In questi giorni, in questi ultimi mesi, siamo stati messi alla prova. Le piogge incessanti e alterne nella prima parte dell'estate. Ne abbiamo già accennato altrove.
A giugno i lavori alla casa e il conseguente cambio di abitudini.Incessante la domanda ci assedia. Ma perchè fare questi miglioramenti alla casa? Per chi?
Dentro non ci pioveva. O molto poco. Le stufe in inverno sono ben funzionanti ed il caldo ci basta a confortarci dai rigori invernali.
In fondo poteva rimanere così, ancora per una quantità indeterminabile di tempo.
Forse ci eravamo lasciati prendere da quella frenesia di voler apparire con un'abitazione, in confronto a quella dei vicini, più rispettabile e borghese. Magari senza neppure rendercene conto. Ci si giustificava pensando che così, in fondo i soldi spesi sarebbero stati investiti bene; l'abitazione avrebbe assunto un maggiore valore.
Forse ci eravamo lasciati prendere da quella frenesia di voler apparire con un'abitazione, in confronto a quella dei vicini, più rispettabile e borghese. Magari senza neppure rendercene conto. Ci si giustificava pensando che così, in fondo i soldi spesi sarebbero stati investiti bene; l'abitazione avrebbe assunto un maggiore valore.
Ma sinceramente, anche la vecchia costruzione si adattava bene alle esigenze di povertà e semplicità che ci avevano spinto alla ricerca di una vita ritirata, nell'isolamento del Tracciolino. Anzi forse, quella corrispondeva meglio ai nostri ideali, spartani e montanari, con inverni rigorosi, con interi giorni senza ravvisare il passaggio di un'anima viva. Lontani dal Caos indissolubile, che sempre più si impadronisce del mondo.
I tempi dilatati e la lentezza che ci consentisse di sentire le voci e le urla interne della coscienza. Aprire il grande e misterioso libro degli sconfinati spazi interiori che solo la solitudine della montagna ancora consente, nel frastornante mondo moderno. Voci a volte strazianti, insopportabili, folli, demoniache. A volte sublimi, altrettanto insopportabili, ma per ragioni opposte, per la sovrumana gioia.
Tuttavia, lacerante ci divorarava l'idea che ogni sacrificio, ogni impegno a fare del nostro meglio, nello scegliere una soluzione piuttosto che un'altra, un materiale piuttosto che un altro, sarebbe stato tutto vano se non ci fosse stato poi qualcuno che ne avesso goduto e continuato l'opera che abbiamo iniziato al Tracciolino.
A volte si era perfino parlato della malga come di una possibile sede di un'associazione. Idea buona, ma che sembra andare arenandosi ogni mese che passa, sbiadirsi senza che si veda uno sbocco a questo progetto. Un movimento in quella direzione.
Vedere i figli naturali o spirituali, se ci sono, eredi di cose materiali non ha senso. I primi li venderebbero non appena ne avessero la possibilità, come pietre morte, a poco prezzo, sperdute in un'area priva di un reale mercato immobiliare. Un prospettiva di annichilimento. La seconda, tutta da vedere e da costruire. E lì, in mezzo, noi a chiederci il perchè delle nostre azioni.
Ho posto le mie stesse domande a dei vicini, montanari anche loro per vocazione. Ma le risposte che ottenevo non mi davano alcuna soddisfazione. Soprattutto non placavano le mie ansie.
I tempi dilatati e la lentezza che ci consentisse di sentire le voci e le urla interne della coscienza. Aprire il grande e misterioso libro degli sconfinati spazi interiori che solo la solitudine della montagna ancora consente, nel frastornante mondo moderno. Voci a volte strazianti, insopportabili, folli, demoniache. A volte sublimi, altrettanto insopportabili, ma per ragioni opposte, per la sovrumana gioia.
Tuttavia, lacerante ci divorarava l'idea che ogni sacrificio, ogni impegno a fare del nostro meglio, nello scegliere una soluzione piuttosto che un'altra, un materiale piuttosto che un altro, sarebbe stato tutto vano se non ci fosse stato poi qualcuno che ne avesso goduto e continuato l'opera che abbiamo iniziato al Tracciolino.
A volte si era perfino parlato della malga come di una possibile sede di un'associazione. Idea buona, ma che sembra andare arenandosi ogni mese che passa, sbiadirsi senza che si veda uno sbocco a questo progetto. Un movimento in quella direzione.
