sabato 13 agosto 2011

Storie di betulle, castagni e massi.


Un modo di dire ebraico, recita: 'sei vuoi nascondere qualcosa, mettilo in evidenza'. Ovvero, non c'è miglior nascondiglio per un oggetto, di quello di metterlo nei posti più ovvi: nessuno lo noterà.
A pochi minuti di strada, sul Tracciolino, vi è una radura pianeggiante. Fatto di per sè abbastanza strano. Un pianoro, sia pur limitato, in una zona di montagna erta e severa, attira l'attenzione. Non fosse altro perchè concede un po' di respiro al camminatore che ascende. Veramente inconsueto da queste parti, fare più di cinque passi in piano.

Le necessità della vita moderna hanno imposto a questo luogo una sorte immeritata, al do sotto delle sue possibilità: un comodo parcheggio, in tutte le sstagioni, per trekkers, 'ciaspolai', nel senso di camminatori invernli su ciaspole, o semplicemente per soste domenicali di famigliole con tanto di attrezzature per pranzare alla griglia. Ma, forse, un uso così prosaico di quello spazio è servito a nascondere dietro il velo di vita quotidiana, 'spensierata', qualcosa di più misteroso, che brilla come una pietra preziosa rara, nel chiassoso caos, impietoso frastuono del vivere profano e convulso.

Fatti pochi passi vi appare un masso erratico, forse trascinato da mastodontici sommovimenti dei ghiacciai alpini, lenti, titanici, esaltanti quanto silenti. La mano di un Gigante. Impossibile resistervi. Fin da bambino, si sente questa attrazione a salirvi. o olo sognare di salirvi.

Il cane mi segue; è divertito, tranquillo. Ma appresso ma senza quell'ansia servile di certi cani. Mi segue, a volte mi precede. Sale con me sul masso e mi accomodo in una nicchia scavata dalle itemperie nei secoli, forse. Qui i tempi, sono questi. Dilatati a dismisura. Appena si sfoga le sue effusioni, visto che ora ero col volto a sua portata, mi si apre la possibilità di guardarmi intorno. A compasso, con il centro puntato, come in un centro, sul sasso ricorperto di antichi licheni verdi e bruni.

L'attenzione viene catturata da una betulla che un'edera riveste gentilmente.


E all'improvviso, una valanga di pensieri si rovescia nella mia mente... proveniente da dove? L'edera sta aggredendo la betulla. Un parassita all'attacco della candida corteccia della biula, come qui chiamano quest'albero. Con Gigi, una sera scendendo dal rifugio, declinavamo quesa parola in tutte le sue forme e suoni, la biùla, le biùle, la biùùlaa, eccetera e giù a ridere. Senza sapere il perchè.
Ma no. Non era così. Poteva essere che lapiccola edera stesse facendo quel che poteva per faticosamente prendersi il sacrosanto diritto ad un po di sole. E vista la vicinanzza della biùla, stava semplicemente senza malvagità avvalersi della collaborazione del bel tronco chiaro e diritto dell'albero. Si ma, la lotta per la sopravvivenza? Finirà l'edera di impadronirsi di tutto l'albero ed alla fine di soffocarlo? Perchè questa competizione? Perchè sfigire al suo diktat? Non potrebbe darsi che stiano semplicemente ornandosi in una danza del sole, una specie di sun dance, un richiamo potente e inconsapevole che cci puove e che dà senso ai nostri movimenti? Orienta il nostro agire che altrimenti ci apparirebbe un vano affaccendarsi?

La mente mi sembrava mostrare un inconsueto dinamismo. Volumi di immagini si affastellavano come in un caleidoscopio in perenne movimento. Nasce l'idea che quel posto non sia un 'luogo comune'. Ma un posto molto particolare, speciale.

Eccitato, mi guardo intorno, a compasso, da quel centro, quel vertice geologico. E mi si apre uno scenario maestoso dominato dalla presenza di un solenne soggetto: un maestoso, imponente quanto inconsueto castagno.



