mercoledì 25 agosto 2010

Benvenuta Eva!.

Vorrei personalmente congratularmi con Eva per l'interesse che mostra per il nostro blog. Darle il benvenuto con spirito di amicizia, lealtà e sincerità.

Spero che la Sua partecipazione sia sempre più attiva e proficua perr tutti!

Certamente concordiamo in parecchi che Alessandro possa occupare più che meritatamente il posto di Sindaco di Quittengo, ma gli vogliamo anche bene e pensiamo che meriti di più. L'esperienza sarebbe, ovvio, sempre istruttiva; ma conoscendo un pochino Ale credo di poter dire che l'ampiezza delle sue visioni vadano un pochino strette a Quittengo, dove, a parte la bellezza dei luoghi, l'aria cimiteriale di abbandono e il culto dell'immobilismo spegnerebbe gli entusiasmi anche ai più temerari ottimisti.
Comunque, potrebbe essere un buon inizio, e benchè non voti a Quittengo (a pensarci bene non voto più danni in alcun posto) tifiamo con spudorata partigianeria per la (eventuale) candidatura di Ale!
Sentiamo cosa ne pensa il diretto interessato.
Non posso esimermi, personalmente, da goloso impenitente quale sono, di congratularmi anche per i manicaretti di Eva, mettono appetito solo a vederli in fotografia! Fagioli all'uccelletto e montagna si abbinano perfettamente!




Per saperne di più:
http://lievitoespine.blogspot.com/

lunedì 23 agosto 2010

Evola al Tracciolino: una resistibile ascesa.





Può tornare utile avvalerci di un lavoro di J. Evola sulla Spiritualità della Montagna (ediz. Mediterranee), per alcune precisazioni che potrebbero riguardarci molto da vicino per ciò che andiamo precisando circa Il Tracciolino dello Spirito, per tutti coloro che hano scelto la montagna come luogo di resistenza.
Va da sè che è solo per una curiosa ironia della sorte che questa espressione coincida con il relativamente recente movimento storico della Resistenza, anch'esso, come si suol dire, 'salito in montagna'. E? apena qui il caso di sottolineare, se ce ne fosse bisogno, che tale coincidenza è puramente casuale, e che in realtà sottendano significati completamente diversi, per certi versi anche contrapposti.
Per comtagna come luogo di resistenza, si intendeva fa riferimento ad una posizione discorde ed in antitesi con la modernità, una trincea di una bttaglia di mentalità, culturale e spirituale, la cui portata si sviluppa su un linea di atemporalità; viceversa con il termine di Resistenza storica, si fa riferimento ad avvinimento preciso, storico, collocabile nel tempo a partire dagli anni 1944-45 fino a protrarsi alle propagggini apologetiche sostenute dalle forze dell'onda lunga, dell'egemonia post-bellica dei vincitori, come di solito accade inevitabilmente nelle vicende storiche umane.
Ritorniamo a Evola. Nelle sue riflessioni, che risalgono a qualche decennio or sono, ma per molti aspetti ancor oggi valide, e laddove il tempo le ha rese inadeguate non è perchè si collocassero su una linea errata, ma perchè gli spunti critici cui egli accenna hanno avuto modo di svilupparsi ulteriormente, da una parte confermando la fondatezza delle sue intuizioni e dall'altra contribuento a fornire i termini per comprendere le novità verificatesi in questo campo. Per chiarirci, dagli anni '30 ad oggi, e non solo l'alpinismo, ma un po tutta la società ha subito un processo democratico e di industrializzazione acefala, in cui masse secolarizzate da un consumismo devastante erompeva sulla scena sociale a spezzare relazioni stabilmente collaudate da millenni.

Evola raggruppa in tre punti le principali attitudine fuorviate nei modi di vivere la montagna.

A) quella "lirica-poetica", che si esprime in una retorica letteraria impregnto di sentimentalismo borghese, in cui la montagna è datta di 'vedute' e di 'paesaggi' vissuti a debita distanza, lirismo parolaio romantico ottocentesco, oggi ci sembra sussistere come residuo o sotto forma di ricordo nostalgico e folclorico.

