mercoledì 29 giugno 2011

Simboli (e usi) capovolti.





Tanti colori sgargianti. Sono i colori dell'arcobaleno. Colori ed allegria in mostra. Forse sarà a coprire la mestizia di fondo, il grigiore di una vita che si rappresenta omogenea e piatta, in cui le differenze si esaltano per ucciderle, annientarle. Dimentichi che l'arcobaleno è composto da colori 'diversi' che per rimanere tale devono rimanere 'diversi'. In realtà, il grigiore necrofilo dell'indaco incombe minaccioso, nascosto dietro gli specchietti per aòòodole della modernità nichilista.
Pisapia Giuliano e Alemanno Gianni - 'un vento nuovo sta soffiando' recitano i giornali - accolgono da sindaci delle loro città, Milano e Roma, le 'due' capitali, le 'manifestazioni' dell'orgoglio omosessuale.


L'antico e venerando simbolo dell'Alleanza tra l'Uomo e Dio, espressione 'ponteficale' della dignità umana e della sua nobiltà 'creata ad immagine e somiglianza' dell'Essere supremo, viene ora utilizzato per indicare la vera alleanza del dominio dell'immanenza. Il fatto che esponenti politici appartenenti a parti sedicenti contrapposte si trovino, assai giustamente in modo rivelatorio, unite dall'arcobaleno, fortemente marca il carattere sovvertitore e falsario delle rappresentazioni che i moderni si fanno della loro epoca.

Simbolo pressoché universale, gli antichi, ma contemporanei aborigeni australiani, credevano anch'essi nella loro nobile semplicità, che l'arcobaleno fosse un Serpente (rainbow snake), come un ponte tra Terra e Cielo, attraverso cui salire e scendere. Quando non, addirittura, questo coincideva con la 'volta' celeste, di cui si hanno testimonianze in Australia ed in America meridionale.

Una fune o una scala, una passerella per l'ascesi celeste. Genesi 28,12: “Giacobbe fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo". I maestri cabbalistici si fregiano col titolo di 'Padroni della Scala'.

Via, Cammino, per antonomasia, come bene insegna la simbologia costruttiva cristiana dei ponti, ci si imbatte nel Diavolo, la cui missione è quella di farci carambolare giù, rovinosamente. Più in alto si sale e più dolorosa è la caduta.


Fino a diventare un simbolo autonomo di ascesa.

Il maestro spirituale siriaco e santo cristiano S. Giovanni Climaco, klimax è appunto la 'scala', l'ha messa al centro della sua riflessione e della sua pratica. I gradini del cammino altrettanti livelli di conoscenza iniziatica, riverberi coltivati nell'esicastica 'preghiera del cuore'.

Ci si può collegare, non senza motivi, al Khan, inteso sia come Grand Khan mongolico, sia come Can Grande della Scala, presso cui godette ospitalità Dante. Forse preconizzando una via ghibellina della spada a spianare la strada all' 'Alto Arrigo', Imperatore e Chakravartin del medioevo kristiano, osteggiato tragicamente dalla Chiesa.

Chiesa in questi giorni vede sfilare il laico 'corteo arcobaleno' sotto le finestre dei 'sacri palazzi'. Non agisce o reagisce. Perchè? Mi sarei aspettato una pubblica posizione all'insulto della Città Eterna. alla sua missione mondana, col cristianesimo ed, anche prima, con la romanità latina. Neppure un rosario. Totalmente imbelle. Certo. Fu essa ad osteggiare la via della spada, quella spada affilata in un pericoloso equilibrio sull'abisso tesa a unire le 'due sponde', proprio come il ponte. La sponda maschile e quella femminile, dell'immanenza e della trascendenza, del Figlio della Donna e del Figlio dell'Uomo.

La tragica conseguenza è la femminilizzazione del clero, debole e spaurito, in preda ad abissali oscillazioni, che S. Giovanni conosceva bene per averli combattuti per una vita. E, sottolineo, combattuti, pugnati. Mi sarei atteso una reazione spirituale, con le armi proprie della Chiesa, magari un rosario di intercessione per i peccatori, che, oltre al peccato in sè, aggiungono l'orgoglio di difenderlo con dottrine contrarie ad ogni buon senso.

