domenica 30 dicembre 2012

La cartolina di Buon Anno!





Servono parole di commento? Auguriamo a tutti coloro che leggono di dire basta con la pazienza e con la rassegnazione, speriamo che vada esaurendosi ogni tipo di tolleranza verso costoro che poi ci vengono a fare la lezioncina morale, economica, di storia e politica. Stiano zitti questi 'riformatori', e vadano ad imparare silenziosamente e umilmente da chi deve guadagnarsi onestamente il pane quotidiano con la loro operosità, non con le chiacchiere. E rifondano il maltolto!



Non usiamo, a ragion veduta, la parola 'casta', per denotare questi personaggi nel loro insieme, giacchè non riteniamo opportuno scomodare concetti antichi troppo nobili. Benchè spesso usata a questo proposito, ci sembra assai poco idonea a spiegare la situazione moderna. Il problema non sono loro, ma l'oscurità culturale e civile di cui loro sono solo benpagati camerieri di periferia.

Auguriamo a tutti che non si indugi oltre, e noi tutti si invochi il redde rationem, il giorno del giudizio. Che si smetta di credere a tutte le loro bugie, di credere che 'ogni acqua ci lavi', la loro 'acqua' ci sporca, e si cominci a ricostruire dai pezzi che ci rimangono una visione nuova, ed antichissima allo stesso tempo, che ci possa illuminare il cammino, a noi stessi e alla nostra gente. Un visione forte, basata su princìpi solidi, saggi e tradizionali. Contro l'economia usuraria e dell'interesse sul debito che offende bontà divina, per la Luce che dà luce alle luci per noi che siamo soltanto  la Sua ombra.










Vedere:

http://andreacarancini.blogspot.it/ 





lunedì 24 dicembre 2012

"Stabilizzare le parole": come l'usura logora (anche) le parole.


Durante la guerra non aveva sparato neppure un colpo. Messo in gabbia in Italia e trascorsi 13 anni di manicomio in trattamento obbligatorio, era reo di aver pensato.  Mai processato per tradimento, si dice per clemenza della giustizia statunitense, molto più verosimilmente perchè gli avrebbe concesso la possibilità di diventare, da accusato, accusatore, di ribaltare quell'accusa di tradimento: non era lui il traditore, ma i suoi compatrioti americani che avevano tradito l'America, le loro origini.
Aveva pensato cose che non coincidevano, anzi contrastavano, con quelle dei vincitori. Per averle comunicate per radio, forse. O, forse, per essere un americano, che sconfessava dal di dentro, dalle viscere interne, quella voce andava zittita, e si può diventare cattivi quando il sangue si rivolta contro.
Fatto scalo a Napoli nel 1958, liberato dopo una prigionia che cominciava mediaticamente ad apparire sempre più un boomerang, provato nel fisico rimette piede nella sua amata Seconda Patria, oramai in pieno processo di defascistizzazione culturale a ritmo di boogie-woogie, blue-jeans e chewing-gum, sul piano del costume, e ubriacature democratiche, il trionfo del caos progressista, sul piano della cultura di massa.
Non se ne era ancora accorto. Non poteva. Aveva vissuto in rigoroso isolamento.
Il quotidiano Il Giorno del 10 luglio 1958, il giorno seguente il suo arrivo, riporta alcune sue battute: "Tutta l'America è un manicomio." Oggi a oltre mezzo secolo di distanza possiamo coglierne la portata profetica. Certo, se a dirlo non è un "taxi driver" qualunque, o un 'poeta maledetto', ma un poeta e scrittore di fama che ha sempre saputo della follia degli 'Alleati', la cosa ha un significato diverso. Troppe cose andrebbero ridiscusse.
"La mia fortuna è stata quella di aver trascorso tutto il periodo del mio soggiorno americano in un manicomio (immense insane asylum). Oggi è l'unico posto ove si possa vivere negli Stati Uniti". Ove si possa vivere autenticamente, sembra volesse dire, dove le cose appaiono per quelle che sono.
Lungi dall'averlo scalfito, nel '58, Pound - poichè è di lui che stiamo parlando se non si era ancora capito  - anzi il suo animo non era affatto sconfitto. Era uscito dalla tempesta, da buono marinaio, rafforzato.
E, pronto a riprendere il suo posto, non si era avvisto che era solo, completamente solo. Nessun camerata al suo fianco, solo vaghe e prudenti dimostrazioni di simpatia letteraria. La Repubblica Sociale  un caso archiviato dalla Storia, in fretta e senza processo, come verso i perdenti per i quali non vi è nè poco nè tanto tempo da perdere. Oggi si parla frequentemente di 'male assoluto'.
Che ancora non avesse colto, o stentasse a cogliere, la nuova realtà post-bellica, certo favorita da una cronica viltà d'animo e assenza di orgoglio nazionale, lo testimoniano le sue parole di quegli anni, ancora bellicose, come un fedele soldato giapponese che, sperduto in qualche isola del pacifico negli anni '50 e quasi '60, ancora non ha realizzato la sconfitta nel conflitto mondiale e i cambiamenti che questa ha introdotto. 
Il valoroso Cavaliere, lancia in resta, va alla disarciona del nemico, la battaglia è sempre quella, la purezza della sua Dama:
"Non si è capito ancora abbastanza che l’usuraio ed il nomade, tutti e due, attaccano sempre l’agricoltura. L’economia matura è agricola, il nomade è troppo pigro, o troppo impaziente, per coltivare la terra. Vaga. Ruba. L’usura attacca dall’altro lato. L’usuraio impone una tassa. Aumenta sempre questa tassa finché il contadino muore di fame. La terra perde valore in una civiltà corrotta. Quando diviene impossibile di vivere lavorando la terra, e magari quando il latifondista s’impoverisce sempre di più, decade e poi fa alleanza coll’usuraio, etc. In questa luce l’alleanza plutocratica-bolscevica deve perdere ogni mistero." (Cultura nel mondo, sett.ott. 1958). Sintesi magistrale di secoli di storia.