B) la visione "naturistica", frutto della crisi della civiltà, la montagna è il luogo in cui si và per 'distendersi' dagli stordimenti, dalle frenesie, delle città, per proteggersi dai meccanismi ad un tempo, razionli ed anonimi, corrisponde ad un bisogno di rigenerazione biologica-psichica, contro l'arido intellettulismo, utilitarista e conformista si scopre un misticismo primitivista e ribellistico contro la città e la cultura, per poter reimmergersi in città e cultura con energie rinnovate da questo bagno rigeneratore e naturistico.

C) quella "ascetismo ed eroismo fisico", qui le forme colte e intellettuali, in qualche modo auliche, assumo la forma dello sport, del sacrificio, del superamento dei limiti fisici, dell'atletismo e dei records, amore per il rischio, la ricerca di vie e pareti intentate, ardimento, coraggio, indomite volontà; tendenza virile che poteva contenere elementi anche positivi di ardimento che è andata spostandosi verso atteggiamenti acrobatici e spettacolari, per spingersi fino a scalare pareti di palazzi e grattacieli.

Potrebbe essere utile confrontarci con questi tre prototipi emotivi e razionali, prima di accedere ad un approccio simbolico e spirituale nuovo e diverso, decisamente contro-corrente, contro il Tempo e le terribili forze che si scatenano contro chi non si sottomette e si rassegna, contro chi complotta sia pur a livello dottrinale, ed a maggior ragione contro chi osa ergersi concretamente ad avversarlo.
Bene fa L. Bonesio a ricordarci dell'invenzione dell'alpinismo. Non è un evento naturale sempre esistito.
L'alpinismo ci appare come una delle forme distorte e profanatrici della mentalità moderna. Non a caso spesso vieme impiegati in questi contesti termini come 'conquista' e 'violazione', quasi a voler sottolineare l'usurpazione da parte dell'uomo di territori che non gi competono. Sembrerebbe più consono alla natura promiscua di terra (creta) e acqua l'ambito profano, a lui più congeniale, base necessaria di consapevolezza da cui eventualmente intrapprendere il cammino-pellegrinaggio. Un cammino ascensionale anche se fosse pianeggiante. Le dimore elevate, le vette, le cime, non possono essere la sua dimora. Al contrario vi risiedono altre forme dell'Essere, divinità di ogni specie, mostri-custodi che presidiano i valichi, fanno carambolare miseramene e sconsolatamente chi con presunzione vi si avvicina senza essersi accertato preventivamente del necessario grado di purificazione richiesto. L'uomo è per antonomasia viaticus. Se il suo cammino giungesse alla vera meta, alla Vetta, dovrebbe trascendere la sua natura umana, perforare la membrana ta l'uomo e il Super-Uomo, l'Angelo, Semi-Divinità. Dante al termine del suo viaggio che gli succede? Certo non torna indietro, il viaggio è senza ritorno. Alcuna nostalgia per la forma umana lo può e lo deve ricatturare nella sua orbita, come se fosse saltato ad un cielo superiore, alquanto inaccessibile, Dante viene assorbito nella Luce divina.
Il privilegio quindi di vivere in montagna sarebbe quello di vivere in prossimità, in vista dlla Vetta. Comeè suggestiva l'idea del romantico J. Ruskin, caso A della tipologia di Evola, quando attribuisce alle Alpi, alle sue guglie, alle sue vette, che era solito valicare ai passi in Val d'Aosta, l'intuizione costruttiva (massonica-operativa) delle maestranze medievali che si diedero all'opera delle cattedrali gotiche medievali, che nel giro di pochissimi anni sorsero un po' ovunque in Europa. Tornato nella sua Inghilterra non potè non fondare la Gilda di San Giorgio, artigiani di una Guerra Santa. Un sogno romantico è stato detto. Ma paragonate questa Europa con le Alpi nel cuore, all'Europa di Maastricht, delle banche, dei finanzieri e degli usurai, e nessuna Poeta si ergerà più a maledire questi moderni caorsini, nessun Pastore di Roma li ammonirà più, ed avrete un'idea del baratro infernale in cui stiamo precipitando.
Circondati dalla perfetta ebetudine dei nostri politici che manco si rendono conto di quanto sta succedendo. Presi come sono ad inseguire il consenso dei loro voti democratici, sempre pronti a dichiarare 'una prioritaria assoluta' l'ultima sventura accidentale. Ciechi ad una visione generale.
I costruttori medievali percorrevano un itinerario esattamente opposto a quello moderno. Essi, con la loro Opera, portvano l'immagine della Vetta alpina nelle pianure al di qua e al di là delle Alpi costruendovi, a riproduzione di quella divina, le loro Vette-Cattedrali. Noi, al contrario, importiamo nelle valli, al cospetto delle Vette, al cospetto di ciò che furono Altari Immacolati, le nostre miserie metropolitane, i nostri veleni su scala industriale, la nostra cattività nella dimensione profana, cattività definitiva, ultima, proprio perchè ce ne vantiamo come un merito, e di conseguente lo si porta avanti con orgoglio. L'inarrestabilità del progresso, come l'accumulo continuo di scorie nucleari dove pensate ci possa condurre?
Quale l'Opera dei Tempi nostri? Quale l'equivalente delle Cattedrali medievali di oggi? Quale la nostra Impresa?