Vedere i figli naturali o spirituali, se ci sono, eredi di cose materiali non ha senso. I primi li venderebbero non appena ne avessero la possibilità, come pietre morte, a poco prezzo, sperdute in un'area priva di un reale mercato immobiliare. Un prospettiva di annichilimento. La seconda, tutta da vedere e da costruire. E lì, in mezzo, noi a chiederci il perchè delle nostre azioni.
Ho posto le mie stesse domande a dei vicini, montanari anche loro per vocazione. Ma le risposte che ottenevo non mi davano alcuna soddisfazione. Soprattutto non placavano le mie ansie.
Tutto ciò ci procurava una notevole inquietudine, se non proprio dolore. Muovere pietre pesanti, con gi acciacchi dell'età, e senza sapere perchè, assomigliava sempre più al supplizio di Sisifo.
Mi corre in aiuto il Poeta: "... Intanto io chieggo/A quanto viver mi resti/..../ E fieramente mi si stringe il core, / A pensare come al mondo tutto passa / E quasi orma non lascia...."
Cercavo di aggrapparmi con tutte le mie forze a quel "quasi" che mi pareva lasciare qualche speranza, anche se non sapevo come, dove e perchè.
Non cerchiamo la gloria o la fama dell' "orma" che non lasciamo, in nessuno, men che meno nei figli. Nella solitudina montana del Tracciolino si persegue solo cose semplici, che è solo la miseria dei nostri tempi, a volte, a farceli sembrare grandi. L'integrità umana da restaurare, i tempi da riprenderci per meditare, l'anima da guarire, gli odori del fieno e dell'erba, della stalla, le cose antiche, non vecchie e degradate, che per secoli hanno consentito che l'eterno potesse aleggiare rasente sulla superficie della terra, la terra nera della Madre, umida, umile, ubertosa.
Quel "quasi orma non lascia" non mi dava tregua. Era qualcosa di diverso, dal dolore di una delusione personale esistenziale. Si e no. Si incrociavano i destini personali, ma anche quelli collettivi. Quindi non è mero romanticismo struggente. Lo sento come qualcosa di più essenziale.
Una casa di montagna 'troppo bella' mi ripugna. Mi ripugna come il turismo domenicale. Sto correndo questo rischio? Un cottage per un vecchio snob? Forse qualcosa, in mezzo alla oscura foschia notturna del "dì feriale", il tempo profano, comincia a diradarsi e a mostrare, poco a poco, una luce preludio di Luce immensa del "dì festivo", non spensierato giorno di dolce far nulla a sperperarsi nei divertimenti, ma tempo dedicato al Signore, al Sacro. Unica vero collegamento che ci rassicura con la sua promessa: cammina nel Bene e vedrai che, non "quasi" ma di certo "orma lasci", non in questo tempo che non conta nulla, ma nell'attimo eterno sito tra due momenti, per quanto brevi, di tempo.
Ho potuto ritrovare questa gioia, quando passando per la cucina vecchia che ho trasformato in piccolo laboratorio, appoggiato al muro in verticale, e da qualche tempo, una scritta musiva, era adagiata in attesa di rivitalizzarmi.
Era giunto il momento di portarla alla luce, a riflettere a sua volta la luce delle sue parole. Sicchè, senza esitazione, prendo la lastra e la porto all'esterno.
Dove la metto? Sulla legnaia proprio di fronte all'ingresso della casa. Così mi ricorda del mio Signore non appena esco di casa. Non posso non notarla. E la parola di Dio ci guarda e ci riveste di un abito gioioso di ori e smeraldi inestimabile, non appena si mette il piede fuor di casa. Poi è davanti all'orto. Una ragione in più, penso. Mentro mi aggiro tra l'insalata e i cavoli nell'umile lavoro di portare qualcosa di buono in tavola, ci guardiamo, ne avverto la presenza anche quando gli dò le spalle. Non potrò ignorare il "dì festivo", il dì del nostro 'pane quotidiano', il dì non tanto della Sua presenza, quanto quello del ricordo della Sua onnipresenza, al di là del miserevole oblio dell'umano.
La lastra musiva riferisce parole sacre di un'altra lingua, ma Dio è un gran poliglotta, se parla persino con il silenzio, figuriamoci con un'altra lingua. Sono solo quattro parole.
