venerdì 16 novembre 2012

La 'capra inutile' alla "Foir des Alpes", Aosta.




Alcune istantanee scattate, maldestramente, alla Fiera di Aosta. Il giorno è quello che la tradizione dedica a San Martino, centurione ragionevolmente generoso, che mai dimentica, neppure per un attimo di essere un soldato di Roma. Un uomo in armi, un soldato a cavallo per giunta, non un pacifista, 'senza se e senza ma' come recitano i mantra televisivi ripetuti un continuazione, fino a produrre uniformità di ebetudine. L'11 novembre, il giorno del rinnovo dei contratti agrari.
Una giornata fredda, ma andata verso un indubitabile miglioramento. Le cime dei monti che incoronano Aosta sono bianchi. A monito e memento di non farsi illusioni, di ciò che ci attende.


Le famiglie dei visitator si aggirano con le carozzine, rilassati, una volta tanto con le mani in tasca, una domenica diversa. Gli odori non sono proprio quelli delle corsie d'ospedale o delle nostre case e dei nostri bagni. Ma anche questo fà la domenica. Amici, curiosi, allevatori.

La fiera è anche mercato, non saprei dire quanti animali cambiano di stalla alla fine della giornata. Ma molti sicuramente ci penseranno, almeno per un baleno, la tentazione si presenta alla mente. Quella di chiedere, di informarsi, sulle caratteristiche sulle zone di provenienza, sui prezzi, sul brivido di intrapprendere una follia non del tutto razionale di un acquisto ingiustificale agli occhi della moderna ragioneria. Ma una bestia è per sempre. Nel bene e nel male.




Forte come una fulminazione, ci viene incontro l'immagine ieratica carica di fascino di qualcosa di diverso da noi, che tuttavia sentiamo ci appartiene: la fierezza e la caparbietà dell'affermarsi della vita. Ormai è impossibile staccare gli occhi da quell'impressione.



Ammansirlo non sempre è cosa ragionevole e possibile. Si vorrebe forse anche che il caprone debba collaborare alla riuscita della kermesse?


Di figura atletica, avvezza alle alture, la razza valdostana è perfettamente ambientata alle asperità del terreno. Quel che perde in produttività, lo guadagna in robustezza, rarità, eccentricità. Va dritto al cuore, al centro della terra, delle rocce alpestri. Non dominatelo, vi segue solo se lo rispettate. Come un falco nel cielo, vi ubbidirà se gi lasciate la sua libertà. Non prendetelo mai di petto, altrimenti vi costringerà lui a cambiare le vostre maniere.



La camosciata alpina è la regina dei picchi valdostani e di tutto l'arco montagnoso che cinge la pianura e le ricorda continuamente di che lì potrete ancora trovare le antiche radici profonde dela nostra gente, la sua volta di combattere e di non arrendersi.
Un giusto equilibrio, ragionevole, ben collocata tra le ragioni economiche dell'allevamento e la durezza che la vita alpine richiede. Una roccia sporgente è un riparo dalla pioggia, foglie e cortecce appetibili foraggi. I fieni ricchi di primavera e quelli estivi, un cibo aristocratico non adatto alla loro rustica vita. Esistenza non viziata, non più di tanto, equilibrata appunto, dalla convivenza millenaria con l'uomo.





Non chiedetevi cosa ci fanno lama e renne in Val d'Aosta, non esistono risposte incoraggianti. Curiosità? Esotismo? Possibile. Tutto quanto fa spettacolo, e nella 'società dello spettacolo' l'importante è fare audience.
Con l'economia alpina vera e propria, valdostana in particolare che vede sbiadere ogni anno sempre di più la sua immagine tradizionale a favore di  un turismo coatto e molto più remunerativo con fatica minore, non ha molto a che vedere.




Le capre vallesane no. Qualcosa con l'economia marginale caprina, ma quella di montagna è comunque marginale rispetto agli allevamenti a spietato razionalismo tecnologico, forse una certa pertinenza ce l'ha. Le vallesane col caratteristico manto bianco e nero a pelo lungo, sembrano dotate di una plusvalenza simbolica. Un'utilità che recede di fronte all'eleganza e alla nobiltà del suo manto. Smette quasi di essere un buon criterio. Marginalità per marginalità, tanto vale lasciarsi andare alle sue suggestioni.
Il loro manto richiama alla mente l'oriente e il suo yin yang. Si prestano, come poche cose, alla rappresentazione, a farsi oggetto di una contemplazione, a volta anche del tutto inconsapevole, 



La targhetta illustrativa, banalmente, sottolinea allo sbalordito ma incuriosito visitatore che sono capre adatte sia alla produzione di carne che di latte. E chi se ne frega! Ogni tanto magari liberarci dell'ossessione economicistica? 
Così tanto per trovare il bianco dentro il nero, ed il nero dentro il bianco. Come, abbiamo avuto modo di dire in passato, 'trovare l'albra dentro l'imbrunire'. L'alba dentro la sera. La luce nel momento del buio più profondo. Il nero della pupilla dentro il bianco dell'occhio. E il bianco senza meno conterrà le sue oscurità.
L'effetto ipnotico è assicurato.




