ci sono tanti gradini, si pensi solo all'India, il più prezioso diadema della Corona, meritevole di canini molto sviluppati per poterlo apprezzare appieno. Si sprecano gli "stadi" prima di somigliare all'englishman vittoriano e oltre. Ma anche europeo più in generale.
Ma non tutti hanno la fortuna dei palestinesi o anche degli irlandesi da venir del tutto ignorati, cancellati, inesistenti. Può capitare di peggio. Non sempre si passa inosservati, il che è anche peggio, può capitare di essere stimati parenti prossimi dei primati, gli animali che più assomigliano all'uomo. La tua lingua considerata un abbozzo di balbettio, la tua famiglia un' "orda", il tuo pensiero una contraddizione in termini, pre-logico, magico, alla Lévi-Bruhl. Gli oggetti più sacri ti sono tolti per essere spediti nei musei di tutto il mondo civilizzato. Le danze, le musiche e le arti che tanto ti emozionano e ti rendono la vita un'avventura degna di essere vissuta vengono filmate, registrate, fotografate e conservate "before it is too late".  Del resto se pensi che i bambini li portano gli spirit-child, praticamente equivalente della cicogna, con tanto di certificazione psicoanalitica - si perchè nel frattempo a Darwin si sono aggiunti Durkheim e Freud - cosa vuoi pretendere? Come dimenticare il profondissimo Bettelheim delle "ferite simboliche" o il super-ortodosso freudiano Roheim? E l'orco che porta via i bambini, lavoro da zingari, si materializza, fu pratica politica radicale e di un cinismo assoluto messa in atto dai governi per porre fine al "problema" dei nativi.
Una storia penosa e lunga. L'unica che valga la pena di essere raccontata ai surfisti del Reef o alle amabili anime sensibili del bird-  o del whale-watching in vacanza coi benefits coloniali. Causa sterminio buffalo-wachting  e simili, ci spiace, rimandiamo al prossimo ciclo cosmico.
Ed ora, si dia fiato alle trombe, si scopre finalmente, ma non senza polemica da parte degli esponenti  establishment intellettuali, che pare..., forse "British ...had invested... in an ideology of racial superiority" (A.Kenny, 2005). Peccato che nel frattempo l'Empire si sia metamorfosato nel Commonwealth, l'indicibile ricchezza comune, la "festa del ringraziamento", perchè, infondo, tutti siamo dei nativi.



domenica 19 giugno 2016

Il comignolo

C'è un comignolo davanti a casa, è nero pece senza il cappello.

Si il cappello lo ha perso un po' di anni fa, un temporale scortese glielo ha soffiato via ma lui incurante ha continuato a fumare.
Giorno dopo giorno, estate ed inverno, mattina e sera.

Era un modo silenzioso come colui che lo accendeva per dire: io ci sono, parlo poco ma ci sono.

Anche in piena estate quel camino fumava, da quando ero piccolo. Una specie di punto fermo sullo sfondo della quotidianità che batteva il tempo imperturbabile.

Credevo di alzarmi presto al mattino per andare al lavoro ma lui fumava già, quasi a ricordarmi di non essere un eroe, erano anni che si svegliava prima di me.

Il camino aveva un'amica che lo veniva a trovare la sera. Era la lucina della finestra di sotto, timida, pallida ma fedele.

I due si conoscevano da anni, legati da un destino comune: il Nino.
Lo so, non si mette l'articolo davanti ai nomi propri ma lui non è Nino ma il Nino.

Ad essere precisi era soprannominato Nino Cicolata perché da piccolo chiedeva in continuazione la cioccolata.

Un tipo taciturno lui, stecchino in bocca, barba incolta e camicia a quadri, solitario come un orso.
Ha trascorso tutta la sua vita tra queste montagne, non ha mai avuto una macchina o un telefono.
Niente computer, niente di niente. La sua stufa, le sue birre e la sua cioccolata.