Solo la mentalità moderna può, in questa opera di annientamento, concepirlo come un 'avanzamento' sul piano civile e umano. Mentre è vero il contrario. Fare di una debolezza un motivo di 'orgoglio' è comunque un indulgere verso gli aspetti meno elevati dell'essere umano. Celebrare come una festa quello che sembra un eccesso di sessualità sfrenata, ma senza quella cornice rituale tipica dell'eccesso dionisiaco o dei saturnalia romani, all'insegna dell'uguaglianza - così si traduce il 'omo' -, farne una rivendicazione di diritto, ha senz'altro a che vedere con l'esaltazione del 'rovesciamento', l'ebrezza de-sacralizzata, la parodia carnevalesca del quotidiano.

Non può considerarsi un mero caso che il termine sanscrito per indicare l'ordine sociale tradizionale hindu, basato come è noto sulla casta sia varna, la cui traduzione letterale è appunto 'colore'. Il loro accostamento costituisce l'essenza del simbolo dell'arcobaleno.

Il silenzio della Chiesa è stato assordante. Proprio come una femminuccia (di altri tempi, forse), si raggomitola in un cantuccio e sta zitta. Come se, il pervertimento, reso possibile da un lungo processo di disgregazione, nel senso letterale di dipersione del greges, le greggi, del simbolo dell'arcobaleno abbia contaminato anch'essa. E' il 'vento nuovo che soffia' su Milano, parole del Sindaco Pisapia, che non ha perso tempo a condidare la sua città a sede del prossimo Euro-gaypride. Prim'ancora, ha 'rinnovato' la Chiesa. E che dire di Alemanno, che passa da una consacrazione in Vaticano ad una processione irridente e blasfema del carattere sacro e celeste, quella Città che Sant'Agositno vedeva erede di tutta la Tradizione occidentale?

Dopo tanto storicismo, culmine della scala rovesciata, c'è da stupirsi?




martedì 28 giugno 2011

Buon viaggio Nonno

Ciao Nonno,
quante volte ho detto questa frase con il tono della voce che cambiava man mano che crescevo, fino ad oggi che hai deciso di seguire il richiamo di quelle sirene che ormai da tempo ti volevano di nuovo a casa.
Tra poco sarai lì dove hai sempre voluto stare e nell'unico posto in cui il tuo cuore non provava pena, per sempre.
Servirebbero pagine e pagine per raccontarti a chi non ti conosceva, ma queste poche righe sono solo per dirti la cosa più importante che ho da dirti: Grazie.
Grazie perchè anche tu hai contribuito a rendermi quel che sono e se oggi qualcuno mi apprezza è anche grazie ai tuoi consigli.
Grazie per avermi insegnato l'educazione ma soprattutto l'onestà, per avermi mostrato come rispettare il prossimo e a non alzare la voce.
Mi hai insegnato come si mangia composti a tavola, il galateo, ma anche ad usare martello e vanga senza mai disdegnare il più banale dei mestieri manuali.
Grazie per i tuoi racconti di guerra e per tutti i viaggi in treno senza nessuna destinazione, per i giochi e la fantasia, per l'amore incondizionato.
Oggi che non ci sei più volevo ringraziarti di tutto questo, ma sprattutto della cosa più grande che mi hai saputo trasmettere, l'amore per Rialmosso, per quelle mura così importanti per le nostre tradizioni e per la nostra anima, grazie perchè mi hai tramandato il centro di un mondo che porterai ovunque con te ed io con me.
Concluderei con una cosa che mi dicevi sempre quando ero piccolo e che ora più che mai potessi, diresti ancora: Larga la foglia, stretta la via, dite la vostra che io ho detto la mia.
Con affetto
Ale

lunedì 20 giugno 2011

Oggetti metafisici stesi ad asciugare.



Può accadere che ci si prenda qualche ora di libertà e si vada a fare i classici 'due passi' su per la montagna. Si può dire che da che vivo in (la) montagna, non 'vada' più in montagna. Per sentieri, per rifugi.
Voglio dire che posso cogliere con maggiore chiarezza questo scarto semantico, tra l'esserci e l'andarci.
Certo l'aver da governare capre, pecore, e altri animali, prati e boschi, contribuisce, con le esigenze che comporta, al cambio di prospettiva. Ma non vorrei, percorrere la solita strada materialistica, per piegare lo spostamento del punto di vista. Non vorrei dire che se, in pratica, non faccio più 'turismo' o 'escursionismo' -termini che a ben guardare distorcono il significato vitale della montagna, per trasformarla in una specie di campo da golf dalla natura addomesticata e solo un po più inclinato - e lo stesso vale anche, tutto sommato, anche per l' 'alpinismo'.
Sembra paradossale ma è così. L' 'alpinismo' non ha molto a che vedre con le Alpi.