Per consuetudine si potrebbe rendere con "nel nome di Dio, il Clemente, il Misericordioso". Dico per consuetudine. Perchè il suo significato sconfina al di là dell'umano. Essendo parole di Dio, non sono traducibili, sono solo aprossimabili. Diffida dal primo arabo che si avvicina, e te lo spiega. Non può farlo. Non ci riuscirebbe mai. E' parola di Dio.
Quando pronuncia i due attributi, richiama, due tra i novantanove nomi del Signore, i più ricorrenti, nel Testo sacro, nella lingua liturgica e nella vita comune del Suo servo. Quasi impossibili da spiegare, pare alludano matrice-materia-maternità del divino, della Sua dimora, del Suo essere Altrove.
Da destra, si vede una lettera, la 'ba', si scrive col puntino sotto. Poi, la parola 'nome'. Quella 'b' equivale al fuoco intorno cui ruota tutta la frase. 'Nel' ma anche 'con', ma anche 'grazie al' nome di Dio che tutto consente. E' la preposizione, a fronte di tre sostantivi. Ma li regge tutti e tre. E' anche 'per mezzo' di questa 'b' che si realizza il resto.
E siccome il puntino se ad esempio stesse sopra cambierebbe di significato, e diventerebbe un'altra lettera, tutta la potenza di Di Dio è nascosta il quel puntino.
Ecco come ci può apparire Dio: un puntino nello spazio infinito, senza il quale non avremmo possibilità di orientarci, senza il quale non saremmo nulla. La modernità ci vuole dei nulla, senza punti che diano senso al Tutto, dispersi, persi e smarriti nel dolore di una esistenza 'senza traccia'. Vissuti invano. Persi al Cielo, vaganti nelle Tenebre.
Da qualche giorno, al Tracciolino, nella terra-madre-uterina-nera, un puntino rischiara le nostre esistenze.
Mi corre in aiuto il Poeta: "... Intanto io chieggo/A quanto viver mi resti/..../ E fieramente mi si stringe il core, / A pensare come al mondo tutto passa / E quasi orma non lascia...."
Cercavo di aggrapparmi con tutte le mie forze a quel "quasi" che mi pareva lasciare qualche speranza, anche se non sapevo come, dove e perchè.
Non cerchiamo la gloria o la fama dell' "orma" che non lasciamo, in nessuno, men che meno nei figli. Nella solitudina montana del Tracciolino si persegue solo cose semplici, che è solo la miseria dei nostri tempi, a volte, a farceli sembrare grandi. L'integrità umana da restaurare, i tempi da riprenderci per meditare, l'anima da guarire, gli odori del fieno e dell'erba, della stalla, le cose antiche, non vecchie e degradate, che per secoli hanno consentito che l'eterno potesse aleggiare rasente sulla superficie della terra, la terra nera della Madre, umida, umile, ubertosa.
Quel "quasi orma non lascia" non mi dava tregua. Era qualcosa di diverso, dal dolore di una delusione personale esistenziale. Si e no. Si incrociavano i destini personali, ma anche quelli collettivi. Quindi non è mero romanticismo struggente. Lo sento come qualcosa di più essenziale.
Una casa di montagna 'troppo bella' mi ripugna. Mi ripugna come il turismo domenicale. Sto correndo questo rischio? Un cottage per un vecchio snob? Forse qualcosa, in mezzo alla oscura foschia notturna del "dì feriale", il tempo profano, comincia a diradarsi e a mostrare, poco a poco, una luce preludio di Luce immensa del "dì festivo", non spensierato giorno di dolce far nulla a sperperarsi nei divertimenti, ma tempo dedicato al Signore, al Sacro. Unica vero collegamento che ci rassicura con la sua promessa: cammina nel Bene e vedrai che, non "quasi" ma di certo "orma lasci", non in questo tempo che non conta nulla, ma nell'attimo eterno sito tra due momenti, per quanto brevi, di tempo.
Ho potuto ritrovare questa gioia, quando passando per la cucina vecchia che ho trasformato in piccolo laboratorio, appoggiato al muro in verticale, e da qualche tempo, una scritta musiva, era adagiata in attesa di rivitalizzarmi.
Era giunto il momento di portarla alla luce, a riflettere a sua volta la luce delle sue parole. Sicchè, senza esitazione, prendo la lastra e la porto all'esterno.