La figlia che gli fu vicino e viveva con empatia i sentimenti del padre, descrive la situazione in questi termini: "Si era ancora illuso di tornare in Italia nel 1958 da Eracle vittorioso, pieno di vigore fisico e di voglia di vivere. Quando si accorse che portava una strettamente burocratica camicia di Nesso e, in un mondo di 'cartapesta', vide crollare definitivamente ogni speranza di libertà, reclamò la cicuta, preferibile alla finzione e alla morte civile". 
Con lui, tutti gli Eroi di quell'epica guerra, la vera Grande Guerra, furono sconfitti. Non possiamo limitarci però a vedere in una neutra camicia di Nesso il nemico, neppure nel suo 'mondo di cartapesta'. Chi fosse Nesso, l'amante indegno, non i Deianira ma di Europa, lo dice Pound stesso. Ed i suoi veri figli sono quegli spiriti che raccolgono dalla polvere gli emblemi della sua critica. Oggi, quando più si vede palese come l'Europa schiava deprivi della libertà nazionali i suoi popoli ad opera di banksters organizzati su scala mondiale, oggi più che mai si può vedere quanto sia vero l'eterno combattimento di quel Cavaliere per la sua Dama.
Quando prende coscienza che non solo l'America, ma tutto il mondo è un manicomio, che non esiste più neppure nell'Italia di Cavalcanti e del Dolce Stil Novo, un'isola felice in cui si possa conversare con un amico, che quest'isola felice, la polis celeste, la speranza di libertà non è più di questo mondo, un mondo silenzioso privo di interlocutori, ma di un mondo e uomini che dovranno venire, il cangiamento d'animo sarà quello del "tempus tacendi".
La parola gli appare come una potente magia, attira la sua attenzione di studioso. Il mondo è caduto sotto un incantesimo malefico. Come risvegliarlo? Occorre studiare il potere della parola che ha prodotto tale maligno sortilegio.
L'espressione "alleanza plutocratica-bolscevica" ha perso tutto il suo potere, non solo la guerra, per Pound vi è qualcosa di più. "Queste due parole sono plurisillabe", constaterà con amarezza.
Studia "il mistero dell'efficacia della propaganda", ne conclude che due sono i terreni sensibili da indagare. Da una parte, la variabile economica e ne deduce che "il centralino usuraio è New York, quindi nessun bisogno di importare i fondi [i capitali] per lanciare edizioni di libri e di periodici [necessari alla propaganda]". Dall'altra, la  variabile umana che lo spinge a rappresentare "il terreno umano dove cresce l’erba mala? Questo terreno è costituito in parte dai cuori generosi che, bevendo la diagnostica di Marx, bevono anche il rimedio falso." 
Da sempre il lavoro di falsificazione della realtà è opera del Maligno, o Satana se si preferisce, detto anche 'il Grande Falsario'. Lo scambio di posizione e ruolo operato tramite la parola. L'oppressore come liberatore, e viceversa. Il succube del potere mondano per il salvatore, la malattia per il medico, i banchieri come i salvatori, i protettori da pericoli abissali, loro salvaguardano i pensionati e i lavoratori, ormai senza lavoro almeno finchè non saranno 'cinesizzati'. In questa logica dell'efficacia della parola, della propaganda, i loro provvedimenti si chiamano 'salva-Italia' o 'salva-Grecia'. I loro decreti vengono nominati in modi instabili, come la rinominazione della legge 'finanziaria', con la denominazione 'legge di stabilità'. Anche a livello europeo si parla di 'patto di stabilità'.
I termini 'sodomia' e 'pedofilia', complici tra l'altro le associazioni psichitriche, vendono declassati, successivamente considerati offensivi. Oggi si parla piuttosto dei viziosi 'omofobi' che dovrebbero sottoporsi a trattamenti di 'cura'. I pedofili sono solo 'minor-attracted people'. Dall'espressione 'femminismo' si è passati al neologismo 'femminicidio', dogma indiscutibile. E' cronaca di questi giorni, dopo la superba scoperta antropologica che gli illuminati tempi moderni hanno portato alla luce: la categoria criminologica degli 'uomini che odiano le donne'. Ed in cantiere si sta già preparando la nuova frontiera: la 'necrofilia'. Si, perchè il corpo non può dire di no, non può subire le altrui restrizioni, e accettare limitazioni imposte.
Solo un poeta-economista, lambiccando da vero alchimista dagli opposti radicali, produce la sintesi. Sarebbe errato indagare il potere della parola. Questo 'errore' Pound lo chiama, con tocco gentile, 'intemperanza'. Simile esercizio non ci libererà dalla parola, ma ne riproduce arzigogoli talmudici in cui sguazzano gli accademici  e tutti i gauchistes, maitres à penser, piccoli o grandi lettori e glossatori di Marx. La dan da bere, la velenosa vulgata marxista, ma la spacciano per medicina. La sua proposta è un'altra, radicalmente diversa. Liberarsi della parola, farne un ideogramma, e coglierne i significati nella tradizione confuciana. Ma credo che per lui valesse la stessa argomentazione anche parlando di geroglifici egizi, o petroglifi precolombiani. Un allineamento di pietre, uno schema di scarificazioni corporee, cicatrici, manipolazioni, tatuaggi, o un disegno parietale o un mandala.
"È precisamente contro questa intemperanza che io invoco lo studio dell’ideogramma, e dei princìpi confuciani, fra i quali la 'definizione della parola', la stabilizzazione della terminologia instabile".
La stabilizzazione della terminologia instabile appare un progetto sofisticato e complesso. Al contrario ha risvolti molto pratici. Solo per fare alcuni esempi, si consideri l'instabilità del termine 'spread', divario, come arma politica di ricatto, arma terroristica di instabilità di massa. Oppure come il termine 'casta' rilevi di una instabilità sovversiva, mette sottosopra il suo significato originario. Analogamente per i termini 'corporazione' o 'corporativo', affetto da instabilità peggiorativa, financo a contaminarne il suo significato storico medievale.
L'alchimista della parola Pound anticipa la revisione dei significati, che cambiano a seconda dei flutti in perenne mobilità della storia. Prelude non tanto allo smascheramento linguistico e semiologico della parola, non tanto a far emergere la mano che opera la costante legge di instabilità, l'opposizione ad ogni lavoro di 'revisionismo storico' in campo semantico, ma inquadra tale lavoro in una evasione dal campo limitato della parola stessa, verso una scrittura, una gestualità della comunicazione in senso lato, che trovi una comprensione solo all'interno di un percorso di ricerca nell'ambito del sapere tradizionale.
Il segno attraversa il corpo, lo trafigge, lo transumana, lo superomizza,  lo trasluce, lo innalza. Lo purifica, lo ritualizza.
In altri termini, opera quella trasformazione della parola-propaganda in una percezione metafisica, sfuggendo alle trappole tese dal grande Falsificatore.
E tutto a partire dalla madre di tutte le imposture, cui anche il Pastor di Roma, un tempo ostile, ora si è adeguato, l'usura. Che il denaro possa produrre altro denaro, e non importa in che misura (tasso di interesse), questo è il luogo ove tutto si appunta. La madre di tutte le speculazioni. Non viene attuata come si vuol fare credere per avidità di guadagno, sete smodata di arricchimento, un sintomo di avarizia. No. Insegna Marx he il denaro non possiede un 'valore d'uso'. Anzi ne ha uno sottile che non menziona.
L'illecito non si consuma nell'eccesso, in un tasso di interesse eccessivo, esorbitante, o usuraio, sottintendendo che  ve ne sia uno lecito. Bensì, fatto ben più rilevante,  l'usura di fatto si presenta come uno strumento di potere, di ricatto, di pressione morale, di colpevolizzazione, uno strumento politico di condizionamento e di soggezione, sotto tutte le forme, del debitore.
Non a caso nel mondo moderno sulle spalle di ogni neonato che viene alla luce, dicono le statistiche, 'pesa' un debito di oltre trentamila euri. Ma non diranno mai quanto gli costerà la 'dislocazione', la 'mobilità' semantica delle parole che si troverà ad impiegare!