E l' 'escursionismo', troppo spesso, si identifica con l' 'incursionismo'. Vale a dire, con l'invasione di trekkers, camminatori, alpinisti, bikers, joggers, buone famigliole e pensionati, giovani impegnati e spensierati su rumorose moto da cross, golosi in cerca di polenta e salsicce, (magari con il sogno di vedere un capriolo ... nel piatto servito caldo a tavola), innaffiato in abbondanza di 'rosso'.

L'altra domenica, assolata dopo tanto tempo, una nuova ondata ab chaos dalla pianura ha spinto su persino una coppia di venditori ambulanti marocchini di scope, inquietanti molto al di là delle loro intenzioni e possibilità, forieri infausti e involontari, testimoni coatti del nichilismo avanzante, che erode margini e penetra sempre più in profondità.

Per questa estate mi aspetto dei venditori di cocco africani.

Ma c'è un controcanto. Il controcanto, l'antidoto.

La montagna ospita ancora il potere incantatorio, fascinoso e medicamentoso per l'uomo moderno, stanco e ferito, forse di più, vulnerato nei centri vitali.
Ma bisogna saperli leggerli questi messaggi. E per leggerli occorre fermarsi, fermarsi sopra, soffermarsi.


Come quando, sul finire dell'inverno, con Gigi, l'amico fotografo, che silenzioso, come un'ape operosa, macina sempre idee, rimugina intuizioni, segue indizi che ai più sfuggono o sembrano solo accenni, sedimenta nel rumine fili sottili con cui dà forma alla sue immagini, ci imbattemmo in una cascina, sopra la nostra, abbastanza ben esposta al sole, ma oltre quota mille. Volevamo vedere un vecchio amico malgaro che qui vive, certo non ci viene a prendere l'aria fresca, ormai rimasto solo, della sua gente, a portare il testimone di una vita antica, a reggere il peso di 'vivere' la montagna, senza mai 'andarci', venendo da 'altrove'.
Ma aveva profittato della bella giornata di sole, per fare 'due passi', come noi, a sua volta, era andato a far visita ad un'altro 'vicino'.
Le mucche quiete, pigre, nella stalla sonnecchiavano. Sazie. Il suo semplice bucato, di uomo solo, rimasto solo, sopravvissuto, col patrimonio di esperienze che il suo cuore e la sua mente ancora ben lucida contengono, era disteso al sole. Quasi a voler profittare di quel bel sole invernale. Il pudore dell'indumento intimo, la sua familiarità, la sua quotidianità, avevano il sapore del pane fresco. Immobili, pendevano quei poveri panni che intenerivano per la loro semplicità. Il senso di protezione, caldo delle lane, come il bacio umido della madre premurosa, nel rigido inverno, quando alla sera il vento taglia la pelle del volto.
Molto più capaci di quanto saprei descrivere, questi panni ci fanno sentire quasi degli intrusi, intimiditi.
Immobili stavano come un dipinto antico giapponese, sottile, tra l'aria gelida ed il sole caldo, in quell'ora, ad alternarsi.
Un bucato che assomigliava ad un quadro di Morandi. Una natura morta in cui è concentrata la vita. Una vita che scorre senza tempo. Che fissa l'eterno, senza sforzo. Che ci lascia il rimpianto al solo pensiero che nessuno più, dopo di lui, saprà comporre con oggetti quidiani e semplici, un'armonia pregna di cose imperiture, come, appunto, il profilo dei nostri monti.
Uomini, irripetibili, che ancora ruotano intorno al loro centro, stabili, fermi e rotanti sul loro asse come fossero immagini della Grande Ruota dell'Univeso. Attaccato ai suoi umili panni, alle sue odorose mucche, che cedono il loro odore ai panni stesi e indossati, ai legni rinsecchiti dal sole, ai cibi di cui si nutre, in un silenzio che sa di latte, custodisce ancora il segreto, l'indicibile. La loro vita scorre come una danza, non un passo è fuor di posto. I gesti si ripetono incantati, con i ritmi delle geneazioni, delle stagioni. Appresi senza studiarli.


