Stiamo inoltrandoci dolcemente nel terzo inverno che passo con le capre e altri piccoli animali. Il tepo sembra clemente, per ora, nelle nostre valli. Piove meno che altrove; le brume non sono ancora gelide. E l'inverno mette a prova animali e uomini. La capretta si scalda col tepore della madre, un manto regale per la piccola: riesce ad addolcirle il mondo che si fa ostile, freddo. I piedi che si muovono lenti e a volte stazionano sull'erba del pascolo umida e fredda. Così passano le ore.
E nelle lunghe ore trascorse fuori, la mente non sta mai ferma. Corre ai primi inverni passati in montagna con le bestie.
Il mio primo inverno con le bestie l'ho passato in Val Cervo. Molte erano le insicurezze. Ora, al Tracciolino, le cose vanno molto meglio. Nel frattempo sono cambiato. Ho persorso un bel tratto sulla Via.
Ho visto animali morire e nascere, ammalarsi e guarire. Abbiamo trepidato e gioito con e per loro. Mi hanno forgiato il carattere e l'animo. La capra è caparbia e testarda. Cerca la contesa, è provocatoria. La sua arma migliore è l'avidità. Arma molto adatta, in fatto di eloquenza, in tempi di società consumistica e sprecona. L'avidità crea nervosismo, agitazione, irrequietezza. Sembrano diventare difficili da governare, ribelli. Un cane? Si, forse potrebbe essere la soluzione. Solo dopo si scopre che la cosa non è senza contropartite.
Ho imparato che non bisogna cedere alla provocazione. Non si deve perdere la calma, l'equilibrio. In Val Cervo potevamo contare sul conforto di amici, idealisti come noi. Qui siamo più isolati, ma arricchiti dall'esperienza acquisita in Val Cervo e poi ancora a Naulit, un grumo di case disabitato che pare uscito da una fiaba. Qui le cose sono più semplici. La cultura margara, nel bene e nel male, è ancora sentita e viva. Abbiamo dei prati e boschi in proprio. La natura svolge ancora un ruolo importante. Non è solo qualcosa da cui difendersi o da godere esticamente. Qui continua il suo ancestrale ritmo e nutre, almeno in parte, viste le abbondanti sovvenziani ad un'agricoltura virtuosa e dura ma refrattria ad industrializzarsi. Nutre, ma corre il rischio che i proventi la vizino e le corrodano le basi. Spiacevole a sentirsi dire, impopolare, ma sussidi se, da una parte, aiutano nella sopravvivenza, dall'altra corrompono ed inducono comportamenti da 'mantenuti'.
Noi non corriamo questo rischio. I nostri obiettivi sono altri. Sia la nostra malattia che la nostra cura hanno radicci ben più lontane.
La prossimità con le bestie si è fatta quotidianità. Il dialogo più disteso. Reciprocamente piùrispettoso. Anche se sono consapevole che volto ci sia ancora da imparare su questa Via orfica. La disciplina a cui bisogna soggiacere mette, più o meno, alla prova. Le pulizie delle stalle, la coltivazione dell'orto, e molto altro ancora, sono tutte altrettante incombenze e, spesso, inprocrastinabili. Ma ripagano.
Ripagano sul piano della contemplazione, ripagano sul piano della vita come potrebbe essere e non è. Ripagano con i colori e le emozioni di una natura che sembra assorbirti e deliziarti. Ripaga con momenti di quiete e serenità incomparabili. Negli animali si rivedono le incertezze e le fragilità comuni a tutti gli esseri, e le loro gioie. Si è ripagati da una vita che si moltiplica in molti esseri. La mia che diventa anche la tua, e la sua e di altri ancora... Si rispecchia, reincarna, negli altri esseri che ti seguono al pascolo, anche Minnino il gatto e Vrill la piccola cagnetta, in fase di apprendista cane pastore d'Oropa.