http://www.azionetradizionale.com/2012/12/18/quando-ezra-pound-rientro-in-italia/




sabato 15 dicembre 2012

Agli eremiti di ogni tempo, Pellegrini dell'Ansia.

Un attimo di gelida poesia, di un poeta che conosce il freddo e la fame perchè l'ha visuta lassù in montagna, non molto lontano da noi, quassù sulle Alpi, il nostro piccolo Tibet.
Dove poche sono le parole e inteni i gesti. Dove uomini ed animali ancora soffrono e gioiscono insieme nella bella stagione come in quella brutta.
Segantini, apostolo di Zaratustra, allievo di Nietzsche, fece 'il gran rifiuto'. Voltò le palle le spalle a Milano, la città degli affari e dei traffici, dei mercanti di ogni genere, anche di quelli d'arte ovviamente, dove il denaro esercita prepotente il suo dirompente fascino diabolico sulla idealità del lavoro, creativo e produttivo. Recita una voce popolare, spia di vilipendio, 'chi vòlta al cù a Milan, vòlta al cù al pàn'. Il 'consolamentum' laico della sovversione in questo modo ricompensa i suoi adepti.Ma per lui, trentino, l'aspirazione alla montagna si tinge un sapore atavico.
La città delle suadenti occasioni che cambia la fortuna degli uomini. Se le vivi lontano o la fuggi, vivi lontano dalla cosiddetta 'realtà'. Cosi dice? Sei 'fuori dal mondo'. E la 'fuga mundi' non è più cosa dei giorni nostri. Ma lo è stato mai in qualche tempo? La onnifagia del del denaro, l'affaccendamento maniale come surrogato del senso della vita, l'ha col tempo scarnificata e ridotta alla tristemente nota della città 'da bere', della moda, e da capitale morale quale ora sta rivelando il ssuo vero volto consumato di vecchia prostituta. Il sangue del suo popolo non vi circola più, ora è multietnica, fieramente meticcia, stracciona, povera, senza dignità, e a fatica il belletto copre il vizio, ben visibile sotto l'ormai sottile velo di cipria. Una 'Corte dei miracoli', tarata e tossicodipendente dal denaro, dall'oro, da insulse merci 'senza qualità', per dirla alla Musil, made in China, bivacca per le strade con sguardo predatorio e parassita. Come le Guardie Rosse nel '17 davanti al Palazzo del Cesare.
Unica e 'divorante' preoccupazione dei nostri tempi, deboli e malati.Plebaglia arivistica: non s'avvede di accapigliarsi per un bottino sempre più miserabile? Città fagocitata dal mondialismo. Quasi impossibile riconoscerla. C'è ancora qualcosa di salvabile?
Pensiamo ben poco. Segantini pensava di no, per questo salì sulle Alpi.. E De giorgio neppure, dopo la sconfitta dei bei sogni, con il crollo dell'Europa nel 1945, sotto i colpi dei Banchieri mondiali associati, o, come si diceva allora, Alleati. Voltò il pittore-eremita le spalle a tanto benessere, per i monti della Engadina, sulle orme di quell'ebbro camminatore solitario che fu Nietzsche. Convinto dal consiglio dionisiaco, dalla sua Cibele, la Madre Nera, dal richiamo virile ad affrontare le cose vere da buon guerriero, Laurin o Wotan, la la sua scelta.





