Leggiamo sempre e con avidità tutte le notizie che ci mandano i nostri due amici affezionati del Pollino, Indio e Vincenzo, al punto che le foto dei loro monti, dei borghi, degli alberi, anche a noi che viviamo lontano dal parco nazionale del Sud, riusciamo quasi ad indovinarne i profumi delle diverse stagioni, i suoni che il vento intona tra le fronte degli alberi, i sapori di quelle solitudini di quella terra.
Al punto che queste immagini ci sono diventate famigliari come quelle del Tracciolino. Dopo che i due amici hanno scritto i loro commenti, concisi ma profondi e mai banali, come sempre, commenti allo scritto del 9 nov. "Pastorale", ai cari amici devo una risposta. La cosa non è del tutto semplice, perchè meritano tutta l'attenzione di cui sono capace.
Lo meritano inoltre. Sono due giovani uomini 'in cammino', stanno cercando la loro strada, un cammino senza ritorno,e anche senza ritorni. Mi dice Indio: "E chissà che un giorno Franco, quando avrò terminato la mia battaglia, non faccia una scelta come la tua, ritornando pastore, come lo era mio nonno...!"
Vorremmo tanto per lui, ma anche per noi tessi, che così non fosse. Che non si dovesse aspettare "il termine della battaglia" per vivere i sogni veri dell'autenticità. Dovremmo poter vivere il sogno, il tempo del sogno, il nostro dreamtime come viene detto dagli aborigeni australiani nel loro inglese, come un fatto connaturato all'essenza umana. E non dietro una licenza o una concessione. Non dopo aver espletato i nostri doveri per assicurarci il necessario. Vorremmo ... ma cosi non è. Indio ci dà una lezione sulla inesorabilità, o presunta tale, della necessità materiale che costantemente ci chiama al compromesso. Non è ragionevole pretendere un simile sacrificio, una simile rinuncia delle comodità e degli agi (o presunti tali) ad un giovane che ha, comme on dit, la vita davanti. Non gli si può chiedere di vivere la via tradizionale. Anche Vincenzo, nel suo commento, similmente, sottolinea questa necessità dei due tempi: "E' difficile vivere questa contraddizione...". Si, vero.
Ma siamo sicuri che pensare al vivere la montagna, come metafora dello sforzo di vivere nel solco della tradizione, sia una scelta per vecchi? O per pensionati?
Mi viene da pensare ad una frase di A. K. Coomaraswamy, la ricordo come una frase secca ed ostica. L'eterno si trova tra due momenti successivi della linearità del tempo. Noi ci collochiamo nel discreto, tra i due momenti. Voi prima, noi, io e quelli come me, dopo. Dovremmo forse collocarci in un continuum, che conosca la capacità di 'contemplare' i due momenti del discontinuo, del discreto. Prima la "battaglia", poi il "pastore", come il nonno...
Come questo "nonno", che non andrà mai in pensione, non perchè non riesce a farcela con le contribuzioni o per la precarietà della sua esistenza (ben più tragica è la privazione... esistenziale e non solo economica). I suoi occhi guardano i nuraghi senza tempo, guardano al dreamtime, eppure ha una sua storia e un suo tempo. I nostri occhi vedono la Sardegna della Costa Smeralda, Porto Cervo, Villa Certosa, o il Millionaire... non quella delle pietre nuragiche. Ma altrettanto fuorviante, è la visione delle lotta politica e sociale del recente movimento del pastori sardi, che destra e sinistra sgomitano per capeggiare. Non lasciamoci prendere dalla "contraddizioni" del reale. Non sono vere contraddizioni, solo due aspetti dello stesso fenomeno. Il latte di pecora rumeno o cinese costerà sempre meno di quello sardo. E quindi anche i formaggi. E gli agnelli avranno un valore inferiore, per noi sardo-occidentali, a quello del fieno che mangiano. O anche i pastori-pellerossa che rapirono, al tempo, De André, ideologizzati fino a capirne (si fa per dire) la primitivà di comodo, una primitività progressista e/o anarchica. No al partito del Sand Creek, o ai partiti in genere. Non possono porsi al centro, cose che non conoscono il centro. Sono destinatiti, fin nel loro nome medesimo, a restare di 'parte'.
Non affidiamoci alla nostalgia quando assistiamo impotenti alla dissoluzione di una gloriosa civiltà arcaica, speculare all'evoluzionistica "età della pietra". Perchè noi sappiamo che l'eterno si colloca tra i due attimi, e le pietre non sono che pietre... a meno che non le si guardi con "terzo occhio", come voi guardate i monti del Pollino ed noi le Alpi, cattedrale naturale dell'Europa.