"...Gli Antichi, i quali ignoravano l'alpinismo ovvero ne conoscevano solo forme rudimentali, e quindi avevano dinanzi la montagna secondo i caratteri di una reale inaccessibilità e inviolabilità, appunto per questo furono portati a sentirla secondo il carattere di un simbolo e di una trascendente spiritualità".

Curiosa questa espressione di Evola, che con Antichi con la 'A' maiuscola intende onorarli per la loro immunità verso l'alpinismo, e le altre forme sopra ricordate di deviazioni moderniste. Per poi attribuire al fatto che possedessero "solo forme rudimentali" il merito di ciò. Anzichè attribuirlo al loro carattere aureo, alla capacità che ancora intrattenevano di riflettere le Luci delle Vette, e per questo non le 'conquistassero', commette l'errore materialistico di ritenere un errore, sia pure in forma embrionale, il lievito che li condusse a vedere nella montagna "il carattere di un simbolo e di una trascendente spiritualità".
Forse la sua ansia ad improntare la storia, un'ansia politica, dell'agire in modo non 'costruttivo' ma solo 'produttivo', come un imprenditore assorbito totalmente nella sia industria di successo, ignaro che una manovra speculativa sul mercato di Londra dei futures potrebbe annientrlo dalla sera al mattino senza che se ne accorga.
Torna quindi la domanda dell'Opera. Il contrario del "Che fare?" di leniniana memoria. L'Opera è finalizzata alla realizzazione spirituale. "Il mio Regno non è di questa terra" puntualizza il Vangelo.
E ancora su questa linea da interventista della contingenza storica continua: " è essenziale che le nostre nuove generazioni poco a poco giungano ad elevare l'azione al valore di un rito". Non si capisce perchè dovrebbe essere circoscritto ad un fatto generazionale, se non si tiene conto di quanto gli stia a cuore, fio acondizionarlo, la questione 'del movimento', la presunta urgenza politica, che non è che una mascheratura della sua impazienza esistenziale di fronte al ritmo ciclico che invece la prescinde.
Associare, infine, il "valore di rito" a quanto le "nuove generazioni" potrebbero mettere in atto, rivela drammaticamente quanto la diffidenza verso la dottrina ciclica porti poi a definire come "nuove generazioni" quei soggetti che, anzichè come egli auspica, in grado di operare un "raddrizzamento" del Ciclo, al contrario il più delle volte ne sono le vittime privilegiate, quando addirittura non vengono arruolate nella file della contro-Tradizione e, per così dire addestrati, a combattere negli eserciti dell dissoluzione finale.
Qui sul Tracciolino dello Spirito, le montagne non si vedono, ma la loro presenza è costante. Tutto le ricorda. Le stagioni che tardano in primavera e anticipano l'autunno. Nel fatto che rendono le patate più amiche dei pomodori. Tutto ci ricorda della presenza benefica della Vetta.
Ultimamente l'amico Gigi, in una conversazione amichevole e libera, si confida. "Ma sai Franco, hai fatto una scelta estrema, dura, coraggiosa", un po' tra lo spavento, stupore e ammirazione. Si riferisce alla scelta di resistenza in montagna. Re-sistere, in-sistere, come stare, ri-siedere. La scelta, insomma, di vivere in montagna. Con tutta la simpatia, ma la solitudine, triste e dolorosa, sarà tua sorella. Non te ne stupire. E' l'opinione che spesso si sente. Ma quale è la vera solitudine?