Qualcuno dirà che  fu un finto eremita e il suo isolamento studiato a tavolino per alzare le quotazione delle sue tele nel mercanto civile e urbano. Non credete loro. Sono i solito disseminatori di dubbi e malafede sotto spiecie di visione critica e disincantata. Sono coloro che lavorano in Borsa, anzi che l'hanno inventata, che Khristo pare provò a scacciare dal Tempio. La solitudine della sua esistenza, immancabile compagna del Pellegrino, parla più di ogni malevolo bisbiglio ingannatore nell'orecchio.
Con la sua cassetta dei colori, le sue matite e le sue tele, sale sui duemila, laddove l'aria è tersa e l'inverno un Maestro di vita, un iniziatore al Mistero. Un Oracolo a lungo atteso e sofferto, lacrima di gioia per il Pellegrino nella deserta - il vero deserto civile - landa della modernità.
Più vicino a noi nel tempo, altro asceta, Guido di Giorgio, chiese asilo al grembo montano della Madre, sulle Alpi, lui che era originario di Benevento, ma piemontese di elezione, e spirito chiamato, ispirato e iniziato.
A loro pensiamo si addicano le parole che Proust dedica a Ruskin, e, con pecca di presunzione, ci illudiamo che possano essere d'insegnamento anche per noi.
Lo Spirito dei fratelli, Pellegrini dell'Ansia, che oggi spendono i loro giorni neo 'gran rifiuto, sulle Alpi, vive in compagnia di coloro che ci hanno preceduti, poeti, pittori o malgari, vive "ritirato nella solitudine dove spesso vanno a chiudersi le esistenze profetiche sino a che piace a Dio di richiamare a sè il cenobita o l'asceta il cui compito sovrumano è finito" (pag. 35 del commento di Proust alla Bibbia d'Amiens, Milano, 1988).
Il sole freddo dell'inverno, la stagione che ruota intorno al solstizio, celebra la morte e la resurrezione degli astri. Le cime inviolate - nonstante tutto - come il pensiero degli Dèi, propone il suo Sole freddo o Sole Nero. Presto le luci benedette avranno il sopravvento sull'oscurità dei Tempi e la vita tornerà a risplendere. Il freddo e il Male non hanno che vita effimera e illusoria.


giovedì 13 dicembre 2012

Nel mondo dei sogni.


Siamo solo di passaggio: la porta di accesso alla possibilità di vivere la metafisica, la trascendenza, la tradizione.




Molti termini indigeni erano e parzialmente sono usati per definire la dimensione trascendentale in cui il mondo sensibile manifesto è reso leggibile.
La traduzione sommaria affermatasi nell'abitudine dei white australians, dei personaggi strani e temibili di colore bianco, che sono arrivati qui per rimanere, e questo è il guaio, è un neologismo inglese dreaming. 
White men got no dreaming dicono sentitamente gli indigeni.

Insomma, un sogno in cambio di un incubo.






I tecnici e la salvezza.



A volte ci si affanna in biografie, introspezioni psicologiche, studi del carattere, ci si affida ad abitudini e alla fine abbandoniamo la presa e rinunciamo a capire chi siamo.
Nessuno specchio sembra riflettere la nostra genuina identità. Anzi, persino l'identità stessa sembra offuscarsi, sembra diventi una nozione incerta e discutibile. Si cede allo scetticismo più radicale, una forma di pirronismo onnipervasivo: si finisce per vedere solo maschere negli specchi, mai dei veri volti di una realtà, magari precaria, ma certa.
Del resto in un mondo dominato da comportamenti che ruotano intorno al denaro - in tutte le sue manifestazioni temporali, spaziali, morali e metafisiche, contrarie alle forme tradizionali, e parodianti la ritualità - come il moderno idolo che tutto orienta ed in funzione del quale i pensieri si serrano in una concatenazione maligna e coerente, non deve stupire se nessuna nozione si salvi da una 'negoziazione', una 'contrattazione', una 'ridefinizione' secondo nuovo accordi anche dei significati delle cose.
A ben pensarci, ci sembra che questa prassi, che si esplica in un silenzioso lavorio quotidiano, come l'erosione che l'acqua esercita anche sulla più tenace roccia, sia il cuore segreto, perchè silente non perché particolarmente ascoso, del cambiamento, del progresso, della grande illusione, del miglioramento a tutto campo, della sfida tecnologica innovativa incontrovertibile, del necessario riverbero che tutto ciò deve produrre nella mentalità moderna.



In fondo, per conoscere il nostro vero volto di noi moderni, basterebbe guardarci intorno. In ciò che facciamo è impressa l'impronta, la cifra indelebile di ciò che siamo diventati. Inascoltato il monito antico, Krònos ci ha inghiottiti, noi figli suoi. Del resto l'usura è 'essenzialmente' cannibalica.
Se da un lato la tecnologia altro non pare che la forma concreta e applicativa della scienza, distinta non per gerarchia, ma per funzione e campi di azione, dall'altro gli addetti ai lavori e i 'filosofi' della scienza sono ben disposti a riconoscere una reciproca fecondazione di queste due istanze. La scienza procede grazie all'apporto prodotto in ambito tecnologico, e viceversa. Ed insieme cooperano, attori in primo piano,  nel processo di 'solidificazione' della concezione moderna, assiomatica, indiscutibile. Entrambe queste forme moderne di conoscenza presentano il loro cammino e destino comune, determinato non da una esigenza di autoperfezionamento, di ricerca, da un moto intrinseco verso la perfezione. Laddove il Perfetto viene sostituito dall'utile, chiaramente la convenienza e il profittevole si ergono a dirigerne le scelte, criteri, indirizzi, programmi e risultati.
All'utile, o al denaro di cui ne costituisce la rappresentazione, non compete tuttavia disprezzo, che sarebbe fatalmente destinato al peggio, e perirebbe sotto il peso critico dell'accusa di ipocrisia, ma ad esso compete il riconoscimento del 'suo' posto nell'ambito di una gerarchia di sapere e di simboli. Quale natura compromessa avrebbe l'idolatria del suo opposto, dell' 'inutile', dell' 'effimero', della 'decrescita felice' e del minimalismo mondano e modaiolo? Nel momento in cui assurge o mira a sostituire la Perfezione, è chiaro che ambisce ad usurpare l'Essere, e così facendo deborda  dal suo naturale alveo per costituirsi in una neo- e contro-teologia d'aggressione ai Princìpi (della tradizione). Solo in quanto tale va avversata e la sua portata va doverosamente conosciuta.