Ho imparato che non bisogna cedere alla provocazione. Non si deve perdere la calma, l'equilibrio. In Val Cervo potevamo contare sul conforto di amici, idealisti come noi. Qui siamo più isolati, ma arricchiti dall'esperienza acquisita in Val Cervo e poi ancora a Naulit, un grumo di case disabitato che pare uscito da una fiaba. Qui le cose sono più semplici. La cultura margara, nel bene e nel male, è ancora sentita e viva. Abbiamo dei prati e boschi in proprio. La natura svolge ancora un ruolo importante. Non è solo qualcosa da cui difendersi o da godere esticamente. Qui continua il suo ancestrale ritmo e nutre, almeno in parte, viste le abbondanti sovvenziani ad un'agricoltura virtuosa e dura ma refrattria ad industrializzarsi. Nutre, ma corre il rischio che i proventi la vizino e le corrodano le basi. Spiacevole a sentirsi dire, impopolare, ma sussidi se, da una parte, aiutano nella sopravvivenza, dall'altra corrompono ed inducono comportamenti da 'mantenuti'.
Noi non corriamo questo rischio. I nostri obiettivi sono altri. Sia la nostra malattia che la nostra cura hanno radicci ben più lontane.
La prossimità con le bestie si è fatta quotidianità. Il dialogo più disteso. Reciprocamente piùrispettoso. Anche se sono consapevole che volto ci sia ancora da imparare su questa Via orfica. La disciplina a cui bisogna soggiacere mette, più o meno, alla prova. Le pulizie delle stalle, la coltivazione dell'orto, e molto altro ancora, sono tutte altrettante incombenze e, spesso, inprocrastinabili. Ma ripagano.
Ripagano sul piano della contemplazione, ripagano sul piano della vita come potrebbe essere e non è. Ripagano con i colori e le emozioni di una natura che sembra assorbirti e deliziarti. Ripaga con momenti di quiete e serenità incomparabili. Negli animali si rivedono le incertezze e le fragilità comuni a tutti gli esseri, e le loro gioie. Si è ripagati da una vita che si moltiplica in molti esseri. La mia che diventa anche la tua, e la sua e di altri ancora... Si rispecchia, reincarna, negli altri esseri che ti seguono al pascolo, anche Minnino il gatto e Vrill la piccola cagnetta, in fase di apprendista cane pastore d'Oropa.
Ripaga nel veder crescere dentro la speranza che gli esseri possano parlarsi e possanoconvivere pacificamente. Possano riconoscersci in Unico trascendente che permea e attraversa tutto.
Mentre la "vita ordinaria", con tutti i suoi confort, ci mostra quotidianamente l'imbarbarimento verso cui stiamo inabissandoci ogni giorno di più. L'avvilimento costante della Natura in tutte le sue forme. Prima quella umana.
Non riusciamo a sopravvivere ad un'assemblea di condominio, figuriamoci di cosa ne è della cossiddetta convivenza o 'scietà civile'.
Facendo il pastore ho appreso che la evangelica separazione delle capre dalle pecore, funzione cristica, non pare corrispondere al rignificato di quello che ci è stato insegnato. E cioè che rappresenti una saparazione del bene dal male, il Discernimento ultimo e la remunerazione del Giudizio finale. Questa sembrerebbe più la funzione dell'Arcangelo Michele, con le sue spade e le sue bilance. A lui spetta, tradizionalmente, pesare le anime. Le bilance di San Michele forzano la mano all'uomo che, pigro, rimanda il momento del 'bilancio' della sua vita. Questa funzione per noi la svolge il Tracciolino, non sofferta lontananza dalle turbolenze della modernità, angoscia di un vuoto inesistente, qui il 'tempo non scorre invano'.