Per un attimo la saggezza di Gigi sembra convincermi, portarmi dalla sua. Poi, un baleno di forza e di luce mi attraversa come una meteora la costellazione delle emozioni e si fa strada tra i pensieri. La solitudine è la vostra, non la mia (e di Bea che la condivide con me). Per prendere in prestito le parole dal poeta dico, siete voi soli, "termitai di eremiti".
Affaccendati nell'oblio, occupati a distrarvi, a di-vertere in divertimenti coatti. Consumatori di merci che soddisfano bisogni che sono sempre meno bisogni. Divertissement nel senso pascaliano, eretto a sistema politico di governo di masse esangui ed ammaestrate alla rassegnazione. Anzi peggio, spinte a credere che la distruzione sia la cosa giusta e che comunque la macchina infernale non si ferma. La Televisione come instrumentum Regni, ma come vera arma di ditruzione di massa. L'altra sera, sotto la copertura di difendere una giusta causa di maltrattamento, sento dire, in mezzo a descrizioni orripilanti, la frase: "La famiglia è la culla della violenza". La cellula vitale gabbata, se in buona fede non saprei, per quella cancerosa. L'effetto sovversivo è indiscutibile. E naturalmente era sula terza rete, quella 'rogressista'. Comunque, non spaventiamoci, sono già pronti modelli 'alternativi' di famiglia.
Consumatori di merci che sono costruite per consumarsi (ragionevolmente, secondo le 'leggi' del mercato assai presto). Più si consumano, e meno costano. Meno costano e più si comprano, e si consumano, e più sono prive di qualità. Alla fine, sono gli stessi consumatori a consumarsi. Cannibalismo, termine caro a Gigi, ma qui siamo all'autocannibalismo. Ci consumiamo da soli. Qual'è la vera solitudine?
L'Opera, dunque, è tutto ciò che contrasta questo autocannibalismo. Comincia da ciò che ci sta intorno, e dal nostro interno. Dalla capacità di saper rinunciare. Saper sfidare in noi stessi sul terreno dello spreco. Attuare il minimo di scambio, valorizzare il baratto, la prestarione d'opera reciproca, contenere lo strapotere del denaro. Creare comunità in cui si pratichino regole nuove, o anzi, antichissime. E altro ancora. Ma non fatto con la tristezza della povertà nel cuore, della solitudine che avvelena ogni istante e mina ogni volontà. Al contrario con gli occhi ed il cuore di chi sente la Vetta, con la vogli di fare dei muratori e scappellini, impiegati nell'impresa dell'Opera, cui bastava un pezzo di pane e una broca d'acqua per compiere cose immortali che oggi ancora, noi con tutta la nostra superbia tecnologia rimaniamo attoniti ad ammirare e a chiederci come abbiano fatto. Con l'energia di quei Cavalieri animati da un fare che fosse solo quello secondo Giustizia, a costo della vita, non come noi che per cinque euro siamo pronti avendere la nostra dignità senza pensarci due volte. Per quale ricopensa? Circondati da ammirazione mista a dileggio, da 'fatti furbo!', li ricompesavano la possibilità di riempire i loro occhi stupefatti e in-cantati con la Visione del Graal, la Presenza sempre invisibile, intangibile, immacolata, inviolabile. Come la nostra Vetta, per noi 'malati' di Tracciolino, la piccola Traccia; è la nostra chèrche, senza mai conquistarla, senza metterci una bandierina e dargli un nome. Poichè è risaputo e scritturale che non è nostra la scienza dei Nomi.
Tutte cose che non si fanno se si è vinti dalla rassegnazione. Per questo l'Opera ha bisogno di energie sempre fresche, come un fronte di battaglia; per questo vengono alla mente i Cavalieri di un tempo, passato senz'altro nelle forme esteriori, ma ancora attuale in quelle interiori.