Passeggiava per i boschi lasciando poco educatamente bottiglie vuote ovunque ma era parte di lui.
Quando ero in giro per i boschi da ragazzino a furia di esplorare a volte mi perdevo ma se vedevo una delle sue bottiglie sapevo di non essere lontano da casa.

Andava spesso fino a Biella a fare un giro. A piedi da Rialmosso alla Balma per prendere l'autobus.
Quindici minuti di mulattiera, niente di che fino a quando sei giovane.

L'avrà fatta centinaia, migliaia di volte, fino all'ultima.
E' caduto e ha passato la notte al freddo, nel bosco. No, non è come pensate ce l'ha fatta, sta abbastanza bene, sono i suoi boschi, le sue montagne, ma l'hanno messo in una casa di riposo.

Adesso mattino e sera il camino non fuma più e la lucina è sempre spenta. Probabilmente è giusto così, ma se lo conosco, fiero come un milite ignoto, felice di aver vinto la sua ultima battaglia e nostalgico dei suoi monti non troverà più il senso della sua esistenza.

Grazie Nino, guardiano del faro ormai spento.


sabato 30 novembre 2013

Weimar chiama Roma: immoralità, il nuovo che avanza.

Nel 1931, più del 60 % dei film tedeschi erano prodotti da ebrei e l' 82% delle sceneggiature erano scritte da autore ebrei, nonostante gli ebrei fossero meno dell' 1% della popolazione tedesca (0.90%).

L'intera vita era ridotta ad un comune denominatore di lussuria e del suo soddisfacimento. Castità e autodisciplina venivano schernite come pregiudizi d'altri tempi.

Lo storico inglese Sir Arthur Bryant descrive folle di prostitute bambine fuori dalle porte dei grandi hotel e ristoranti di Berlino.



Arrivando a Berlino negli anni della crisi iperinflazionistica (1923), Klaus Mann — figlio del grande romanziere Thomas Mann — ricordava en passant un gruppo di dominatrici:
Alcune di loro assomigliavano a feroci Amazzoni, sfoggiavano alti stivali di pelle verde luccicante. Una di loro brandiva una canna flessibile e mi guardava in modo lascivo appena passatole accanto. "Buona sera, Madam", dissi. Lei mi sussurrò all'orecchio: "Vuoi essere il mio schiavo? Costa solo sei miliardi di marchi e una sigaretta."
Georg Grosz, Before Sunrise. Prostitutes and their clients in the red-light district… this is how they actually dressed and paraded themselves in the garish, lamp-lit streets.
                                                                                                                                          
                                          
Un gruppo di quattordicenni ragazze russe, in fuga dal terrore rosso della macelleria comunista di Stalin, si industriava a mettere in piedi un'attività lucrativa per vivere a Berlino come dominatrici. Le giovani ragazze erano liberamente disponibili per sesso non solo in bordelli riservati a minori e in farmacie, ma anche richieste per telefono e consegnate ai clienti via taxi, come il cibo da asporto. Particolarmente bizzarre erano le coppie madre-figlia che insieme mettevano a disposizione dei clienti la loro arte.

"Bar, parchi di divertimento,bettole spuntavano come funghi. Lungo l'intera Kurfuerstendamm, uomini incipriati e con rossetto passeggiavano, e non tutti erano professionisti. Qualsiasi  ragazzo liceale voleva guadagnarsi del denaro. In oscuri locali dotati di stanzini con letti, si potevano vedere funzionari e uomini del mondo della finanza corteggiare teneramente marinai ubriachi, senza il minimo senso di vergogna. Neppure la Roma degli Svetonii  aveva visto simili orge come quelle pervertite in certe zone di Berlino, dove centinaia di uomini abbigliati da donne e centinaia di donne in guisa di uomini danzavano sotto gli occhi benevolenti della polizia. Nel collasso di tutti i valori, un genere di follia s impossessava di tutti. Giovani ragazze orgogliosamente si vantavano della loro perversione; essere sedicenni e ancora sotto sospetto di verginità sarebbe stata intesa come una disgrazia." 
Parole di Stephan Zweig, scrittore ebreo dell'epoca, appassionato di "sovversione dei sensi", addentro ai meandri dell'omosessualità, della sessuologia e al dilagante volto scientifico della distruzione di moralità e del pudore dopo le scaturigini dell'inconscio affiorati nello studio di Sigmund Freud, suo correligionario.