Il trono è tozzo, di dimensione ragguardevole. I suoi rami spriori, svettano al sole, secchi e bianchi. Sembrano malati. Braccia contorte dell'umbratile terra o cielo malato che manda piogge acide, radioattive? Non lo so. Ma sembra che alle sue 'spalle' siano allineate, con sapiente disposizione come paggi o armigeri protettivi, ma anche a corteo di regalità solenne, una schiera di betulle. Direi quasi in alta uniforme.

Non porta frutti questo castagno. Ha vissuto ed ha soferto. Mi sembra evidente cche aabbia qualcosa di importante da dire, da comunicare. Chiede attenzione.
Chi parcheggia, si mette scarponi e va, è perso al messaggio del castagno. Chi accende la carbonella di un fumoso grill, festoso, è perso al mesaggio del castagno. Tanti non lo possono udire.

Al suo cospetto accorrono altre folle ansiose di sapere... Forse. Sembrano assetate di conoscenza. Forse rispondono ad un richiamo. Il castagno non fa mostra di smeraldini ricci, copioso di solito in questa stagione. Il suo messaggio non riguarda lo stomaco. Non allude a caldarroste o a farina di castagne. Castagnacci dei miei desideri... delle mie brame... No, non accorrono per questo.
C'è un'ansia spasmodica nella corsa di queste betulle.


Corrono a leggere un messaggio, alquanto enigmatico del castagno, saggio misterioso, Re sapiente, che non concede facile, e demagogico, a tutte le sue verità. Torno allora Vecchio Castagno, Re e centro della scena. Anzi secondo centro, essendo l'altro, il masso erratico. Il portale attraverso cui assisto a questa scena corale. Ma il centro è lui. Il masso è un mezzo. Una sorta di astronave, potremmo dire, strizzando l'occhio al modaiolo new age post-moderno. Ogni cosa strana va bene. Il mistero che rallegra le noiose e stanche serate televisivo delle masse moderne, alienate, prive e allontanate da ogni autentica tradizione.

Il possente castagno porta forse un segno sulla sua vissuta corteccia, contorta, ferita, rughe sapienziali di un sapere antico e sempre disponibile a coloro che sono sulla Via, ai Pellegrini in cammino. La corteccia indica le umide ombre del grande Nord. Si questo potrebbe far parte del messaggio. Ci porta ai paesaggi iperborei, ai ghiacci, ai poli terrestri, alle Terre cave.
Mai farsi cogliere da scrupoli cartesiani e chiedere certezze e chiarezze. Questa ansia di sicurezza non porta che ad uno stato di cose soggette ad un dispositco controllo, un regime poliziesco allucinante. Come appunto il nostro mondo democratico, 'libero', atlantico e perfidamente occidentale, uscito da queste necessità di controllare tutto e tutti, di possedere certezze geometriche e artificiali. Fino ad arrivare all'intelligenza, che intelletto non conosce, 'artificiale'.

Allora sciolgo le vele al "folle volo" simbolico. E mi sovviente un vento di grecale, a muovere le foglie delle biùle che mi suggerisce che il masso aniconico ed il castagno siano allineati a designare una direzione che non punta più agli ambienti eroici, epici, iperborei, dei ostri avi, ma ad un altro centro terrestre, anzi celeste. Se la mente traccia una retta tra il castagno e il masso questa solca lo spazio infinito verso sud ed est. In altri termini, verso la Terra Santa. Si certo, Vi è 'quella' Terra santa. Quella che i cristiani di oggi non hanno più a cuore. Giacchè i suoi pastori romani più non sanno dei segreti detti e gesta del loro Profeta, figlio di Dio. Ma le Terre sante sono tante. Come i Profeti sono tanti, nessun popolo ne è sprovvisto.

Ovunque ci si orienta verso il Sacro è Terra santa. Tanto nei santuari quanto in massi erratici antichi, lontani dalla dimensione profana. Uomini Peregrinanti, ansiosi di bere alla fonte. Uomini erranti da sempre e per sempre, su strade senza ritorno. Erranti come le grandi pietre su cui cullato da frammenti della Madre. Centro celeste mascherato da parcheggio, pienezza celata dalla vacuità.



Nessun commento:

Posta un commento