Per leggere il testo evoliano cui qui si fa riferimento:
www.juliusevola.it
http://leucodermis.blogspot.com/2009/05/la-via-interiore-alla-montagna.html

mercoledì 18 agosto 2010

Franca, (ex)collega di Bea: vibranti emozioni da un ufficio di una multinazionale a Milano

Eccomi, sono Bea, vorrei riportare qui sul blog lo scritto inviatomi via e-mail dalla cara amica Franca che non è riuscita ad inserire nei commenti..
Troppo buona Franca, non merito davvero le bellissime parole che scrive.. Franca è una mia ex-collega, ma soprattutto un'amica...senza tempo...senza scadenza. Abbiamo lavorato a stretto contatto, purtroppo solo negli ultimi tempi, ma ho così potuto apprezzare le sue qualità umane di lealtà e di affidabililità...Sullo strabordante effusione di sentimenti e sensibilità, basta leggere quanto ha scritto!


Del resto, da un ufficio asettico di un anonimo grattacielo milanese dalle finestre non apribili, dove anche l'aria che respiravamo, e lei continua a respirare purtroppo, veniva ricostruita, in un'orgia di artificialità, e spacciata per esser anche migliore di quella naturale esterna! E, ironia della sorte, considerando l'inquinamento cittadino esterno, la cosa assume una paradossale verosimiglianza! Ma come si dice: "il tacòn è peggio del bùso"! Da tanta moderna alienazione ci credo che anche un coniglietto appaia come una creatura toccante e 'umana'!

Spero tanto che venga su presto qui al Tracciolino a partecipare a questa"vera favola", come la chiama, ad assaporare di persona (lei e famiglia, ovviamente) l'aria frizzante e sottile, le emozioni della vista dall'alto e verso l'alto che solo in montagna si possono davvero gustare, assimilare, fare proprie, sensazioni che nessuna parola può descrivere perchè così diverse per ognuno di noi....
Bea.



Ciao bea,
ho visto il blog.. è fantastico... pero io sono un po imbranata e nn sono riuscita a scrivere il commento...ma te lo scrivo con la email... mi riferisco soprattutto a quello che hai scritto il 13 agosto...

Carissima Bea... sono contenta perchè le tue parole mi confermano che quello che penso di te è vero ..." SEI UNA STELLA LUCENTE"" ho scoperto che sei piena di risorse.. e anche se al lavoro mi manca la tua luce che riuscivi a trasmettere col tuo viso sempre sorridente, sono contenta perchè da quello che scrivi ho capito che ora sei "serena " e "felice" ... di vivere con Franco e in mezzo alla natura... libera ......(e senza problemi come il dover correre per arrivare in ufficio...!!!???? ).....
menttre leggevo e mentre scrivo mi scendono le lacrime dagli occhi ( sai che io sono sensibile ...).... ma queste sono lacrime di gioia x te........ credimi dal profono del cuore Vi auguro di vivere serenamente a lungo e ....come nelle favole......vivere felici e contenti......( xkè la vostre è una "VERA FAVOLA")( a volte io sono peggio di una bambina e alle favole credo ancora!!!)...

baci ... a presto....

