Un castagno, nobile albero, tenace e generoso, provvido nel fogliame, ricco nei frutti, rassicurante come acciaio nel fasciame, inossidabile all'umidità, e osseo per il fuoco, di un verde ancora giovane di bosco, appena strappato al suo antico ceppo nel profondo del bosco. Venuto allo scoperto, venuto nella radura, dove il sole si apre ad alimentare i prati, lo si utilizza.
Prima di goderne il tepore dentro la stufa, deve essere abbattuto, tagliato in toppi, trasportato e infine tagliato a misura ed accatastato, per un ragionevolmente prolungato periodo di tempo.
Certo si fa tutti gli anni. Spesso si ironizza con i 'cittadini', ti scaldi tre volte prima ancora di bruciarlo! Si, vero. Ci si scalda e si suda.
Ma anche noia, per un lavoro ripetitivo, non se ne vede l'ora che finisca, che aggiunge un'ulteriore pena, diciamo psichica, ad un insieme di pesantezze fisiche.
Persino l'idea del gesto previdente che anticipa la difesa contro i rigori invernali non aiuta granchè ad alleviarne la fatica. Un lavoro ben fatto dà soddisfazione, non ci si cura del tempo immessogli e invece di non vederne l'ora che finisca, al contrario, termina troppo presto. Come un gioco bello che dura sempre poco. E questo in barba, è appena il caso di dirlo, al ben celebrato e/o famigerato Carlo Marx, il quale, da buon calcolatore attento al costo delle cose più che alla soddisfazione del lavoratore, riteneva e teorizzava intorno al valore di una merce correlato alla quantità di forza-lavoro contenuto e socialmente necessaria a produrla.
Prima di tutto il nostro castagno servirà a scaldarci e non ad essere scambiato come merce. Se calcolassi il suo costo, al di là di ogni altro compiacimento o soddisfazione, mi converrebbe comprarla. Ma lo stesso varrebbe sia per l'insalata o i cavoli dell'orto. Ma noi siamo lontani dal considerare le cose con il criterio (marxista) del ragioniere che deve far tornare i conti, e per 'tornare' significa eufemisticamente sfruttare al meglio la possibilità di profitto (del capitalista o del proletario che sia).
Quest'anno, nel far legna è cambiato qualcosa.
Dietro la suggestione di gesti pacati e di una serenità rimarcabile di un monaco certosino de Il grande silenzio (Die Grosse Stille), un film-documento che ha goduto una singolare e forse inattesa notorietà, mi sono fabbricato un semplicissimo regolo. Cioè mi sono tagliato da un vecchio manico di scopa, una lunghezza di 55 cm. La nostra stufa in teoria è profonda dieci centimetri di più, ma per cautela mi sono risolto a tenermi un certo margine.
Poi mi sono costruito, adatta alla mie dimensioni, una 'capra', nel gergo un cavalletto atto a reggere pezzi da segare. Il nome curioso forse deriva dal fatto che il legno da tagliare si posa tra le 'corna' del cavalletto. Da allora ogni pezzo ha avuto la sua precisa misura.
La quantità dei centimetri è andata perdendo di significato, era solo la lunghezza giusta per la nostra stufa. E il tronco, ugualmente, era di lunghezza giusta.
Improvvisamente, il taglio della legna cominciò ad assumere il sapore di un rito. La ricerca della misura, l'applicazione della regola, senza eccezioni, di un rigore assoluto. I movimenti, notai, si facevano ritmici, ripetuti, si, ma non ripetitivi, giacchè la riproduzione della regola produce un effetto di accumulo di virtuosità. Un accumulo di esperienze che, una dopo l'altra, consegue un ordine che si accresce e che si rende vieppiù visibile. La ripetitività, al contrario, è un
confuso gesticolare, alla lunga insopportabile, e disordinato, ma soprattutto non persegue alcun fine di precisione, alcuna consapevolezza di una destinazione, ma solo una brutta esecuzione materiale.
