Incessante la domanda ci assedia. Ma perchè fare questi miglioramenti alla casa? Per chi?
Forse ci eravamo lasciati prendere da quella frenesia di voler apparire con un'abitazione, in confronto a quella dei vicini, più rispettabile e borghese. Magari senza neppure rendercene conto. Ci si giustificava pensando che così, in fondo i soldi spesi sarebbero stati investiti bene; l'abitazione avrebbe assunto un maggiore valore.
I tempi dilatati e la lentezza che ci consentisse di sentire le voci e le urla interne della coscienza. Aprire il grande e misterioso libro degli sconfinati spazi interiori che solo la solitudine della montagna ancora consente, nel frastornante mondo moderno. Voci a volte strazianti, insopportabili, folli, demoniache. A volte sublimi, altrettanto insopportabili, ma per ragioni opposte, per la sovrumana gioia.
Tuttavia, lacerante ci divorarava l'idea che ogni sacrificio, ogni impegno a fare del nostro meglio, nello scegliere una soluzione piuttosto che un'altra, un materiale piuttosto che un altro, sarebbe stato tutto vano se non ci fosse stato poi qualcuno che ne avesso goduto e continuato l'opera che abbiamo iniziato al Tracciolino.
A volte si era perfino parlato della malga come di una possibile sede di un'associazione. Idea buona, ma che sembra andare arenandosi ogni mese che passa, sbiadirsi senza che si veda uno sbocco a questo progetto. Un movimento in quella direzione.
Vedere i figli naturali o spirituali, se ci sono, eredi di cose materiali non ha senso. I primi li venderebbero non appena ne avessero la possibilità, come pietre morte, a poco prezzo, sperdute in un'area priva di un reale mercato immobiliare. Un prospettiva di annichilimento. La seconda, tutta da vedere e da costruire. E lì, in mezzo, noi a chiederci il perchè delle nostre azioni.
Ho posto le mie stesse domande a dei vicini, montanari anche loro per vocazione. Ma le risposte che ottenevo non mi davano alcuna soddisfazione. Soprattutto non placavano le mie ansie.
Mi corre in aiuto il Poeta: "... Intanto io chieggo/A quanto viver mi resti/..../ E fieramente mi si stringe il core, / A pensare come al mondo tutto passa / E quasi orma non lascia...."
Cercavo di aggrapparmi con tutte le mie forze a quel "quasi" che mi pareva lasciare qualche speranza, anche se non sapevo come, dove e perchè.
Non cerchiamo la gloria o la fama dell' "orma" che non lasciamo, in nessuno, men che meno nei figli. Nella solitudina montana del Tracciolino si persegue solo cose semplici, che è solo la miseria dei nostri tempi, a volte, a farceli sembrare grandi. L'integrità umana da restaurare, i tempi da riprenderci per meditare, l'anima da guarire, gli odori del fieno e dell'erba, della stalla, le cose antiche, non vecchie e degradate, che per secoli hanno consentito che l'eterno potesse aleggiare rasente sulla superficie della terra, la terra nera della Madre, umida, umile, ubertosa.
Quel "quasi orma non lascia" non mi dava tregua. Era qualcosa di diverso, dal dolore di una delusione personale esistenziale. Si e no. Si incrociavano i destini personali, ma anche quelli collettivi. Quindi non è mero romanticismo struggente. Lo sento come qualcosa di più essenziale.
Una casa di montagna 'troppo bella' mi ripugna. Mi ripugna come il turismo domenicale. Sto correndo questo rischio? Un cottage per un vecchio snob? Forse qualcosa, in mezzo alla oscura foschia notturna del "dì feriale", il tempo profano, comincia a diradarsi e a mostrare, poco a poco, una luce preludio di Luce immensa del "dì festivo", non spensierato giorno di dolce far nulla a sperperarsi nei divertimenti, ma tempo dedicato al Signore, al Sacro. Unica vero collegamento che ci rassicura con la sua promessa: cammina nel Bene e vedrai che, non "quasi" ma di certo "orma lasci", non in questo tempo che non conta nulla, ma nell'attimo eterno sito tra due momenti, per quanto brevi, di tempo.
Ho potuto ritrovare questa gioia, quando passando per la cucina vecchia che ho trasformato in piccolo laboratorio, appoggiato al muro in verticale, e da qualche tempo, una scritta musiva, era adagiata in attesa di rivitalizzarmi.
Era giunto il momento di portarla alla luce, a riflettere a sua volta la luce delle sue parole. Sicchè, senza esitazione, prendo la lastra e la porto all'esterno.
Dove la metto? Sulla legnaia proprio di fronte all'ingresso della casa. Così mi ricorda del mio Signore non appena esco di casa. Non posso non notarla. E la parola di Dio ci guarda e ci riveste di un abito gioioso di ori e smeraldi inestimabile, non appena si mette il piede fuor di casa. Poi è davanti all'orto. Una ragione in più, penso. Mentro mi aggiro tra l'insalata e i cavoli nell'umile lavoro di portare qualcosa di buono in tavola, ci guardiamo, ne avverto la presenza anche quando gli dò le spalle. Non potrò ignorare il "dì festivo", il dì del nostro 'pane quotidiano', il dì non tanto della Sua presenza, quanto quello del ricordo della Sua onnipresenza, al di là del miserevole oblio dell'umano.
La lastra musiva riferisce parole sacre di un'altra lingua, ma Dio è un gran poliglotta, se parla persino con il silenzio, figuriamoci con un'altra lingua. Sono solo quattro parole.
Per consuetudine si potrebbe rendere con "nel nome di Dio, il Clemente, il Misericordioso". Dico per consuetudine. Perchè il suo significato sconfina al di là dell'umano. Essendo parole di Dio, non sono traducibili, sono solo aprossimabili. Diffida dal primo arabo che si avvicina, e te lo spiega. Non può farlo. Non ci riuscirebbe mai. E' parola di Dio.
Quando pronuncia i due attributi, richiama, due tra i novantanove nomi del Signore, i più ricorrenti, nel Testo sacro, nella lingua liturgica e nella vita comune del Suo servo. Quasi impossibili da spiegare, pare alludano matrice-materia-maternità del divino, della Sua dimora, del Suo essere Altrove.
Da destra, si vede una lettera, la 'ba', si scrive col puntino sotto. Poi, la parola 'nome'. Quella 'b' equivale al fuoco intorno cui ruota tutta la frase. 'Nel' ma anche 'con', ma anche 'grazie al' nome di Dio che tutto consente. E' la preposizione, a fronte di tre sostantivi. Ma li regge tutti e tre. E' anche 'per mezzo' di questa 'b' che si realizza il resto.
E siccome il puntino se ad esempio stesse sopra cambierebbe di significato, e diventerebbe un'altra lettera, tutta la potenza di Di Dio è nascosta il quel puntino.
Ecco come ci può apparire Dio: un puntino nello spazio infinito, senza il quale non avremmo possibilità di orientarci, senza il quale non saremmo nulla. La modernità ci vuole dei nulla, senza punti che diano senso al Tutto, dispersi, persi e smarriti nel dolore di una esistenza 'senza traccia'. Vissuti invano. Persi al Cielo, vaganti nelle Tenebre.
Da qualche giorno, al Tracciolino, nella terra-madre-uterina-nera, un puntino rischiara le nostre esistenze.