Mettere le capre da una parte e le percora dall'altra, potrebbe voler rappresentare la conciliazione e l'armonizzazione della parte caprina con quella ovina della nostra anima. La parte attiva, umanistica, irreqiueta ed indagatrice con quella meditativa e contemplativa, aquiesciente, appagata seppur gregale. Noi qui non è che si faccia molto esteriormente, di certo siamo lontani dal 'produrre reddito', e neanche autosussistenza. Con le nostre striminzite forze non si può fare molto, ma meditazione pastorale si. Quando si è circondati dalla natura provvida e complice basta lasciarsi assorbire dal suo fascino. Le premure materne della Bruna contro i primi tentativi di Vrill di imporsi. Il meno caricodi frutti pesanti incurva i rami che si offrono come i seni colmi di latte di una donna. Il noce eleva i suoi rami come le braccia drammatiche a zg-zag; il frassino imploranti e diritti. Le capre brucano silenziose, voraci, testarde e 'capricciose', dispettose come monelli inguaribili. Ma fragili allo stesso tempo: con un pezzo di pane tel le trascini dove vuoi, fosse anche all'inferno. Al di là dei dualismi si fa largo una presenza comune, una logos, un discorso che circola tra animali, vegetali, pietre e umani. Per metterla in termini mistici, qui agli eremiti del Tracciolino non è impossibile vedere"l'azione nell'inazione e l'inazione nell'azione". Tant'è che a volte gli amici scambiano l'inazione per fatalismo e rassegnazione. Invece è solo la disueffazione ai silenzi. Baghavat-gita, Vangelo ed Eraclito nunzi (angeli) di un'unica eterna verità.
La massima gratificazione sta nella realizazione di questa suprema sintesi di veder realizzata quell'Unità trascendente, viva, accogliente, al di là di questo dualismo che domina le nostra anime e le condanna ad un conflitto permanente.
Tutto ciò un giorno potrebbero non apparirci più come astruserie metafisiche. Qui al Tracciolino quel giorno è già arrivato. Qui la con-versazione con gli elementi imperituri è possibile, medicamentosa sia per lo spirito che per il corpo, si parva licet, amando le piccole cose...
Mentre la "vita ordinaria", con tutti i suoi confort, ci mostra quotidianamente l'imbarbarimento verso cui stiamo inabissandoci ogni giorno di più. L'avvilimento costante della Natura in tutte le sue forme. Prima quella umana.
Non riusciamo a sopravvivere ad un'assemblea di condominio, figuriamoci di cosa ne è della cossiddetta convivenza o 'scietà civile'.
Facendo il pastore ho appreso che la evangelica separazione delle capre dalle pecore, funzione cristica, non pare corrispondere al rignificato di quello che ci è stato insegnato. E cioè che rappresenti una saparazione del bene dal male, il Discernimento ultimo e la remunerazione del Giudizio finale. Questa sembrerebbe più la funzione dell'Arcangelo Michele, con le sue spade e le sue bilance. A lui spetta, tradizionalmente, pesare le anime. Le bilance di San Michele forzano la mano all'uomo che, pigro, rimanda il momento del 'bilancio' della sua vita. Questa funzione per noi la svolge il Tracciolino, non sofferta lontananza dalle turbolenze della modernità, angoscia di un vuoto inesistente, qui il 'tempo non scorre invano'.
Mettere le capre da una parte e le percora dall'altra, potrebbe voler rappresentare la conciliazione e l'armonizzazione della parte caprina con quella ovina della nostra anima. La parte attiva, umanistica, irreqiueta ed indagatrice con quella meditativa e contemplativa, aquiesciente, appagata seppur gregale. Noi qui non è che si faccia molto esteriormente, di certo siamo lontani dal 'produrre reddito', e neanche autosussistenza. Con le nostre striminzite forze non si può fare molto, ma meditazione pastorale si. Quando si è circondati dalla natura provvida e complice basta lasciarsi assorbire dal suo fascino. Le premure materne della Bruna contro i primi tentativi di Vrill di imporsi. Il meno caricodi frutti pesanti incurva i rami che si offrono come i seni colmi di latte di una donna. Il noce eleva i suoi rami come le braccia drammatiche a zg-zag; il frassino imploranti e diritti. Le capre brucano silenziose, voraci, testarde e 'capricciose', dispettose come monelli inguaribili. Ma fragili allo stesso tempo: con un pezzo di pane tel le trascini dove vuoi, fosse anche all'inferno. Al di là dei dualismi si fa largo una presenza comune, una logos, un discorso che circola tra animali, vegetali, pietre e umani. Per metterla in termini mistici, qui agli eremiti del Tracciolino non è impossibile vedere"l'azione nell'inazione e l'inazione nell'azione". Tant'è che a volte gli amici scambiano l'inazione per fatalismo e rassegnazione. Invece è solo la disueffazione ai silenzi. Baghavat-gita, Vangelo ed Eraclito nunzi (angeli) di un'unica eterna verità.