Dove la metto? Sulla legnaia proprio di fronte all'ingresso della casa. Così mi ricorda del mio Signore non appena esco di casa. Non posso non notarla. E la parola di Dio ci guarda e ci riveste di un abito gioioso di ori e smeraldi inestimabile, non appena si mette il piede fuor di casa. Poi è davanti all'orto. Una ragione in più, penso. Mentro mi aggiro tra l'insalata e i cavoli nell'umile lavoro di portare qualcosa di buono in tavola, ci guardiamo, ne avverto la presenza anche quando gli dò le spalle. Non potrò ignorare il "dì festivo", il dì del nostro 'pane quotidiano', il dì non tanto della Sua presenza, quanto quello del ricordo della Sua onnipresenza, al di là del miserevole oblio dell'umano.
La lastra musiva riferisce parole sacre di un'altra lingua, ma Dio è un gran poliglotta, se parla persino con il silenzio, figuriamoci con un'altra lingua. Sono solo quattro parole.
Per consuetudine si potrebbe rendere con "nel nome di Dio, il Clemente, il Misericordioso". Dico per consuetudine. Perchè il suo significato sconfina al di là dell'umano. Essendo parole di Dio, non sono traducibili, sono solo aprossimabili. Diffida dal primo arabo che si avvicina, e te lo spiega. Non può farlo. Non ci riuscirebbe mai. E' parola di Dio.
Quando pronuncia i due attributi, richiama, due tra i novantanove nomi del Signore, i più ricorrenti, nel Testo sacro, nella lingua liturgica e nella vita comune del Suo servo. Quasi impossibili da spiegare, pare alludano matrice-materia-maternità del divino, della Sua dimora, del Suo essere Altrove.
Da destra, si vede una lettera, la 'ba', si scrive col puntino sotto. Poi, la parola 'nome'. Quella 'b' equivale al fuoco intorno cui ruota tutta la frase. 'Nel' ma anche 'con', ma anche 'grazie al' nome di Dio che tutto consente. E' la preposizione, a fronte di tre sostantivi. Ma li regge tutti e tre. E' anche 'per mezzo' di questa 'b' che si realizza il resto.
E siccome il puntino se ad esempio stesse sopra cambierebbe di significato, e diventerebbe un'altra lettera, tutta la potenza di Di Dio è nascosta il quel puntino.
Ecco come ci può apparire Dio: un puntino nello spazio infinito, senza il quale non avremmo possibilità di orientarci, senza il quale non saremmo nulla. La modernità ci vuole dei nulla, senza punti che diano senso al Tutto, dispersi, persi e smarriti nel dolore di una esistenza 'senza traccia'. Vissuti invano. Persi al Cielo, vaganti nelle Tenebre.
Da qualche giorno, al Tracciolino, nella terra-madre-uterina-nera, un puntino rischiara le nostre esistenze.
Come sempre quando scorgo malinconia o difficoltà intervengo e ricordo di esserci pure io. Sto giocando la mia partita e forse per un occhio poco attento o di uno sconosciuto posso sembrare uno dei tanti che vuole solo quello che vogliono tutti cioè il nulla, ma per chi mi conosce davvero è più facile scorgere le mie prossime mosse. Mi sto esaurendo in pazienza e sopportazione, in costrizioni che odio per un unico fine: avere di che vivere vivendo una vita vera o almeno che per me abbia senso. In quel senso c'è l'associazione così come c'è il tracciolino. So che non è molto ma voi lo state facendo anche per me e se non ci foste voi con i vostri sforzi che date un senso al mio futuro e che gettate le basi per una ribellione io mi sentirei impotente. Voi mi state dando la possibilità di trovarli tra qualche tempo con il posto la casa e le persone,VOI, necessari per l'avventura che voglio vivere. Parliamoci chiaro: io cambierei a peso d'oro la mia quotidianità con la vostra quindi quando vi domandate perché lo state facendo rispondetevi che lo fate per me e quelli come me che devono credere che un'alternativa esista e voi lo domostrate, rispondetevi che lo fate perché io vorrei ma non posso e vi invidio ogni santo giorno in cui sono intrappolato in questa gabbia e rispondetevi che lo state facendo perché quell'associazione si farà ad ogni costo, ogni cosa ha il suo momento e ora c'era il tetto che non è un simbolo o un accessorio borghese ma il simbolo delle priorità della montagna e chi ha il sangue delle montagne che gli scorre dentro lo sa che non si può farne a meno. Sono disposto a darci una data ultima entro cui realizzare il nostro progetto, io ci sono e xi sarò fino all'ultima sciabolata della nostra battaglia
RispondiEliminaAle
Perfetto. Grazie.
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