Quello che dobbiamo fare è 'solo' provare ad intrecciare i nostri sguardi, le nostre visioni, qui o altrove. Su queste pagine o su quelle del vostro Leucodermis. Continuiamo a camminare, ad inoltrarci nel percorso comune. Rimaniamo in contatto. Scriviamoci le nostre esperienze interiori. Attiviamo la vigilanza, la Vigilia si approssima. Sottoponiamo a lavacri purificatorii rituali i nostri sguardi. Lavoriamo insieme. Dedichiamoci all'Opus, ciascuno facendo ciò che sa e che vuole fare. Viviamo insieme. E il nostro sogno si identificherà con il reale, indistinguibili. Questo penso, e... propongo.
Sparirà ogni strategia dei due tempi, ogni dualità, come scompare ciò che non è mai esistito. Perchè per noi, importa solo ciò che si trova tra due attimi.... Un ponte, un arcobaleno unirà gli spiriti in una fratellanza. Anche questo penso, e... propongo.
Non crediate che tutto questo serva a scansare la proposta di Vincenzo, quella di farci visita al Tracciolino, l'estate prossima. Anzi. Ci farebbe un enorme piacere potervi ospitare. Ma le due cose, quasi, non si intersecando. E avremo anche modo e tempo di riparlarne, per tutti i particolari...
Siederemo insieme, per terra, a raccontarcela...
Al punto che queste immagini ci sono diventate famigliari come quelle del Tracciolino. Dopo che i due amici hanno scritto i loro commenti, concisi ma profondi e mai banali, come sempre, commenti allo scritto del 9 nov. "Pastorale", ai cari amici devo una risposta. La cosa non è del tutto semplice, perchè meritano tutta l'attenzione di cui sono capace.
Lo meritano inoltre. Sono due giovani uomini 'in cammino', stanno cercando la loro strada, un cammino senza ritorno,e anche senza ritorni. Mi dice Indio: "E chissà che un giorno Franco, quando avrò terminato la mia battaglia, non faccia una scelta come la tua, ritornando pastore, come lo era mio nonno...!"
Vorremmo tanto per lui, ma anche per noi tessi, che così non fosse. Che non si dovesse aspettare "il termine della battaglia" per vivere i sogni veri dell'autenticità. Dovremmo poter vivere il sogno, il tempo del sogno, il nostro dreamtime come viene detto dagli aborigeni australiani nel loro inglese, come un fatto connaturato all'essenza umana. E non dietro una licenza o una concessione. Non dopo aver espletato i nostri doveri per assicurarci il necessario. Vorremmo ... ma cosi non è. Indio ci dà una lezione sulla inesorabilità, o presunta tale, della necessità materiale che costantemente ci chiama al compromesso. Non è ragionevole pretendere un simile sacrificio, una simile rinuncia delle comodità e degli agi (o presunti tali) ad un giovane che ha, comme on dit, la vita davanti. Non gli si può chiedere di vivere la via tradizionale. Anche Vincenzo, nel suo commento, similmente, sottolinea questa necessità dei due tempi: "E' difficile vivere questa contraddizione...". Si, vero.
Ma siamo sicuri che pensare al vivere la montagna, come metafora dello sforzo di vivere nel solco della tradizione, sia una scelta per vecchi? O per pensionati?
Mi viene da pensare ad una frase di A. K. Coomaraswamy, la ricordo come una frase secca ed ostica. L'eterno si trova tra due momenti successivi della linearità del tempo. Noi ci collochiamo nel discreto, tra i due momenti. Voi prima, noi, io e quelli come me, dopo. Dovremmo forse collocarci in un continuum, che conosca la capacità di 'contemplare' i due momenti del discontinuo, del discreto. Prima la "battaglia", poi il "pastore", come il nonno...
Come questo "nonno", che non andrà mai in pensione, non perchè non riesce a farcela con le contribuzioni o per la precarietà della sua esistenza (ben più tragica è la privazione... esistenziale e non solo economica). I suoi occhi guardano i nuraghi senza tempo, guardano al dreamtime, eppure ha una sua storia e un suo tempo. I nostri occhi vedono la Sardegna della Costa Smeralda, Porto Cervo, Villa Certosa, o il Millionaire... non quella delle pietre nuragiche. Ma altrettanto fuorviante, è la visione delle lotta politica e sociale del recente movimento del pastori sardi, che destra e sinistra sgomitano per capeggiare. Non lasciamoci prendere dalla "contraddizioni" del reale. Non sono vere contraddizioni, solo due aspetti dello stesso fenomeno. Il latte di pecora rumeno o cinese costerà sempre meno di quello sardo. E quindi anche i formaggi. E gli agnelli avranno un valore inferiore, per noi sardo-occidentali, a quello del fieno che mangiano. O anche i pastori-pellerossa che rapirono, al tempo, De André, ideologizzati fino a capirne (si fa per dire) la primitivà di comodo, una primitività progressista e/o anarchica. No al partito del Sand Creek, o ai partiti in genere. Non possono porsi al centro, cose che non conoscono il centro. Sono destinatiti, fin nel loro nome medesimo, a restare di 'parte'.