Non come quei disperati della domenica. Fragili esseri senza memoria. In fuga da paure incontrollabili. Dal futuro consunto, prima ancor che inizi. Un presente fatto di sgargianti illusioni. 'Vengono' in montagna, guardano, ma non vedono.

Sfugge il bello della montagna, i loro occhi non più san vedere oltre, al di là. Ci si ferma alle forme visibili, all'esteriore. E rimaniamo imprigionati nell'idea che siano cose vecchie, desuete, oggetti consunti e da sostituire con nuovi. Agli occhi dei malgari, pastori solitari, pare naturale loro invece che siano Altro, oggetti metafisici, ed ironici, lasciano a noi, il sentimentalismo.

Forse anche per questo ci sembrano tanto estranei. Li teniamo a distanza. Li temiamo.

sabato 18 giugno 2011

Cosa penseresti se....

Cosa penseresti se il tuo parroco si presentasse in questo modo? O magari il tuo Vescovo?
Quale ragione potrebbe esporre per giustificarsi? Ne esisterebbe una?


Qualsiasi cosa tu possa pensare, non dimenticarti che vorrebbero farti credere che sta consolidando la 'democrazia', la tua stessa 'democrazia', elettiva e rappresentativa, partitica e libera, egualitarista, moderna, in cui la felicità è un diritto.
Non dimenticarti che una grande fede, giusta e santa, lo sta sostenendo.
Non dimenticarti che il cattolicissimo (?) Papa 'Santo-Subito' s'è inventato per lui la definizione di 'fratello maggiore' e confermato una 'antica alleanza mai revocata'.
Non dimenticare che il suo successore ha sancito dal Soglio Infallibile che non ha bisogno nè di ravvedimento, nè di rivedere le sue posizioni nei riguardi di Cristo.
Se riesci, non dimenticarlo....

domenica 12 giugno 2011

Nerina, è accaduto ieri sera...




Con un manto nero come la notte, dai riflessi luminescenti, qui e là brillanti, come le lucciole sul prato che, con il calare delle luci, ancora si vedono sul prato - lucciole che complice la profezia poetica pasoliniana - del Tracciolino in queste sere. Ieri sera anche. E come d'incanto, mi piace pensare che si siano fissate sul manto notturno di Nerina, la capretta nata questa notto, forse sul far dell'alba....
L'aspetto esteriore più evidente certamente non possiamo dire l'abbia preso dalla madre, che comunque la circonda di attenzioni materne.
Ieri sera, quando abbiamo fatto rietrare gli animali, mancava Gertrude, che già da qualche giorno era sotto osservazione. E' ancora parecchio giovane, ma il gonfiarsi del petto, l'assunzione di un comportamente più schivo e riservato, ed infine il gonfiarsi delle parti intime, erano tutti segni inequivocabili. S'è dovuto portarla dentro la stalla un po' trascinandola. Di solito, il gregge si muove tutto unito.
Ma quella era una sera speciale.
La danza delle lucciole, un cielo che mostrava tutti i suoi segni, dai lampi minacciosi ad una calma luna riflessiva e pacata, le nubi merlati dai bagliori lunari coronavano spazi di sereno stellato. Una notte speciale, come sempre. Quando, dai lambicchi di Dio, germogliano nuove creature, è come se tutto il resto del creato festeggiasse il nuovo arrivo. Anche nell'aria, si sentiva qualcosa di magico, portava qualcosa di misterioso, di strano, fuori dal tempo.
Le follie del mondo, che feriscono l'anima e il suo Creatore, sembrano lontane. Da poco, il notiziario TV ci aveva informati del concerto di una cantante a Roma, l'ex-città eterna (ex, ovviamente, non perchè, l'eternità ha cessato di essere, quanto piuttosto perchè gli uomini hanno smesso di crederci, in questa notte lunga e buia, dolorosa della modernità). Una folla di persone acclamava il diritto ad essere tutti liberi (di fare quel che si vuole...) e uguali (maschi e femmine, uomini e donne, in un Caos da bolgia dantesca). Parlavano di un milione di persone, tutte convenute, con dispiegamento di mezzi di comunicazione, evento preparato come un cerimoniale pervertito con disponibilità di mezzi tecnici, gran chiasso mediatico e dotazione organizzattiva degna di una macchina ben oliata. Evidentemente, i denari non sono un problema per chi si mette al servizio di Satana. Remunera bene, come sa chi si fa 'Poverello' per piacere a Dio.
Sul Tracciolino la notte era nel vero senso di pace, silenziosa. Un Regno di Pace, quando ci si dimentica il frastuono della 'civiltà'. I suoi babelici tormenti che affollano i sogni di un labirinto inestricabile.
I temporali, temuti per i tanti rumorosi boati, poi, non hanno neppure prodotto tanto sconquasso. Si sono placati, ed infine allontanati, come nei brutti sogni, lasciando campo ad una quiete che sembra proiettarci in una dimensione sovrasensibile.