Franca

Per Indio e Vincenzo

Egregi Signori,
Li ringrazio per l'interesse che entrambi hanno manifestato attraverso i commenti recenti.
Direi che le (di)visioni politiche-ideoliche non dovrebbero costituire un ostacolo alla buona volontà di volersi capire, specialmente per le persone che, nel segreto del loro cuore, sono sinceramente sono sentono in cammino.
Ho perso amici, che non erano amici, opportunità che non erano tali, ma solo perdite di tempo. Quelli politici-ideologico, sono ostacoli che non sono ostacoli.
Le visioni politico-ideologiche mi sembrano eventi teorici che non possono seminare male, discordia,disarmonia quando non addirittura odii e lotte fratricide, per il semplice motivo che è uno di quei mali che in realtà non sono mai esistiti, anche se molti, direi i più, ne sembrano totalmente avvolti. Non si può aver paura di ciò che non è mai esistito.
Il problema forse è un altro. Quello di sciogliere, 'disnodarci' nella nostra mente, corpo e anima da "un paradigma critico e spesso radicale nelle sue posizioni e nei suoi assunti, ma sostanzialmente solidale ai valori fondanti la modernità e coerente col progetto politico illuministico (democratico)." Un folle rincorsa a teorizzare il teorizzabile pur di non staccarci dal materialismo, razionalismo, empirismo, e tanti altri 'ismi' che ci mantengono nella "chiacchiera" (a volte colta, quasi sempre sepolti nel proprio narcisismo) e lontani da cosa veramente vuol dire pensare.
Preferisco il concreto al teorico, il pensiero alla chiacchiera, dar da mangiare ai miei conigli e galline ad un simposio di parrucconi di massa. Potrebbe sembrare un paradosso, d'altro canto, l'utilizzo del web. Ma è così che va il mondo!
"E' essenziale che le nostre nuove generazioni poco a poco giungano ad elevare l'azione al valore di un rito, che poco a poco esse riescano a ritrovare quel punto trascendente di riferimento", parole di Evola anche queste. Assomigliano a quelle di Battiato, ricercatore di un, meglio de' 'il', "centro di gravità permanente". Se le nostre azioni, i nostri gesti assurgessero "a valore di rito"! E' così che, dopo la pensione mi sono trasferito in montagna a 950 mt. Un gran privilegio dal punto di vista della vita 'rituale'...
Ho apprezzato molto l'accostamento alla mamma, all'orto di sua madre. Mi onora.
Anche al Sig. Vincenzo vanno i miei sentiti ringraziamenti, e complimenti.
Permettetemi di citare un adagio, mi perdoni il Sig. Indio,ben noto in ambiente tradizionale, "riunire ciò che è sparso". Un po' quello che cerchiamo tutti noi di fare, ma 'fare' veramente però non "chiacchiere" qui sulla rete, siamo sparsi nell'oceano del web e ci stiamo cercando per riunirci...noi anime... (facendo attenzione a New Age, o ad altre parodie o pseudo-Tradizioni, specchietti per allodole...).
Al piacere di risentirvi, e di sapere molto altro su di voi. Sulle montagne che avete a/nel cuore...
Cordialmente,
Franco.


http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/reneguenon/riunire.htm
http://www.ilcerchiosciamanico.it/articoli.php?wh=17

sabato 14 agosto 2010

Alpinismo e Montagna

Ah! il lamento per la desertificazione della montagna...

Bellissimo il brano di Alessandro, 12 agosto 2010. Pagina di un diario intimo e vero. Di una biografia che vede la montagna come un interlocutore importante. Imprescindibile. I ricordi si assiepano alla mente, le figure familiari più care ricompaiono, i loro semplici e fondamentali. consigli Le esperienze visionarie che la montagna può ispirare nell'anima del camminatore sono molteplici. Forse la fatica, forse l'aria che soffia sottile e tagliente, forse l'ossigeno che scarseggia, o forse chissà cosa, un po come i mangiatori di peyote indiani o altri sciamani, il fisico viene un poco alterato nelle sue funzioni biologiche consuete e ciò fa da viatico per chi ne è già di suo predisposto ai riflessi intimistici dei viaggi interiori. Certo quasi inevitabili le sfumature romantiche, ineffabili, poetiche...pietre che parlano e non tradiscono, torrenti e alberi che si personificano.
Ma in alcuni tipi di visionari, di cui facciamo parte anche noi, non possono mancare gli elementi tragici, assoluti, decisivi. Quasi sul prototipo di tutti i viaggiatori sognatori, il visionario Dante. Siamo lontani dai record alpinistici, siamo lontani dalla logica del superare 'sè stessi', siamo lontani altrettanto dalla montangna dei 'Grand Hotel' che come transatlantici di mondanità urbana vacua si inoltrano tra le valli e poi si inabissano nel loro artificiale delirio. Se non avete la sordità del turista - sia quello 'per caso' o quello superdistratto di massa - la sordità atletica di chi fa trekking per dimagrire e mountain bike per fare sports più o meno estremi, se non siete affetti da questi morbi modaioli, beh allora il fascino simbolico e magico della montagna non può non raggiungervi.
Se ci pensiamo bene i montanari, margari, contadini o boscaioli, che per millenni hanno frequentato i monti non hanno mai fatto alpinismo. Per quanto paradossale potrà sembrare.
Non hanno mai scalato vette. Solo quando raffinati romantici, sofisticati e urbani 'civilizzati', con strane apparecchiature, che oggi peraltro ci apparirebbero antidiluviane, li ingaggiavano come guide hanno iniziato questa parabole 'discendente' di voler 'conquistare' cime.
Prima era solo la convivenza e la sopravvivenza. Un dialogo essenziale pratico, insieme simbolico e materiale.