Ed estendendosi ben oltri i confini di ciò che è materiale, il suo influsso agisce pesantemente anche sulle parti sottili dell'essere umano. Diciamo, sulla mentalità.
Così, ad esempio, in una civiltà mondializzata come quella moderna, sempre più senza differenze tra Oriente e Occidente, in cui alla tecnologia viene addossata una funzione salvifica che non le compete, il meccanicismo tende a diventare una sorta di elemento 'naturale' nel panorama, solido come le cose meccaniche che diventano una 'necessità', un 'modo di essere', una seconda pelle. Tanto un modus operandi quanto un modus explicandi. La fisiologia umana è fatta da pompe, filtri, pressioni, circuiti elettrici, leve, ecc. Sovra tutto regna l'idea che una raffinata 'caldaia' produca energia, calorie, a partire da combustibili che vi vengono immessi in quantità e qualità da regolarsi opportunamente. Non a caso, sia detto per inciso, l'obesità viene definita, dai tecnici stessi che promuovono questa immagine, flagello della società moderna. Noi ed il Golem, come distinti e noi stessi, intrisi di Golem, siamo diventati di sostanza 'golemica', artificiale, macchinica, senza anima (se non, per l'appunto, artificiale!).
Di conseguenza, andando verso l'esaurimento naturale, la saturazione consumistica della 'caldaia', sia individuale che collettiva o sociale, comprensibilmente,  ci propongono senza indugi la cura dell'astinenza, digiuno e castità, a volte dette anche 'sobrietà'. Sembrerebbero riscoperte di antichi 'valori', ma in tutta evidenza, non si tratta di questo. Nulla sembra così demodé quanto le virtù. D'altro canto, sembra poco probabile parlare di una coincidenza. Sembrerebbe rispondere più ad una logica di speculare sovversione: come se il materialismo volesse dettare le sue leggi per la redefinizione della morale per volerne stabilire una simulacrità capovolta.
Se il terreno della tecnologia si rivela principalmente sul versante empirico, in quanto utensile, strumento, o sistemi razionali di macchine utensili, su altro versante, si rivela potente mezzo di persuasione sottile ed efficace. Lo sanno bene quei personaggi, missionari, nel senso religioso del termine e nel senso ampio di funzionari a vario titolo della 'causa' coloniale dell'Occidentale, quanto un medico o un ingegnere possa favorire la penetrazione di quei nuovi spazi e 'opportunità'.  Occorrerebbe il discernimento di saper conoscere quando questo strumento razionale diventa un utile oggetto nella mano dell'artigiano, il prolungamento del suo essere, da quando diventa uno strumento (macchina) per il suo asservimento, nella  veste di operaio industrializzato di massa, serializzato,  salarizzato, anonimo. Un'arma efficace per la guerra giusta, l'unica giusta, in altre parole.
Le potenzialità dello strumento, la sua efficacia, va riconosciuta sui suoi due versanti: quello per cui serve e quello di chi lo usa. Insomma, come una spada ferisce per la punta, per cui è stata pensata,  potrebbe anche degradare chi la usa malamente dalla parte, da quella della mano, dall'impugnatura. Nel campo meccanicistico non sempre è facile, e quasi mai è 'utile', distinguere chi sia il colpevole e chi la vittima. Chi va in macchina da chi viene meccanizzato. Un gioco tragico di specchi e di ruoli. Chi la fa l'aspetti.




sabato 8 dicembre 2012

La lezione di san Martino.



Tra le singolarità che si incontrano nella storia di san Martino, molto popolare e diffuso in tutta Europa dai primi secoli della cristianità, non ultima va ricordata la ventura di imbattersi in un eccellente, per sensibilità, interprete. Mi riferisco alle pagine che John Ruskin dedica a Martino nella sua bibbia d'Amiens.


Un giorno di rigido inverno, pressapoco come in questi giorni, usciva a cavallo da Amiens, quasi due secoli prima della conversione di Re Clodoveo, un soldato romano avvolto nel suo mantello di cavaliere, dalla porta della grande strada romana che conduceva da Lione a Boulogne.
Si può supporre che uscendo dalla città, il giorno invernale freddo, gelido il vento che spazza la campagna da est, ci si soffermi "qualche momento in questo luogo  a sentire il suo soffio", in quell'inverno dell'anno 332 mentre molta gente moriva di freddo nelle strade di Amiens. In quel momento preciso, il cavaliere romano "incontrò un mendicante nudo, tremante di freddo, e, non vedendo altro mezzo per ripararlo, trasse la spada, divise il suo mantello in due e gliene diede metà.
Commenta Ruskin: "Non un dono che manda in rovina chi lo offre, neppure di una generosità commovente". Rifugge la platealità del donare tutto intiero il mantello, immagine cara a certa apologetica. Non un gesto fatto per prendersi una visibilità, si direbbe oggi, o per finalità didascaliche o pastorali. Niente di tutto ciò.
"Il soldato romano non era un cristiano e compiva la sua carità serena con semplicità, e tuttavia con prudenza". Prudenza che lungi dall'essere appagamento egoistico, sembra un equilibrato atteggiamento di attenzione verso i bisogni del proprio corpo. Martino ha bisogno della sua parte di mantello.  Anche su di lui l'inverno morde. Anche a cavallo, egli è di viaggio, gli arti semi assiderati, pretendono la loro parte. 
La lezione di Martino non si esaurisce in questa decisione, magari un pizzico di saggezza "pagana" di riguardo per le sue esigenze fisiche. Non ci si spinga a volerlo considerare un moderato, antifanatico, quasi un proto-comunista che condivide con i poveri la sua ricchezza pagana. Nessun terzomondismo o 'teologia della liberazione' di stampo socialistoide lo potrà mai avocare a suo precursore o padre fondatore. Se queste preoccupazioni sociologiche verso chi non hà (affinché abbia qualcosa di più) tradiscono la predominanza mondana del cristianesimo moderno tutto assorbito, più o meno consapevolmente, dalle necessità materiali, implicitamente persuasa che prima viene la pancia e poi Dio e le cose spirituali, non così era ai tempi degli spiriti forti in cui visse Martino. In tempi in cui era considerato "naturale" riconoscere la supremazia dell'ordine metafisico sugli avvenimenti della storia contingente, soggetti ad una infinita variabilità non sottoponibile ad una seria conoscenza. Un tempo in cui ancora le Cose prime venivano prima.
Ma, prima di andare oltre, occorre ricordare due episodi importanti della sua storia, e qui non ha rilevanza alcuna la necessità di determinarne la veridicità storica o meno, non tanto per incredulità o creduloneria del credente, esoneriamoci una volta tanto dalle diatribe revisionistiche della Storia, con la esse maiuscola. Oltretutto il marxismo non concede spazio ai sentimenti, assiso come pretende di dover essere sul trono beffardo del sapere scientifico. Potremmo quietamente convenire con Ruskin, dicendo che nel carattere di Martino il destino lo porta "soltanto (verso) la cosa giusta, al momento giusto".
Il primo episodio 'biografico' o agiografico è, come spesso succedeva alle persone normali di una civiltà tradizionale, l'esperienza onirica prima che il campo venisse occupato dalle preoccupazioni freudiane, di tutt'altro ordine. Un sogno necessariamente 'visionario', imaginifico. Segni provenienti da un Altrove.