Nera come la notte, nera come la Terra di qui, dove domina l'Archetipo della Madonna Nera, fertile et humile, humus, gran seno germogliante, ventre cavernoso buio, è parsa sulla scena delle cose manifeste Nerina, la vita nascente, una capretta, un segno per coloro che sanno ascoltare.

Ha lasciato il Grande Essere, l'Essere Immanifesto, per individuarsi qui sul Tracciolino, nella nostra cascinetta. Con noi, a partire da oggi, condividerà l'esistenza, e tutto ciò che comporta, nel bene e nel male, un viaggio, un'avventura, anch'essa per andare Oltre...

mercoledì 8 giugno 2011

Mettiamo fosse vero....



DI SUSAN LINDAUER
Dissident Voice

È una storia che la CNN non seguirà. La sera tardi c’è qualcuno che bussa a una porta a Misurata. I soldati armati fanno uscire a forza le giovani donne libiche con le armi puntate contro di loro. Una volta spinte le donne e gli adolescenti nei camion, i soldati costringono le donne a un’orgia di gruppo con i ribelli NATO o con chiunque sia presente davanti ai loro mariti e ai loro genitori. Quando i ribelli della NATO hanno terminato di divertirsi con lo stupro, i soldati tagliano la gola alle donne.

Le violenze sessuali sono azioni di guerra ordinarie nelle città in mano ai ribelli, che, secondo le parole dei rifugiati, fanno parte di un’organizzata strategia militare. Joanna Moriarty, che fa parte della delegazione d’indagine a livello globale in visita questa settimana a Tripoli, ha anche riportato che i ribelli NATO setacciano Misurata casa per casa, chiedendo ai familiari se sono sostenitori della NATO. Se i familiari dicono di no, vengono uccisi sul posto. Se le famiglie dicono che se ne vogliono stare alla larga dai combattimenti, i ribelli NATO hanno un approccio differente per spaventare le altre famiglie. Le porte delle “case neutrali” vengono chiuse e saldate, come ha riferito Moriarty, intrappolando le famiglie all’interno. Nelle case libiche, le finestre sono generalmente sbarrate. E così, quando le porte di un’abitazione vengono saldate, i libici sono sepolti nelle loro case, dove le forze NATO possono essere sicure che queste famiglie moriranno lentamente di fame.

Questi sono fatti normali, non eventi isolati. E i soldati di Gheddafi non sono responsabili. Infatti, le famiglie pro-Gheddafi o quelle “neutrali” sono gli obbiettivi degli attacchi. Alcune delle tattiche della NATO sono state realizzate nella speranza di incolpare proprio Gheddafi. Comunque questi attacchi sono controproducenti.

Non ho la forza, oggi, di far ulterori commmenti. Ma mettiamo sia vero quanto riportato da questa gornalista, e i fatti, le persone, i nomi tutto, insomma corrisponda al vero... e pensate che tutto ciò accade a pochi chilometri dai nostri confini territoriali, con un paese fino ad ieri traattato da amico, pensate che i nostri soldi servono, non solo a finanziare blasfeme liquidazioni dorate di dirigenti pagati per 'non fare', produrre il Nulla, ma anche per cooperare con uomini e strumenti di morte a questa guerra libica, dunque a produrre il 'Male', allora mi chiedo ma in che Paese vivo? Perchè mi costringono ad amarlo? Perchè è protagonista o complice di cose vegognose? La Madre Padria è diventaata così matrigna? Perchè l'Amore patrio dev'essere così tormentato, difficile, respingente, impossibile, utopico? Come siamo giunti a tolleraare tutto cio? Su chi ricadono le colpe, le responsabilità se la 'informazione' è quella che (non) vediamo? Perchè devo piangere per essere nato in un Paese di 'nani e ballerine', di criminalità organizzata (l'aggettivazione aggiunge una iperbole indicibile alla negatività del sostantivo, in un Paese in cui non vi è amore per l'organizzazione, in genere, il che a volte ha i suoi vantaggi), di maiali ingordi, branco, e non più gregge, sia pur senza Pastore, di incontinenti, amorali, senza pudore, e servi senza dignità su tutti i livelli, di assassini, pardon, peace keepers sparsi per tutto il mondo.