La fragranza del becco quando la capra va in estro, e come un'onda si diffonde per tutto il gregge , che sia in stalla o meno, è qualcosa di molto strano. Impregnante. Amato o detestato; da evitare o da condividere nelle nostre stalle.
A volte costringe i veterinari ad usare i guanti, a non venirne contaminato tramite il contatto con gli abiti. Odore respingente. Carattere saliente. Richiamo della natura per tutti. Quando il becco annusa nell'aria il rpfumo di femmina, e arriccia il labbro superiore, come a captare segreti rivoli d'amore, di complicità cosmica, presenti nell'aria. Ormai illeggibili per la nostra specie.
Un pastore, prima di scendere in città e andare per uffici usl o associazioni contadine che fossero, si strofinava il becco e montone sugli abiti, peraltro già di loro non molto olezzanti di purfum raffinati, e l'impiegato dello sportello cerca di risolvere la sua pratica nel più breve tempo possibile!
Richiama il profumo della terra, del muschio, del legno di sandalo. Non lascia indifferenti. Prelude al latte, ai formaggi, al caldo profumo di fieno nell'inverno bianco, freddo sbuffante dalle froge. Ed infine, i travagli, i lamenti delle doglie,  gli emozionanti vagiti nel silenzio del coro gregale che assiste in religiosa quiete che irrompono a ricordarci il miracolo quotidiano della vita, a cui troppo spesso siamo diventati insensibili.



Un antico poeta cinese, allievo di Lao Tze, ci parla della sua preoccupazione per l' "albero inutile", "albero intile" detto anche "albero del cielo", a voi che vi dilettate nella ricerca del vero la scoperta della sua 'celestialità':
"Io ho un grande albero. La gente lo chiama albero del cielo. Esso ha un tronco così nodoso e storto, che non lo si può segare per lungo. I suoi rami sono talmente curvi e contorti, che non se ne può fare dei cerchi, nè li si può squadrare. Esso sta lì , sulla strada, ma nessun falegname lo prende in considerazione. Cosi sono le Vostre parole, o Signore, grandi e inutilizzabili, e tutti concordemente se ne allontanano."
"Voi avete un albero - gli fu risposto - così grande, e vi rammaricate che esso non serva a nulla. Perchè non lo piantate in una landa desolata, o lontano, in un campo vuoto? Li gli potreste girare intorno, senza fare nulla, e dormire sotto la quiete sotto i suoi rami. Scure ed ascia non gli procureranno una fine prematura, e nessuno potrà danneggiarlo.
"Ma che bisogno c'è di preoccuparsi di ciò che non ha utilità alcuna?" (M. Heidegger, Linguaggio tramandato e linguaggio tecnico, Pisa, 1997, pag. 30).




Si notino quegli spettacolari collari. Senz'altro sfoggiti per l'occasione, portati in bella mostra, con la evidente fierezza dell'allevatore, quasi fosse lui a protaarli. La musica risuona il suo inebriante incantesimo musicale, ipnotizzante, che fa volare la mente in alto, molto in alto, lassù tra gli alpeggi solitari freddi anche in estate col sole che brucia, dove i pascoli sono ancora utilizzabili, le pietre indistruttibile dei tetti e delle malghe con i liche arancione che disegnano macchie e geroglifici misteriosi, inquietanti, interroganti, come fossero le domande di sempre, quelle domande che vorremmo accuratamente evitare.
I collare spesso valgono molto di più dell'animale, a comprarli, per l'economia monetarista e la mentalità che ne segue e che ci oppire anche a nostra insaputa.
Per altre ragioni, il valore è inestimabile. Tutto è utile e tutto è inutile. Sembra una vellesana, bianco e nero insieme. "Ma perchè preoccuparci di ciò che non ha utilità alcuna?"
Sopra tutti aleggia San Martino, capace di tenere insieme le esigenze contrapposte dell'egoismo e dell'altruismo, dell'utile e della gratuità, del legittimo egotismo e il bisogno di darsi. La contraddizione e l'imperturbabilità. Tenere insieme vuol dire capire l'utilità dell inutile.
Mai farà, comunque, spettacolo della donazione del panno che il suo gladio fende in due. Nè ne farà una questione egualitarista.
Le parti si compenetrano, come i due lembi del mantello, come lo yin e lo yang. Che ragione vi è per preoccuparsi?













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