"Vide in sogno Nostro Signore che stava davanti a lui, in mezzo agli angeli: portava sulle spalle la metà del mantello che egli aveva donato al mendicante.
E Gesù disse agli angeli che erano intorno a lui: 
- Sapete chi mi ha vestito così? Il mio servitore Martino, sebbene non ancora battezzato, ha fatto ciò".
Vorreste forse intendere che dopo il suo gesto,  venga sollecitato a battezzarsi e con ciò, in epoca di conversioni 'politiche', da Clodoveo a Costantino, a convertirsi?
Quando una simile interpretazione si fa largo, la chiesa si fa carico della preoccuazione temporale e istituzionale di ordine storico, di governo, e accresce la sfiducia nella Provvidenza misericordiosa. Meglio ci convince, nel sogno di Martino, quel "sebbene non ancora battezzato" a voler significare: 'non esiste essere umano che sia lontano da Me (quantunque non battezzato) purché agisca con rettitudine e bontà, in ciò ergendosi a Mio servitore'.
Certo è in gioco la preoccupazione rituale del sacerdozio, che rischia di farsi strumento di privilegio di un monopolio sacramentale esclusivo. Non vogliamo ricorrere ad un argomento che poi fu tipico della ribellione protestante, ma neppure possiamo permetterci di trascurare o essere accomodanti sulle esigenze di chiarezza principiale.
La lezione di Martino è chiara: non esigenze chiesastiche, ma sostanziali possono derimere la questione. 
E la questione basilare per il farsi 'romano' del cristianesimo, dopo aver conflitto, differenziatosi, emancipatosi dalla sinagoga, la casa madre, sta nel rapportarsi in modo universale, il che implica l'accoglienza delle sensibilità e delle forme religiose e spirituali pre-esistenti. Universalità che la civiltà romana certo riconosceva, anche se non senza contraddizioni, nel suo contatto con i popoli europei. 
Il sogno di Martino assolve dal 'pregiudizio pagano', dalle accuse di idolatria, dalle reciproche ritorsioni teologico-politiche sempre impliciti e incombenti nel cristianesimo antico. Non esercita pressioni sui suoi ufficiali, non sottopone a ricatti i suoi militi. Una volta 'convertito' non predica e non cerca accoliti per la 'nuova fede', il soldato romano non cerca di far proseliti nella sua corte, li lascia ai loro Dèi, serenamente: è l'altra metà del mantello. Sa bene che non è compito suo quello. 
Forse non conosce Matteo, cap. 3, Dio può far nascere figli dalle pietre, ma sa che può, se lo volesse, apparire loro in sogno e sbaragliare i loro cuori. Non sa se lo farà, ma sa che anche i non battezzati hanno un'anima in cui rettitudine e bontà dimorano come in quella di un battezzato, secondo come spira il vento dello Spirito.
Solo così le cose giuste accadono, e cadono come grazia, dall'alto, sulla terra.  
Martino conosce quella "essenziale spaziosità" di cui parla Romano Amerio. Scevro dai limiti angusti dei dogmi curiali e dalle preoccupazioni dei confini  tra ortodossia ed eterodossia, non tra una religione e l'altra,
Ma al soldato si addice la pugna, ed arriviamo al secondo episodio apologetico. Quando Martino vuole ritirarsi dalle armi, avanti negli anni, l'imperatore Giuliano, che chiamava i cristiani col termine "galilei", per rimarcarne la loro estraneità alle tradizioni romane ed i cristiani chiamavano "pagani", cioè zootici, i romani e i latinizzati in vario grado, lo accusò di pusillanimità. Martino si impegna a vincere in battaglia con le sole armi della fede, della croce. Giuliano accetta, certo della sua sconfitta imbelle. Ma, storicamente vero o non vero non importa, lo si è detto, la vigilia del giorno in cui fa conto di metterlo alla prova, il nemico manda un'ambasciata con offerte di sottomissione e di pace.
La lezione di Martino viene così a confermarsi, novello Costantino, ma molto più periferico, un modesto comandante che si preoccupa persino che i mendicanti non abbiano molto a soffrire nei freddi inverni del nord Europa. La sua battaglia è solo quella interna, una forma di jihad ante litteram, non conosce confini, casacche di un colore o dell'altro, la fede non è un partito politico, nè lo potrà mai essere poichè Dio è unità e non parzialità, è totalità, non democrazia, verità solida non flebile opinione. 


Il mantello di Martino porta lontano. Non un semplice panno, utile per l'inverno ma provvisorio, un peso per l'estate. Il ricordo che al di là della contingenza, delle miserie della quotidianità politica, dei suoi intrighi, che tutto vorrebbe deformare, vi è una Legge, immutabile e non manipolabile cui non resta che sottomettersi, in perfetta servitù, non Palazzi, nè Chiese, nè Sinagoghe, non verità esclusive di razze prescelte o superiori.
Ricca di attualità, la lezione di Martino sta prorprio nella naturale "ampiezza ideale" del suo cristianesimo, che addirittura era tale prima ancora di diventare cristiano. E' questa ampiezza che i pittori cristiani gli riconoscono, dipingendolo già con l'aureola della santità prima ancora di essere battezzato cristiano. Come se tutto in fondo cooperasse ad maiorem Dei gloriam, il battesimo del cuore precedeva dottrinalmente e naturalmente quello rituale, l'evento esteriore. Non confliggeva. A rigor di termini, Martino non si è mai convertito 'al cristianesimo', questa è la lezione segreta del suo insegnamento.
Il mantello di Martino è un dono per riscaldare l'umanità tutta, infreddolita, povera e 'usurata' dei nostri giorni.