Non affidiamoci alla nostalgia quando assistiamo impotenti alla dissoluzione di una gloriosa civiltà arcaica, speculare all'evoluzionistica "età della pietra". Perchè noi sappiamo che l'eterno si colloca tra i due attimi, e le pietre non sono che pietre... a meno che non le si guardi con "terzo occhio", come voi guardate i monti del Pollino ed noi le Alpi, cattedrale naturale dell'Europa.
Quello che dobbiamo fare è 'solo' provare ad intrecciare i nostri sguardi, le nostre visioni, qui o altrove. Su queste pagine o su quelle del vostro Leucodermis. Continuiamo a camminare, ad inoltrarci nel percorso comune. Rimaniamo in contatto. Scriviamoci le nostre esperienze interiori. Attiviamo la vigilanza, la Vigilia si approssima. Sottoponiamo a lavacri purificatorii rituali i nostri sguardi. Lavoriamo insieme. Dedichiamoci all'Opus, ciascuno facendo ciò che sa e che vuole fare. Viviamo insieme. E il nostro sogno si identificherà con il reale, indistinguibili. Questo penso, e... propongo.
Sparirà ogni strategia dei due tempi, ogni dualità, come scompare ciò che non è mai esistito. Perchè per noi, importa solo ciò che si trova tra due attimi.... Un ponte, un arcobaleno unirà gli spiriti in una fratellanza. Anche questo penso, e... propongo.
Non crediate che tutto questo serva a scansare la proposta di Vincenzo, quella di farci visita al Tracciolino, l'estate prossima. Anzi. Ci farebbe un enorme piacere potervi ospitare. Ma le due cose, quasi, non si intersecando. E avremo anche modo e tempo di riparlarne, per tutti i particolari...
Siederemo insieme, per terra, a raccontarcela...
Vincenzo A: Caro Franco, la tua analisi è come sempre lucida, originale, mi apre nuove prospettive sulla impossibilità di segmentare l' esistenza in fasi quasi contrapposte.
RispondiEliminaVivere la propria vita mantenendo un centro di Valori, un nucleo denso di Senso, che ci accompagni nella quotidianità...Grazie per gli amorevoli consigli e per l' affetto che sento nelle tue parole.
Contiunuo a leggere avidamente tutti i tuoi bellissimi post.
V.
Sono io a ringraziarti. In fondo, mi fornisci sempre l'occasione per riflettere su qualche aspetto importante delle problematiche che ci stanno a cuore.
RispondiEliminaDobbiamo pensare che l'espressione "cavalcare la tigre", se da un lato sembra rafforzare l'idea delle due dimensioni, cioè quella storica (della fine dell'Europa e con ciò stesso dell'Occidente, come sede della sconfitta delle forze tradizionali, da non confondere con le verità tradizionali), dall'altra, richiama ad una condizione metastorica, in quanto suddetta sconfitta asseconda l'idea di un ciclo la cui ultima fase o kaliyuga, coincide con quello che normalmente gli occidentali chiamano 'storia', quella empiricamente (visto che a nulla credono che non provenga dall'empiria)testimoniabile e documentabile, ignorando del tutto il vero significato di ciò che chiamano "preistoria", che conferisce un respiro metafisico autentico a quell'espressione stessa della tigre (di origine tradizionale cinese o orientale).
E coincide con il dinamismo stesso dello yin e dello yang. L'azione nell'inazione, e l'azione nell'inazione. Il bianco nel nero e il nero nel bianco. L'azione nella contemplazione e la contemplazione nell'azione. La guerra nella pace e la pace nella guerra.
Personalmente, non mi sento in pensione (nel senso che si dà normalmente a questo termine)e non mi sono mai sentito del tutto inserito e compiaciuto di far parte della "macchina infernale".
Credo che anche tu partecipi a questi convincimenti,e condivida, che è la condizione preliminare che ci consente di sentirci una Parte del Tutto, diciamo così... una consanguineità spirituale.
Tuo, con grande amicizia, Franco.
P.S.: Volevo invitarti, caro Vincenzo, se il tuo tempo e i tuoi interessi ti portano su uno stesso cammino con il nostro, e qualora lo desiderassi, ad inviarci qualche tuo contributo scrito. Anche una tua semplice riflessione anche su un piccolo fatto quotidiano. Poichè il piccolo non esiste, in quanto quantità è destinata a concludersi ed esaurirsi nel profano. Come ad esempio noi ci si sia soffermati a riflettere sulla neve e l'arrivo dell'inverno in montagna.
RispondiEliminaDi nuovo, un caro saluto.