Luigi Barzini, nel suo  "Gli europei", descrive i saturnalia degli squallidi e intriganti bordelli di sesso pazzo della Berlino degli anni '20: 
"Ho visto magnaccia offrire cose di ogni genere a chiunque: giovani ragazzi, giovani ragazze, giovanotti robusti, donne libidinose, animali. All'apice del parossismo dell'eccitazione, del più voluttuoso brivido del troncare al collo un'anatra maschio, era permesso godere della sodomia, del bestialismo, dell'omosessualità, necrofilia e sadismo, tutt'insieme. E pure della gastronomia, nel senso che poi l'anatra si poteva pure mangiare."

Malinconicamente, ma con qualche timido ardimento nostalgico, Klaus Mann ebbe a commentare: "Eravamo tenuti per aver un esercito di prim'ordine. Ora abbiamo perversioni di prim'ordine!"


Se trovaste delle similitudini o riferimenti con le depravazioni morali o personaggi reali da Basso Impero o da Roma del giorno d'oggi, ebbene esse sono puramente volute.

Permettetemi ci concludere con una fulminante citazione di Romano Amerio, dal suo Iota Unum. Un baleno rischiarante nel pensiero offuscato dal mutiloquio babelico, che spiega molto di questo percorso nel fondo dell'abisso, andato accelerando dal libertinismo dei cosiddetti Lumi del Settecento al caos moderno da far invidia alle bibliche Sodoma e Gomorra, la demo-pornocrazia di massa dedita alle schiavitù tramite monitors. Tacitino i censori dell'anticensura, gli antiomofobi e i militanti del femminicidio, i facitori della psicopolizia del controllo globale: "Il pudore è un fenomeno che tocca la base metafisica dell'uomo." (§ 97).

Allora s'impone ulteriore la domanda: Chi ci vuole sottomessi alla somatolatria?







Rif.:
http://www.controversyofzion.info/deutschland_und_die_judenfrage.htm
http://www.darkmoon.me/2013/the-sexual-decadence-of-weimar-germany-by-lasha-darkmoon/

lunedì 25 novembre 2013

Immobile

Tutto appare immobile. Come ogni anno è arrivata la neve, copiosa e inaspettata ha ricoperto ogni cosa. E' come la consegna del compito in classe, quel che fatto è fatto, non importa se hai finito o no, il tempo è scaduto e ormai si ricomincia il prossimo anno. Il silenzio mi avvolge, il vento taglia la pelle della mia faccia e mentre osservo le stelle accendersi in cielo, una dopo l'altra, il termometro scende sotto zero.
Forse è tempo di bilanci, forse i trenta si avvicinano e penso a quante cose sono cambiate e quante no.
Quando ero piccolo sognavo di poter avere un lavoro che mi permettesse di poter vivere qui, si proprio qui dove la crisi era iniziata ben prima del 2008.