Non scherziamo il vero scandalo è 'calciopoli'... come un bruco nella sua mela marcia... non sarebbe male se la corruzione si divorasse il Nulla, la marcescenza, che la genera e la accresce, ma mi sa che siano reciproci e si autoalimentino...


venerdì 3 giugno 2011

Archetipi popolano il Tracciolino.




Un fresca mattina di qualche giorno fa, prima che iniziassero queste noiose piogge di tarda primavera, rischiano di far marcire i primi tagli di fieno, mandandolo sprecato, ho accompagnato come sempre faccio le capre nel recinto, da poco predisposto. Il sole non era ancora alto, il prato e il bosco profumavano ancora del suo alito di riposo notturno.
Mi sfugge l'occhio e vedo la rete agitarsi. Strano. Osservo meglio, un po' più in là, e mi accorgo che una capra, non delle mie, stranamente si è impigliata nella rete. Sarà di qualche vicino.
Mi avvicino e mi accorgo che si tratta invece di un giovane ma robusto e vitalissimo capriolo che fuorioso si dimena con le corna irrimediabilmente legate ben strette. Più si dibatteva per liberarsi, e più di imprigionava. Quello è il momento in cui non c'è spazio per la ragione.
L'uomo, il nemico di questo Principe della Natura, si avicinava a lui. Il pericolo non era stai mai così vicino.



