martedì 28 dicembre 2010

Giovanni Segantini e le battaglie del Pastore.

Nato montanaro, in un paesino della Val d'Adige in Trentino, da famiglia di gente umile e povera, contadini, non come quelli di oggi, come si poteva essere contadini nell'Ottocento. Cose importanti, in grado di lasciare tracce indelebili nell'animo umani.
Dipinge da isolato, e da eremita, lassù al Maloja, in Svizzera, richiamato dal genius luci non più trascurabile, dopo gli anni milanesi, e non lontano dall'alta Val Engadina, tanto amata da Nietzsche. Segantini non è stato un banale imitatore del filosofo tedesco; un debole provinciale sedotto dalla Siringa panica di Dioniso e neppure dal bucolico mondo agreste, lontano dalle detestate ipocrisie della vita borghese.
Uomo in fuga, come lo fu il suo collega Gauguin, che inseguì le sue voci interiori fino nella Polinesia francese. In fuga non per viltà, al contrario per scendere nell'àgon della battaglia, lassù sulle cime austere, terse, dai geli come dai soli brucianti. Un atteggiamento superomistico? Forse si. Ma il sacrificio del solitario, con i suoi dialoghi interiori, sono una sufficiente garanzia di un desiderio che si paga in prima persona. Fuorviante il Superuomo, decisamente meglio Oltre-uomo.
La primavera sull'alpe, due capre, il cielo azzurro come una lama, l'erba e l'arbusto sono ancora bruciati dal gelo. I pascoli, ancora poco floridi, non si mostrano generosi con la capretta, che vita dura ma essenziale senza infingimenti: deve nustrirsi e provvedere al latte per il piccolo. Direi quasi orientale la scena, al cospetto di maestose forse naturali nulla si può, si deve imparare ad accettare le difficoltà ineluttabili e ad attenuarne gli effetti. Lotta senza posa. Come la preghiera nella vita: non una tregua all'ordinarietà delle occupazioni quotidiane, ma un discorso ininterrotto nella veglia, e per gli spiriti nobilitati dalla Presenza, anche di notte. Alcun spazio è lasciato al la dimensione profana, non un attimo lasciato a se stesso, senza la coscienza vigilante.


Il nemico non dorme mai, si dice. Ma il Pastore si. Questo nemico, ben noto agli atleti dell'ascesi, in Occidente come in Oriente, ed ha un nome preciso: àkedia, accidia, "il male oscuro". Si insinua entro le mura del Sè, quando il vigilante in un attimo, subdolo, si distrae, volge lo sguardo altrove, assopisce la coscienza, la sentinella sente il peso della veglia, il serpente fulmineo colpisce.
Il caldo sole produce nel Buon Pastore la tentazione letargica, e la tela di Segantini ferma questo istante in questa scena del pascolo. Il resto va da sè, l'accidia mette radici nell'anima e l'immobilizza in un ozio paralizzante come un veleno, come lo sguardo di Medusa o di Narciso nell'acqua.
Il pittore-eremita-montanaro conosceva tutto ciò. Era inscritta nella sua pratica ascetica. Non poteva essere un pedestre allievo nicciano, nè un astuto falsario, un pataccaro che recitava per alzare le quotazioni delle sue opere sul mercato d'arte, allora soprattutto milanesi. Da sempre, davanti ai templi e santuari si piazzano simulatori mendichi malvestiti o nudi e cosparsi di cenere...
Forse solo un romantico che soddisfava le voglie urbane di una belle époque estetizzante e bisognosa di sognare, giù nella grande valle Padana, inebbriata dalla follia industriale e dal progresso sferragliante e illusorio. Se si vuol seriamente pensare al 'Grande Ritorno' sui monti, unico antidoto a quell'enorme imbuto nichilista che si è inghiottito uomini e generazioni a milioni, sradicati da ogni ideale e da ogni valore, che "più nome non ha", oggi terre bruciate tra i cui ruderi rovistano nuovi barbari in cerca di quel che trovano. Se si vuol sperare e non di-sperare, la montagna offre lo scrigno in cui è custodita la pietra preziosa, l'anima che giù è persa.
Ma come far vivere i futuri montanari? Non con l'avvilente consumismo turistico, decine e decine di inpianti di risalita che arrugginiscono sono i trofei di guerra che la montagna vanta, in attesa della "ripresa dei consumi" che, per fortuna, non arriverà mai più? Con con gli artisti, pittori o altri personaggi eccentrici, non con i pensionati che vivono suggendo le loro riserve altrove. Qui c'è terra, erba, alberi, animali che da sempre hanno nutrito gente orgogliosa e fiera della loro diversità inalterabile. Ora relitti di marginalità, rozza e violenta, contaminata, morente oppure malgari da cartolina turistica, morenti anch'essi, anche se magari si pensano di successo.
La nostra speranza è che sempre più tra costoro si aggirino, non altri romantici che non lasciano traccia, ma nuovi personaggi, compagni e sodali d'arme per una guerra santa, che dedichino la loro vita, sorretta in ogni modo e tendente a vivere della generosa montagna, parca ma protettiva, una fratellanza di uomini cementati dalle forse più indistrutibili, uniti dalla fedeltà trascendente di una missione segreta ed incomprensibile ai più: la custodia e la cerca del forziere, del Graal, che contiene l'anima, la speranza di una rinascita di una umanità nuova, un popolo nuovo, anzi antico...insostenibilmente troppo antico. A questa cavalleria spirituale dovremmo guardare!
Certo che se anzichè il tentatore caldo sole giallo, fossimo pervasi da un Sole Nero, freddo, la vigilanza ne uscirebbe rafforzata e le schiere unite sarebbero più prossime!

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