 
 

venerdì 7 dicembre 2012

La realtà di Gaza.


Piangi o Khristo per la  Tua Palestina.

http://www.youtube.com/watch?v=zasofEUsTcc

lunedì 19 novembre 2012

Italia, la nuova portaerei di Israele. Neutralità dei 'tecnici'.

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Caccia con la Stella di David in volo sulla Sardegna, Tornado italiani nel Negev, traffici d’armi benedetti dalla Nato. Ecco l’alleanza «a contratto» tra Roma e Tel Aviv
di Sebastiano Canetta e Ernesto Milanesi*
Roma, 27 ottobre 2012, Nena News - L’Italia è la nuova «portaerei» di Israele. In meno di dieci anni, un tassello alla volta, si completa il disegno del puzzle. Strategico, militare, commerciale e politico. Basta avere la pazienza di intrecciare notizie, protocolli, fotografie. Oppure seguire le scie degli aerei, degli appalti e della diplomazia formato Finmeccanica. Tutto funzionale alla guerra all’Iran?

Caccia israeliani in volo radente sulla Sardegna. Tornado italiani nel deserto del Negev. Scambi di “carte” tra mercanti d’armi, benedetti dalla Nato e dai governi (più o meno tecnici). Ecco l’alleanza «a contratto» fra Roma e Tel Aviv.


leggi:
http://www.associazionelatorre.com/2012/10/italia-la-nuova-portaerei-di-israele/
 

domenica 18 novembre 2012

Pedagogia.



Lo sappiamo, per i bambini tutto è un gioco. Ma gli adulti? Cosa passa per la loro mente? Ma cosa stanno facendo?
 E' questa la pedagogia dell' "unica democrazia del M.O."?



“Dio creò i non-Ebrei in forma umana così che gli Ebrei non dovessero essere serviti da bestie. Il non-Ebreo è di conseguenza un animale in forma umana, condannato a servire l’Ebreo giorno e notte”.
(Midrasch Taplhiot, p. 225) 

Se i precetti e gli insegnamenti sono questi, non c'è da stupirsi anche in queste ore continui a correre il sangue in una guerra infinita, ma c'è da stupirsi che non corra (ancora) ovunque vengano insegnati.

 

Coperta all'uncinetto del Tracciolino.

Ecco...  arriva l'inverno e per riscaldarsi dai primi freddi cosa c'è di meglio di una bella coperta di lana calda calda?...
Meglio ancora se oltre al suo "calore" ci dona anche tanto "colore" per rallegrare le giornate grigie e umide di fine novembre!
Eh si...richiede tempo e pazienza, ma...  ora sì... eccola....prende forma  e subito scalda anche le gambe durante le lunghe ore di lavoro...  Ancora non è finita, ma ve la voglio mostrare lo stesso: è la coperta "a quadrotti"!! la calda e colorata coperta del Tracciolino! 




venerdì 16 novembre 2012

La 'capra inutile' alla "Foir des Alpes", Aosta.




Alcune istantanee scattate, maldestramente, alla Fiera di Aosta. Il giorno è quello che la tradizione dedica a San Martino, centurione ragionevolmente generoso, che mai dimentica, neppure per un attimo di essere un soldato di Roma. Un uomo in armi, un soldato a cavallo per giunta, non un pacifista, 'senza se e senza ma' come recitano i mantra televisivi ripetuti un continuazione, fino a produrre uniformità di ebetudine. L'11 novembre, il giorno del rinnovo dei contratti agrari.
Una giornata fredda, ma andata verso un indubitabile miglioramento. Le cime dei monti che incoronano Aosta sono bianchi. A monito e memento di non farsi illusioni, di ciò che ci attende.


Le famiglie dei visitator si aggirano con le carozzine, rilassati, una volta tanto con le mani in tasca, una domenica diversa. Gli odori non sono proprio quelli delle corsie d'ospedale o delle nostre case e dei nostri bagni. Ma anche questo fà la domenica. Amici, curiosi, allevatori.

La fiera è anche mercato, non saprei dire quanti animali cambiano di stalla alla fine della giornata. Ma molti sicuramente ci penseranno, almeno per un baleno, la tentazione si presenta alla mente. Quella di chiedere, di informarsi, sulle caratteristiche sulle zone di provenienza, sui prezzi, sul brivido di intrapprendere una follia non del tutto razionale di un acquisto ingiustificale agli occhi della moderna ragioneria. Ma una bestia è per sempre. Nel bene e nel male.




Forte come una fulminazione, ci viene incontro l'immagine ieratica carica di fascino di qualcosa di diverso da noi, che tuttavia sentiamo ci appartiene: la fierezza e la caparbietà dell'affermarsi della vita. Ormai è impossibile staccare gli occhi da quell'impressione.



Ammansirlo non sempre è cosa ragionevole e possibile. Si vorrebe forse anche che il caprone debba collaborare alla riuscita della kermesse?


Di figura atletica, avvezza alle alture, la razza valdostana è perfettamente ambientata alle asperità del terreno. Quel che perde in produttività, lo guadagna in robustezza, rarità, eccentricità. Va dritto al cuore, al centro della terra, delle rocce alpestri. Non dominatelo, vi segue solo se lo rispettate. Come un falco nel cielo, vi ubbidirà se gi lasciate la sua libertà. Non prendetelo mai di petto, altrimenti vi costringerà lui a cambiare le vostre maniere.



La camosciata alpina è la regina dei picchi valdostani e di tutto l'arco montagnoso che cinge la pianura e le ricorda continuamente di che lì potrete ancora trovare le antiche radici profonde dela nostra gente, la sua volta di combattere e di non arrendersi.
Un giusto equilibrio, ragionevole, ben collocata tra le ragioni economiche dell'allevamento e la durezza che la vita alpine richiede. Una roccia sporgente è un riparo dalla pioggia, foglie e cortecce appetibili foraggi. I fieni ricchi di primavera e quelli estivi, un cibo aristocratico non adatto alla loro rustica vita. Esistenza non viziata, non più di tanto, equilibrata appunto, dalla convivenza millenaria con l'uomo.