La massima gratificazione sta nella realizazione di questa suprema sintesi di veder realizzata quell'Unità trascendente, viva, accogliente, al di là di questo dualismo che domina le nostra anime e le condanna ad un conflitto permanente.
Tutto ciò un giorno potrebbero non apparirci più come astruserie metafisiche. Qui al Tracciolino quel giorno è già arrivato. Qui la con-versazione con gli elementi imperituri è possibile, medicamentosa sia per lo spirito che per il corpo, si parva licet, amando le piccole cose...
già le piccole cose. anch'io me ne accorgo nella pur difficile vita del mio paese disabitato. l'importanza della natura che ti avvolge con i suoi ritmi, quei piccoli animali come gatti, cani animali domestici o animali selvatici che fanno parte della tua stessa famiglia. il tempo che dividi con loro. li vedi affratellati come coinquilini liberi, perchè non c'è nessun guinzaglio o gabbia che li imprigioni. e poi il volo del nibbio che saluta dal cielo alto, roteando sull'orto ingiallito dagli ultimi colori autunnali. e quando la vita del villaggio si fa insopportabile, ecco ricercare la compagnia della foresta e delle alte quote... in una solitudine ancora più estrema che però rigenera e ti fa sentire vivo. la modernità sta sulla soglia del mio futuro e mi preparo alla lotta tenace per affrontarla, e quella vita rurale che a volte ti lascia solo mettendoti a dura prova, è però lo scheletro che non ti farà mai cambiare, perchè essa è la tua identità, è la tua storia, sono i tuoi geni... sono i tuoi valori e principi che ti renderanno libero e irriduciile a qualsiasi etichettatura del sistema...
RispondiEliminaun caro saluto!
Vincenzo A: Azione e contemplazione, le 2 vie contrapposte e complementari per la realizzazione di sè, che avviene solo attraverso il superamento di sè...
RispondiEliminaBella questa tua riflessione Franco, perchè insegna come attività "semplici" quali coltivare la terra o allevare animali possano essere una "Via" se vissute con una consapevolezza di ordine spirituale.
Grazie!
Mi piacerebbe sapere da Indio e Vincenzo qualcosa di più sulle loro vite sulle loro speranze, le loro attese. Come vivete? Indio parla del suo vilaggio disabitato, quanto mi piacerebbe vederlo. Ma vivete? Un po di cose concrete insomma, che senz'altro non sono vana curiosità, ma un rinsaldare ulteriormente la nostra amicizia e la nostra ricerca.
RispondiEliminaFranco.
p.c.: "Ci vivete in questo paese, o la vita vi ha portato altrove, avete in animo un ritorno o è un sogno impossibile?"
RispondiEliminaCaro Franco, parlo per me. Ho studiato nella capitale, ma da studente era facile tornare ogni tre mesi al paese, o meglio al villaggio, appena si poteva. Ora, essendo alla ricerca di un lavoro la mia permanenza al paese è precaria le strade mi porteranno sicuramente in qualche altra parte di Italia. Forse sarà un sogno impossibile, ma la prospettiva è tornare giù prima o poi. E chissà che un giorno Franco, quando avrò terminato la mia battaglia, non faccia una scelta come la tua, ritornando pastore, come lo era mio nonno...!
RispondiEliminaVincenzo A: Caro Franco, io sono nato a Rotonda(pz)nel 1979; ho studiato a Roma Comunicazione all' Università poi Cinema al Centro Sperimentale(Tecnica del Suono). Lavoro per una multinazionale dell'audiovisivo a Roma...
RispondiEliminaIl ritorno ad una vita più vicina alla Tradizione è un forte desiderio, ma ho deciso per ora di cavalcare la tigre della modernità(voglio che la mia non sia una scelta di comodo o dettata dalla paura, una fuga). E' difficile vivere questa contraddizione...
Mi piacerebbe tanto conoscerti di persona, magari la prossima estate io e Indio potremmo venire a fare un giro sul Tracciolino!