C'è da dire, però che neppure io non ero mai stato cosi, a tu per tu, con una animale selvatico, cosi noto, che spesso ricorre nei racconti dei montanari e dei cacciatori di montagna. Come massimo mi era capitato di vederne qualcuno a distanza, senza mai avere l'opportunità di stringere una vera relazione da vicino.
Lui era spaventatissimo. Il cuore gli batteva forte, pareva un tamburo. Il respiro ansimante pompava aria con un ritmo forsennato, spaventoso. Si dimenava con una forza insospettata. Le corna impigliate nella rete, mi facilitavano il compito di immobilizzarlo. Ma era in grado di rialzarsi come e quando voleva, colpirmi con gli zoccoli da lasciarmi i segni.
Con me avevo dei guanti da lavoro, e una corda che avevo usato per le capre poco prima. Se per legarlo avessi afferrato l'animale per le quattro zampe, usando le due mani, avrebbe avuto modo di divincolarsi con la forza del collo e delle spalle. In ogni caso, una mano mi sarebbe servita per stringergli la corda intorno alle zampe. Ero decisamente impacciato, per non dire in difficoltà.
Cerco di bloccarlo, aiutandomi col ginocchio col quale lo premo contro la terra umida e anche un po' paludosa, eravamo prossimi a una 'moia', terreno non ben drenato, posandoglielo tra la spalla ed il collo. Riesco a fargli dei giri con la corda intorno alle zampe. Non riesco ad annodarle due a due. Se lego le prime due anteriori, con quelle posteriori è in grado di difendersi con efficacia. La bava bianca fluiva sulla terra che, umida, andava prendendo la forma del suo viso. Riesco a fare alcuni giri di corda, ma non riesco a fare nodi: troppo corta. Con la sinistra tengo la corda tesa, con la destra telefono a qualcuno perchè mi si dia una mano. I primi ad accorrere sono dei pompieri, poi un'auto attrezzata del Servizio volontari per il soccorso di animali selvatici.
Nel frattempo, prima che arrivassero, è passata una buona ora. All'inizio tentaa con una tenacia incredibile di non arrendersi. Ed io neppure. Si sarebbe impigliato ulteriormente nella rete, a rischio di stringersela intorno al collo. Ma faceva bene a temermi. Per la mente balenavano idee di predatore, di cacciatore. Pensavo che normalmente sarebbe finito in un freezer a frollare e poi, condito con una polenta fumante, le sue carni avrebbero riempito il piatto di qualche buon gustaio, o qualche viaggiatore in una trattoria del posto. Scacciavo questa idea, ma anche mi attraeva. Ma avevo appena chiamato dei soccorsi, mi stavo comportando in modo 'politicamente corretto', come mi sarei giustificato con loro? Eppoi, con me non avevo un coltello che sarebbe stato quantomeno indispensabile all'operazione 'normale'.
Poi, è subentrata una certa stanchezza. Il respiro si era placato. Gli occhi meno stralunati dallo spavento. Forse cedeva per stanchezza e rassegnazione.
Ho così cominciato a guardarlo con calma. Ho visto che era un maschio di tre o quattro anni, il suo pelo era in muta. In parte beige chiaro rinnovantesi, e in parte ingrigito dall'inverno. Che avevamo trascoro insieme. Tra nebbie fredde, nevicate e gelo. Non so perchè, ma ho cominciato a parlargli. Ad abituarlo alla mia voce.
Il telefono squillava, gli aiuti dovevano comunicarsi la posizione, chiedermi della località, ed altri dati, nomi e cognome, vie, notizie sulla situazione. Facevo loro fretta, dapprima perchè anche io cominciavo a sentirmi stanco. Ma anche mi attraeva quell'intervallo di tempo, nell'attesa degli aiuti, sapevo che poi l'avremmo liberato e non ci saremmo più rivisti. Ma lui questo non poteva saperlo...almeno così credo.
Gli parlo per calmarlo. Fargli sentire la mia voce, quella del suo nemico eterno ed eternamente temuto, non aveva molto senso ma sentivo di doverlo fare. Lo accarezzavo lungo il collo. Gli toglievo le mosche dagli occhi e dalle narici.
Era come se due mondi lontanissimi per un attimo di tempo sospeso, si potessero toccare, attimo irripetibile. Lo toccavo forse per convincermi che era vero quell'attimo. Che così avrei potuto trattenerlo nella mente. Era un mio vicino di casa, in fondo. In quell'attimo tangenziale, ti chiedi della sua e della loro vita, e mi chiedevo della mia e della nostra. Tanto distanti e tanto vicine. In quell'attimo si realizzava una convivialità miracolosa tra il cosiddetto 'civile' ed il cosiddetto 'naturale': tra ''natura' e 'cultura'. Le nostre due esistenze si compenetravano. Io entravo un pochino nella sua vita misteriosa, segreta, affascinante di una esistenza capace di osservare la Legge divina che per lui era stata stabilita, molto meglio di quanto non sappessi fare io per quella che era stabilita per gli esseri umani.
Diana, Artemide virginale, mi baleva sotto gli occhi. Archetipo del non umano, della potenza creaturale incontaminata, tra le mani di un essere impuro e corrotto, ma che disperatamente chiedeva fratellanza, comune figliolanza spirituale, sia pure su gradi diversi della Creazione. Si sarebbe ricordato poi di me? No, forse no. Non posso affermarlo però. Lo spirito di Atteone non mi era mai stato cosi vicino. L'amore e la gioia incontaminata mai così a portata di mano. Lo struggimento di desiderarla, ma di non poterne far parte. Quasi avrei voluto che mi rapisse una parte della mia anima. Forse un po' così è stato. Atteone è vittima della fascinazione virginale, potenza immensa della Natura, Manifestazione primordiale del divino. Credo che Bruno la scorgesse, da buon visionario qual'era, col suo sangue passionale di meridionale, nolano, nel volto eburneo della vergine e iperborea Regina Elisabetta, immacolata Regina e perciò Madre di tutti, cui dedica gli "Ero(t)ici Furori".
E, ancora da quelle parti, ancora Atteone rivive nelle fontane della Reggia casertana, tra l'umida terra paludosa della 'moia' in cui mi trovavo e le regali fontani della più autentica nobiltà Borbonica. Sogni di grandi monarchie oramai divenute inattuali, nel crudele e sordo tempo moderno. Tuttavia, ancora capaci di pensare alla Regno politico in simultaneità con il Suo Regno. Cose che i politicanti moderni non saprebbero nemmmeno immaginare, ingoiati come sono dal gorgo, o dalla Gorgone, del loro orizzonte profano.
Così rapito, mi deliziavano questi pensieri. Ero certo che sarebero rimasti dentro di me, come perle auree, esperienza al limite del comunicabile. Esoterica. La potenza della vergine natura, nella Terra umida della Vergine Nera che qui si trova ovunque, era lì ad insegnarmi segreti da eletto, gioie di connubi magici per iniziati, tangenze astrali.