Non chiedetevi cosa ci fanno lama e renne in Val d'Aosta, non esistono risposte incoraggianti. Curiosità? Esotismo? Possibile. Tutto quanto fa spettacolo, e nella 'società dello spettacolo' l'importante è fare audience.
Con l'economia alpina vera e propria, valdostana in particolare che vede sbiadere ogni anno sempre di più la sua immagine tradizionale a favore di  un turismo coatto e molto più remunerativo con fatica minore, non ha molto a che vedere.




Le capre vallesane no. Qualcosa con l'economia marginale caprina, ma quella di montagna è comunque marginale rispetto agli allevamenti a spietato razionalismo tecnologico, forse una certa pertinenza ce l'ha. Le vallesane col caratteristico manto bianco e nero a pelo lungo, sembrano dotate di una plusvalenza simbolica. Un'utilità che recede di fronte all'eleganza e alla nobiltà del suo manto. Smette quasi di essere un buon criterio. Marginalità per marginalità, tanto vale lasciarsi andare alle sue suggestioni.
Il loro manto richiama alla mente l'oriente e il suo yin yang. Si prestano, come poche cose, alla rappresentazione, a farsi oggetto di una contemplazione, a volta anche del tutto inconsapevole, 



La targhetta illustrativa, banalmente, sottolinea allo sbalordito ma incuriosito visitatore che sono capre adatte sia alla produzione di carne che di latte. E chi se ne frega! Ogni tanto magari liberarci dell'ossessione economicistica? 
Così tanto per trovare il bianco dentro il nero, ed il nero dentro il bianco. Come, abbiamo avuto modo di dire in passato, 'trovare l'albra dentro l'imbrunire'. L'alba dentro la sera. La luce nel momento del buio più profondo. Il nero della pupilla dentro il bianco dell'occhio. E il bianco senza meno conterrà le sue oscurità.
L'effetto ipnotico è assicurato.




La fragranza del becco quando la capra va in estro, e come un'onda si diffonde per tutto il gregge , che sia in stalla o meno, è qualcosa di molto strano. Impregnante. Amato o detestato; da evitare o da condividere nelle nostre stalle.
A volte costringe i veterinari ad usare i guanti, a non venirne contaminato tramite il contatto con gli abiti. Odore respingente. Carattere saliente. Richiamo della natura per tutti. Quando il becco annusa nell'aria il rpfumo di femmina, e arriccia il labbro superiore, come a captare segreti rivoli d'amore, di complicità cosmica, presenti nell'aria. Ormai illeggibili per la nostra specie.
Un pastore, prima di scendere in città e andare per uffici usl o associazioni contadine che fossero, si strofinava il becco e montone sugli abiti, peraltro già di loro non molto olezzanti di purfum raffinati, e l'impiegato dello sportello cerca di risolvere la sua pratica nel più breve tempo possibile!
Richiama il profumo della terra, del muschio, del legno di sandalo. Non lascia indifferenti. Prelude al latte, ai formaggi, al caldo profumo di fieno nell'inverno bianco, freddo sbuffante dalle froge. Ed infine, i travagli, i lamenti delle doglie,  gli emozionanti vagiti nel silenzio del coro gregale che assiste in religiosa quiete che irrompono a ricordarci il miracolo quotidiano della vita, a cui troppo spesso siamo diventati insensibili.



Un antico poeta cinese, allievo di Lao Tze, ci parla della sua preoccupazione per l' "albero inutile", "albero intile" detto anche "albero del cielo", a voi che vi dilettate nella ricerca del vero la scoperta della sua 'celestialità':
"Io ho un grande albero. La gente lo chiama albero del cielo. Esso ha un tronco così nodoso e storto, che non lo si può segare per lungo. I suoi rami sono talmente curvi e contorti, che non se ne può fare dei cerchi, nè li si può squadrare. Esso sta lì , sulla strada, ma nessun falegname lo prende in considerazione. Cosi sono le Vostre parole, o Signore, grandi e inutilizzabili, e tutti concordemente se ne allontanano."
"Voi avete un albero - gli fu risposto - così grande, e vi rammaricate che esso non serva a nulla. Perchè non lo piantate in una landa desolata, o lontano, in un campo vuoto? Li gli potreste girare intorno, senza fare nulla, e dormire sotto la quiete sotto i suoi rami. Scure ed ascia non gli procureranno una fine prematura, e nessuno potrà danneggiarlo.
"Ma che bisogno c'è di preoccuparsi di ciò che non ha utilità alcuna?" (M. Heidegger, Linguaggio tramandato e linguaggio tecnico, Pisa, 1997, pag. 30).




Si notino quegli spettacolari collari. Senz'altro sfoggiti per l'occasione, portati in bella mostra, con la evidente fierezza dell'allevatore, quasi fosse lui a protaarli. La musica risuona il suo inebriante incantesimo musicale, ipnotizzante, che fa volare la mente in alto, molto in alto, lassù tra gli alpeggi solitari freddi anche in estate col sole che brucia, dove i pascoli sono ancora utilizzabili, le pietre indistruttibile dei tetti e delle malghe con i liche arancione che disegnano macchie e geroglifici misteriosi, inquietanti, interroganti, come fossero le domande di sempre, quelle domande che vorremmo accuratamente evitare.
I collare spesso valgono molto di più dell'animale, a comprarli, per l'economia monetarista e la mentalità che ne segue e che ci oppire anche a nostra insaputa.
Per altre ragioni, il valore è inestimabile. Tutto è utile e tutto è inutile. Sembra una vellesana, bianco e nero insieme. "Ma perchè preoccuparci di ciò che non ha utilità alcuna?"
Sopra tutti aleggia San Martino, capace di tenere insieme le esigenze contrapposte dell'egoismo e dell'altruismo, dell'utile e della gratuità, del legittimo egotismo e il bisogno di darsi. La contraddizione e l'imperturbabilità. Tenere insieme vuol dire capire l'utilità dell inutile.
Mai farà, comunque, spettacolo della donazione del panno che il suo gladio fende in due. Nè ne farà una questione egualitarista.
Le parti si compenetrano, come i due lembi del mantello, come lo yin e lo yang. Che ragione vi è per preoccuparsi?