I "Valìt" costruttori di Italia
Era concentrato nella Valle del Cervo il maggior numero di costruttori di infrastrutture. Grazie alla loro abilità il Regno completò la sua complessa rete di collegamenti
10 maggio 2011
Lo studio della storia e delle tradizioni biellesi rivela l'importanza del contributo locale all’Unificazione italiana, di cui ricorre quest'anno il 150°, nella partecipazione dei costruttori biellesi, fondamentalmente tutti dell’Alta Valle del Cervo, alla unificazione fisico-operativa del territorio nazionale con tutta una serie di annessioni territoriali al Piemonte, un processo che richiese da parte dell’amministrazione sabauda un gravissimo impegno secolare non soltanto politico, militare, legislativo ed amministrativo, ma anche infrastrutturale.
Si trattò di collegare i territori man mano che venivano annessi con una rete efficiente di comunicazioni e trasporti: ferrovie, strade, ponti, gallerie, porti. Un'impresa immane che già dall’epoca di Emanuele Filiberto lo stato sabaudo ritenne prioritaria e che, grazie al pensiero di Cavour, il Regno di Sardegna pianificò nel dettaglio con il piano dei trasporti del 1844, aggiornato “sul tamburo” man mano che si prospettava una nuova annessione.
Un’impresa grandiosa, che il governo sabaudo poté eseguire in tempi ristrettissimi grazie agli ingegneri formati nell’Accademia e nell’Università di Torino e grazie alla disponibilità di imprese e maestranze considerate tra le più qualificate del mondo.
Queste imprese e maestranze erano concentrate nell’Alta Valle Cervo. Si erano fatte le ossa nei lavori di fortificazione voluti già da Emanuele Filiberto a partire dalla seconda metà del XVII secolo (si vedano le fortificazioni di frontiera, della Cittadella di Torino, di Fenestrelle, Exilles, Bard, poi di Casale, Alessandria e Genova, per citare le più importanti).
Avevano posto mano alla costruzione di Pietroburgo, avevano consentito a Napoleone l’apertura delle grandi strade internazionali del Moncenisio, Sempione, Gottardo.
Dopo la consegna della Sardegna ai Savoia avevano riattato le strade romane abbandonate da più di tredici secoli d’incuria, rimesso in funzione i porti di Porto Torres, Cagliari ed Olbia, aperto la nuova strada nazionale da Sassari a Cagliari. Dopo l’annessione della Repubblica Genovese, avevano ammodernato la strada Genova-Torino e la litoranea sino a Nizza.
Alla vigilia della Prima Guerra d’indipendenza avevano già posato la ferrovia Genova-Torino e stavano ultimando quella Torino-Chivasso-Santhià e le ferrovie d’arroccamento Alessandria-Vercelli-Genova, attraverso le quali sarebbe stato possibile alimentare lo sforzo bellico contro gli Austriaci del Lombardo- Veneto. Si trattava fondamentalmente di imprese familiari.
Ecco le più importanti nel XIX secolo: Bava, Biglia, Bosazza, Boggio, Bullio, Costa, Cucco, Gaia, Iacazio, Maciotta, Magnani, Mosca, Norza, Peraldo, Piatti, Rosazza, Savoia, Valz, Vanni.
La loro è una storia poco nota ai più, sebbene sia già stata tratteggiata da Remo Valz Blin nelle sue “Memorie sull’alta Valle d’Andorno", una storia che ben meriterebbe in questo anniversario un'attenzione particolare.
È una testimonianza impressionante anzitutto della capacità ideativa, organizzativa e finanziaria del governo sabaudo (oberato, tra l'altro, da enormi debiti di guerra) e particolarmente della incredibile capacità d’impresa di questo pugno di famiglie “valit”.
Certo anche gli stati preunitari avevano fatto la loro parte, ma dal punto di vista dell’unificazione nazionale il più fu certamente realizzato dai nostri “valit” che pure resero possibile l’amministrazione statale mediante la creazione di una infinità di opere pubbliche piccole e grandi.
Tra queste si hanno gli acquedotti di Forlì e di Palermo, l’Arsenale e la Darsena Militare di La Spezia, le centinaia di caserme destinate ad ospitare le nuove guarnigioni dell’Esercito Italiano, gli innumerevoli edifici pubblici, i Ministeri Romani, il quartiere Prati e la definitiva sistemazione degli argini del Tevere
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