Se mi guardo alle spalle sono riuscito a conquistare il mio sogno, oggi grazie ai miei sforzi, alla mia determinazione,posso accendere il computer e lavorare dove voglio, mi sono slegato da muri, uffici, certezze e all'insegna dell'incertezza ho realizzato quello che sognavo.
Eppure non sono felice. Perché?
Perché il mio sogno è in Italia. Un paese dove i sogni non possono che infrangersi. Io quel che potevo fare l'ho pensato e l'ho fatto, ma per colpa di una massa di ladri e strozzini, il mio sogno è un'amara utopia realizzata.
Ora che ci sono, ora che potrei, ho solo voglia di andare via. Andare via da questo mondo in cui non c'è posto per gli onesti, i precisi, i puntuali.
La parola data conta eccome. Conta come i nostri stipendi, i nostri guadagni. Nulla.
Sono stufo di aspettare i "prego" dopo il mio grazie e di pregare perché arrivi un "grazie".
Posso pensare di vivere in un paese dove i soldi dei terremotati vanno alle fondazioni bancarie? Un Paese in cui i miei figli non avranno più scuole, ma forse io dei figli non potrò mai averli, o forse si e li manderò a chiedere l'elemosina. Gli insegnerò a rubare, a farsi arrestare, per poi avere la certezza di un programma di reinserimento che gli procuri un lavoro.
Questo non è il mio mondo, fatto di arroganza e di soprusi, di ingiustizie e di disumanità.

Evviva le bestie.

30 anni passati a provare a cambiare le cose, forse ce la potrei fare ma l'inerzia è troppa, a questa velocità, ai primi barlumi di speranza, sarò già morto.

Un caro amico mi ha detto di prendere esempio dall'ingegner Vichi, patron di Mivar.
"Una vecchia quercia", spende un milione di euro all'anno per mantenere in vita la sua azienda e non farla crollare sotto i colpi di questa crisi. Sostiene sia giusto ridare ciò che ha avuto in altri tempi.

A lui va la stima più profonda, ma noi trentenni che cosa abbiamo da restituire, lui ha ricevuto l'acqua e il sole necessari per diventare una grande quercia, ma noi in questo sottobosco buio non abbiamo nulla da restituire e a stare qui mi sa tanto... che si rischi di morire come fili d'erba che si erigono moralmente a vecchie querce.

Vorrei dare tanto e a tutti, ma tra poco avrò finito tutto quello che avevo da spartire e se non si cambia sarò sempre e solo un filo d'erba seccato in questa buia palude.

Forse a guardar bene l'unica cosa immobile è il mio Paese, la mia Patria per cui dieci anni fa sarei stato anche disposto a sacrificare il bene supremo.

Sotto la neve in fondo qualcosa si muove, qui no.

giovedì 21 novembre 2013

La prima neve.

Amo il bosco che mi ha fornito la legna con cui mi scaldo...Amo la neve che mi fornisce il freddo, il silenzio, l'isolamento, la meditazione, mi restituisce l'essenzialità nascosta tra i seni solitari delle montagne e la vuota vanità di cui il volgo si pasce, e torna misero all'ovile ben satollo di vento.

Nel manto bianco mi riscaldo il cuore e lo sogno soffice e di gran spessore, mi protegge come l'abbraccio stretto di mia madre.
La neve distrugge il tempo nel mio cuore di bambino. Gli animali sono dentro casa, stanotte lo spettro del gelo si aggirerà come tormenta intorno a noi. Ma lassù tra i monti, in mezzo ai boschi, una lucina rimarrà accesa nella buia notte. 
Le mie capre, lontane ormai - la crudele età mi ha suggerito di separarmene - sento il loro ventre come quando erano ancora mie, vicine al mio cuore, nella stalla. Dentro, caldo e umido, un grande miracolo della vita si rinnova, lievita. Sento i loro odori, il loro sguardi, la loro maternità che mi coinvolgeva. Mi eleggeva a loro complice. La rudezza del becco, ormai placata, si trasmuta in  quella sua folta e superba barba nera. Ed ai miei occhi sale il pianto commosso. Abbraccio, nel sogno, tutti i Fratelli nel Pellegrinaggio che nella vita non ho.
Puntuale è giunta la neve, era attesa come un'antica amica di sui si attende la visita. Disseta le radici degli alberi, dei pini, abeti e larici che passano da noi il loro primo inverno. Chissà se nei loro cuori trepida la promessa della primavera? La vitale attesa radiosa di crescita che il bitume urbano soffoca nei petti avvizziti, nei termitai e nelle periferie mute e tristi.