Schiacciati e sopraffatti dalle vagonate di sterco riversate dal mezzo televisivo, riguardo a fatti di cronaca la cui violenza efferata viene minuziosamente analizzata e indecentemente presentata ad un pubblico sempre più avido di particolari morbosi e aspetti torbidi, si rischia di perdere ogni senso della misura e del limite, chiedendo sempre di più e non accontentandosi oramai dell’allusione appena accennata all’atto cruento, che fu proprio della tragedia greca.
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Se è vero, com’è vero, che “dietro ogni violenza esiste il male”, il lenzuolo steso sulle vittime riverse nel loro sangue sul selciato, riveste quell’atto di umana pietà di un significato anche protettivo e difensivo per colui che assiste alla scena. Un vero e proprio gesto rituale, paragonabile ai riti di preparazione alla guerra o alla caccia che caratterizzano tutti i popoli la cui esistenza veniva ritmata dal sacro.
Di fronte a questo bombardamento mediatico, il cui risultato finale non può che essere quello di lasciare indifesa ed esposta ad ogni tipo di influenze la coscienza degli esseri umani, risultano preziose le parole di Solzenicyn ricordate nello scorso numero di Heliodromos: «“Tutti hanno il diritto di sapere tutto” (slogan menzognero per un secolo di menzogna, perché assai al di sopra di questo diritto ce n’è un altro, perduto oggigiorno: il diritto per l’uomo di non sapere, di non ingombrare la sua anima divina di pettegolezzi, chiacchiere, oziose futilità. Chi lavora veramente, chi ha la vita colma, non ha affatto bisogno di questo fiume pletorico di informazioni abbrutenti)».
http://www.heliodromos.it/
Senza nulla togliere a meriti di Solzenicyn, cui si spalancarono le porte delle migliori università americane quando si giocava la carta della (falsa) opposizione tra capitalismo e comunismo, e a quelli di Heliodromos, che gli dedicano un numero monografico della loro Rivista, il tema è tutt'altro che nuovo.
Questa ridondanza nella comunicazione sociale e il correlato terrore per il silenzio. Un po' frettolosamente, ma mi sovviene un testo di qualche anno addietro di Elemire Zolla, su L'Eclisse dell'intellettuale. Praticamente tutto dedicato a questa tematica. Forse sulla scorta delle riflessioni di Guénon, su ciò che ha da intendersi per 'intellettuale' e per'intelletto', ricordo le pagine appassionate di Zolla sulle democrazie televisive e i mille quiz di 'cultura generale'. Chi ha vinto il campionato di calcio nel 1983? Battendo in finale quale squadra? E giù di questo passo con i moderni eroi 'intellettuali' e a denunciare le mille scorie con cui viene si infarciscono le menti delle masse.
A livello più sofisticato, Martin Heidegger parlava di costantemente del vaniloquio-sproloquio del linguaggio ordinario. Tant'è che si sentì costretto a scrivere un libro, per cercare ddi riportare il discorso sui retti binari, più o meno lasciando le cose come stavano, da buon filosofo. Ritenne che occorresse ridefinire "Che cosa vuol dire pensare?". L'Essere non vuole sponsor, non dà introiti pubblicitari!
E a dirla tutta, non mi stupirei che anche dalle parti di Marcuse e della Scuola di Francoforte potremmo senza difficoltà trovare osservazioni simili. Il che la dice lunga sulla confusione sotto il cielo. La dice lunga sulla distanza tra lo sproloquio e il soliloquio.
Il silenzio del vento lo potreste rirovare in quel monastero a cielo aperto che è la montagna, specialmente in questa stagione... distanza abbissale che, è d'obbligo, tiene lontani escursionisti, sciatori, ski-boards, e fuoristrada, e il corteo di chiassosi vacanzieri di massa e eteroguidati dai media.
Abbiamo il sacro dovere di ignorarli.
http://www.heliodromos.it/
Senza nulla togliere a meriti di Solzenicyn, cui si spalancarono le porte delle migliori università americane quando si giocava la carta della (falsa) opposizione tra capitalismo e comunismo, e a quelli di Heliodromos, che gli dedicano un numero monografico della loro Rivista, il tema è tutt'altro che nuovo.
Questa ridondanza nella comunicazione sociale e il correlato terrore per il silenzio. Un po' frettolosamente, ma mi sovviene un testo di qualche anno addietro di Elemire Zolla, su L'Eclisse dell'intellettuale. Praticamente tutto dedicato a questa tematica. Forse sulla scorta delle riflessioni di Guénon, su ciò che ha da intendersi per 'intellettuale' e per'intelletto', ricordo le pagine appassionate di Zolla sulle democrazie televisive e i mille quiz di 'cultura generale'. Chi ha vinto il campionato di calcio nel 1983? Battendo in finale quale squadra? E giù di questo passo con i moderni eroi 'intellettuali' e a denunciare le mille scorie con cui viene si infarciscono le menti delle masse.
A livello più sofisticato, Martin Heidegger parlava di costantemente del vaniloquio-sproloquio del linguaggio ordinario. Tant'è che si sentì costretto a scrivere un libro, per cercare ddi riportare il discorso sui retti binari, più o meno lasciando le cose come stavano, da buon filosofo. Ritenne che occorresse ridefinire "Che cosa vuol dire pensare?". L'Essere non vuole sponsor, non dà introiti pubblicitari!
E a dirla tutta, non mi stupirei che anche dalle parti di Marcuse e della Scuola di Francoforte potremmo senza difficoltà trovare osservazioni simili. Il che la dice lunga sulla confusione sotto il cielo. La dice lunga sulla distanza tra lo sproloquio e il soliloquio.
Il silenzio del vento lo potreste rirovare in quel monastero a cielo aperto che è la montagna, specialmente in questa stagione... distanza abbissale che, è d'obbligo, tiene lontani escursionisti, sciatori, ski-boards, e fuoristrada, e il corteo di chiassosi vacanzieri di massa e eteroguidati dai media.
Abbiamo il sacro dovere di ignorarli.
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