I suoi occhi si riprendono. Tornano a combattere vitali, in antagonismo con l'umano, dopo la grande Pace dell'Armonia. Preconizza un rumore lontano. E' il camion dei pompieri. Brave persone, ma scendono dal camion con il fare di marines in assetto di azione. Attrezzati di tutto punto.
Fanno domande, che non riesco ancora ad afferrare. La mia mente fatica a capire, deve ancora rientrare dal suo viaggio iniziatico. Sento le gambe. Mi accorgo che stanno scattando foto. Il visibile si riprende quello che gli spetta.
Lo snodano dalla rete. Odo come voci lontane che mi lodano per aver 'salvato' un animale selvatico, per il gesto sensibile, civile, ecologico, 'politicamente corretto'. Sono esterefatto, stranito, forse un po' stupefatto, con quel che c'è di narcotico, cioè di trasognante, in questo termine.
Ne sono certo. Non mi capirebbero se cercassi di spiegare loro che il beneficiario della 'salvezza' quel bel giorno di primavera ero io.
Quei bravi ragazzi mi avrebbero dato una pacca sulle spalle e mi sarei meritato i loro sguardi buoni di ammirazione, mentre osserviamo l'animale saltellare libero, felice, ebbro, tornare al suo Regno.
Mi viene da scrollare la testa. Le parole non servono più. Ogni balzo innocente e puro del capriolo porta con se un pezzo di me, ogni balzo lascia sul terreno una lacrima di commozione, per quello che i nostri occhi fedeli e rapiti hanno potuto vedere, lacrime che indefinitamente inumidiscono la Terra.







mercoledì 1 giugno 2011

Benvenute al Tracciolino!

Benvenute sul Tracciolino dello Spirito!
Sono arrivate altre tre compagne di avventura, si sono subito sistemate sui prati del Tracciolino. Sono due agnelline comisane-sarde e un agnello biellese.
L'accoglienza che le capre hanno riservata loro non è certo stata delle più festose, ma non è poi stata così drammatica. Quello che ha avuto la peggio è stato l'agnellone biellese, che, dopo qualche ora, zoppicava vistosamente. Credo sia stata la Bruna o l'Augusta che più si sono risentitite dell' 'invasione'. Sembra che, di queste tempi, non siano le sole ad accusare problemi di invasione. Una differenza è che per fortuna non sono profughe da nessuna guerra, e non sono avventurosamente sbarcate da un gommone.
Sono state portate, molto più prosaicamente, da un allevamento qui vicino. Provengono dalla fattoria della Claudia, dove abilità, sacrificio e voglie alternative, alla fine si convertono in ottimi formaggi.



Alessandro ne ha assaggiati qualcuno e ne è rimasto entusiasta. Per ora ci servono per pulire l'erba dei prati, ed in ciò sono impareggiabili. Muso a terra, si sono messe subito al lavoro col bello o brutto tempo. Dopo un paio d'ore non si erano allontanate di molto, ma erano ancora all'opera.
La mansuetudine personificata! Abituati come siamo alle capre, irrequiete e curiose, più affini allo spirito umano, ci sembrano strane, il senso di pace che promana da loro richiede un attimo di adattamento. Il bellicoso essere umano decisamente non ci è abituato.

Sono d'accordo con Claudia e con suo marito, che appena possibile mi 'presteranno' un loro montone di buona razza, prima di liberarsene, per la normale turnazione. E così speriamo che ci potranno dare un domani anche qualche agnello e del latte.

Quanto all'agnellone biellese è di taglia troppo grande, più da carne e lana, che non latte. Così penso che al sopraggiungere della pubertà, con un certo dispiacere, dovremo trovargli una buona sistemazione presso qualche amico.

In queste giornate umide e piovose, si trovano a loro agio, il loro manto le protegge ottimamente da pioggia e freddo, ma forse è prudente non abusare della loro resistenza, vista anche la giovane età, e sto predisponendo uno spazio-ovile nella stalla, separato dalle capre.

Il lavoro non manca, e dunque siete tutti invitati a 'dare una mano', a trascorrere una mezza giornata diversa, lontani materialmente e spiritualmente dalle città. A scendere da quel treno impazzito che corre verso il Nulla, anche se tutti fingono che abbia una meta e alla guida vi sia un manovratore con idee chiare sul da farsi!