Anche se siamo in piena primavera, l'attività di accumulare legna non conosce soste. Ma abbiamo perso per strada la costrizione violenta della necessità di scaldarci. Sembra trasformatosi in un gioco, come quelli che fanno i bimbi sulla spiaggia, accumulando il maggior numero possibile di formine capovolte di sabbia umida.
Il regolo, gradualmente, cominciava a diventare ai miei occhi, una preziosa occasione di fare la cosa giusta, e l'anima a quel punto viene afferrata da una gioia intensa, continua. il regolo diventa una Regola, una regoralità mi faceva sentire come sottratto al disordine, acefalo e bestiale di un agire fine a sè stesso.
E ciò mi dava forza, non mi sfiniva e continua a non sfinirmi il braccio che fatica sul seghetto, ma anzi mi spinge a passare ad un un nuovo pezzo. La molla di tutto ciò?
La conquista di un ordine interno che vedevo compiersi, come l'attraversamento di una porta che dalla gioia interiore, lungi dall'esaurirsi con il tempo, si autoalimentava in crescendo, e si concretizzava in qualcosa di esteriore, ben concreto.
La bellezza di rispettare un regolo, anzi una Regola, una qualità, una via per sentirsi parte di un Ordine Superiore.
Il regolo, gradualmente, cominciava a diventare ai miei occhi, una preziosa occasione di fare la cosa giusta, e l'anima a quel punto viene afferrata da una gioia intensa, continua. il regolo diventa una Regola, una regoralità mi faceva sentire come sottratto al disordine, acefalo e bestiale di un agire fine a sè stesso.
E ciò mi dava forza, non mi sfiniva e continua a non sfinirmi il braccio che fatica sul seghetto, ma anzi mi spinge a passare ad un un nuovo pezzo. La molla di tutto ciò?
La conquista di un ordine interno che vedevo compiersi, come l'attraversamento di una porta che dalla gioia interiore, lungi dall'esaurirsi con il tempo, si autoalimentava in crescendo, e si concretizzava in qualcosa di esteriore, ben concreto.
La bellezza di rispettare un regolo, anzi una Regola, una qualità, una via per sentirsi parte di un Ordine Superiore.
Vincenzo A: Questo tuo bel post sintetizza alla perfezione come negli ultimi decenni si sia inseguito il falso mito secondo il quale vivere nel disprezzo delle Regole significasse vivere finalmente liberi. Dipanare il groviglio dei propri pensieri imponendosi una regola (penso ad esempio alla Terzina Dantesca)può invece aiutare l' Uomo a veleggiare verso l' Assoluto.
RispondiEliminaGrazie e Buona Pasqua di Risurrezione.
Grazie a te, nel ricambiare l'augurio di Buona Pasqua, ricordo che proprio oggi dicevo che quest'anno mi era sembrata più viva e reale la passione di Kristo il Messia, che non la la Resurrezione, Non voleva essere una semplice battuta sul pessimismo di circostanza, anche se ha suscitato un sorriso...
RispondiEliminaMi è più cara e carica di gioia e luminosa speranza l'attesa della Parousia, mi sembra più conforme ai tempi, i cui segni la annunciano come un 'crescendo' musicale, dimora tale speranza nel mondo spirituale di cui quello materiale è "picciol cosa" al confronto,
E sfugge alle avvilenti spettacolarizzazioni televisive cui sia costretti ad assistere. Nel silenzio (dei monti) sentirai, nella solitudine percepirai folle di spiriti agitarsi gioiosi dimentichi di ciò che quaggiù dovrà accadere, anche ai nostri più cari; chiudi gli occhi alla comunicazione di massa (processi di beatificazione affrettati e grondanti retorica, persuasione e manipolazione - tipo il 'royal wedding' dei Tudor che se non fosse per la TV... - che aggravano le già profonde ferite) ed anche un filo di erba, nel più peretto silenzio, ti comunicherà la sua ragione di essere tra gli altri esseri. Ci parlo coi fili di erba, mentre chino, li colgo ringraziandoli da parte dei conigli.
Grazie per il tuo commento Vincenzo.