Scrive J. Evola:

E possibile che gli Antichi, i quali ignoravano l'alpinismo ovvero ne conoscevano solo forme rudimentali, e quindi avevano dinanzi la montagna secondo i caratteri di una reale inaccessibilità e inviolabilità, appunto per questo furono portati a sentirla secondo il carattere di un simbolo e di una trascendente spiritualità. Oggi che la montagna è materialmente conquistata e poche sono le vette che ancora l'uomo non ha violate, è importante far sì che questa conquista non si equivalga ad una profanazione e ad una «caduta» di significato."



Ecco perchè mi è piaciuto tanto lo scritto di Alessandro. Perchè coglie esattamente questo punto. Coglie la 'caduta' e la profanazione. Al di là dei mille discorsi che si possono fare sulla montagna, e che di fatto proliferano, in libri riviste specializzate, documentari, concorsi fotografici e spedizioni scientifiche, festivals, ecc., va a cogliere il bersaglio con precisione. E lo fa quando scrive:

"Scendo piano piano con lo stesso rispetto che c'è fra un domatore ed un leone e cascina dopo cascina abbandonata penso perchè siete andati via? perchè laggiù? Tornate qui, qui con me e ripartiamo insieme a costruire qualcosa per cui valga la pena vivere davvero, qualcosa che se un giorno qualcuno dovesse chiedermi: "Perchè hai vissuto?" io possa rispondere fiero qualcosa di concreto."


Ci ritorniamo subito sopra, solo il tempo per un accostamento per inciso. Cito da uno di questi discorsi generalisti e confusi da 'difensori' della montagna, che proprio come Alessandro, si trova nell'analoga situazione di iniziare la discesa dalla vetta, si imbatte in queste cascine che come ruderi si ergono dal passato per interrogarci, giacchè quelle ristrutturate à maison de plaisirs per vacanzieri non le consideriamo neppure aprioristicamente, fan parte del discorso 'Grand Hotel Dolomiti', importante e leggittimo, ma un'altra cosa:

"Due anni fa non c'era ma ora c'e' una malaugurata strada sterrata che ha ferito i prati. Tutto per servire due o tre baite forse, e spero sia così, abitate da margari. I pochi metri di prato e la loro bellezza, cancellati fatti a pezzi dal serpente di terra e sassi estranei, che pur si sforza, (appare evidente l'intento del tracciatore) di scorrere per quanto possibile defilato dietro un poggio e lungo il bosco. Così, illudendosi che un accesso agevole alle cascine dia una ragione valida di proseguire l'attività agricola e di allevamento, si affretta l'opera di inselvamento della zona. Non so cos'e' giusto di caso in caso, ma in generale ritengo che occorra motivare fortemente l'attività di margari, allevatori, pastori. Sono gli unici ripeto gli unici, perchè sia chiaro, che possono salvare l'ambiente di montagna e collina prima del definitivo inselvamento. Hanno anche gli attributi, in tutti i sensi, per farlo; chi è abituato alla vita cittadina da anni o peggio da generazioni, con tutto il rispetto... è fuori dal gioco."

A parte il discutibile gusto, il discorso degli "attributi" non aiuta nessuno alla comprensione del fenomeno, neppure alla sociologia dell'urbanizzazione della montagna. Di fronte a quel "non so cos'è giusto", giustappongo quelle potenti domande retoriche di Ale: "perchè siete andati via? perchè laggiù? Tornate qui, qui con me e ripartiamo insieme a costruire qualcosa per cui valga la pena vivere davvero..."
Ritorniamo ai quesiti di Alessandro. Queste domande riassumono e presuppongono la tragedia, un esodo epocale, una strada senza ritorno, un ciclo cosmico che si va ad esaurire. Retrostante soggiace una visione grandiosa. Vi è la ricerca di una sintonia sincera con la Tradizione. Certamente sarebbe doveroso un chiarimento sul significato di questo termine. Tuttavia non intediamo certo riferirici alla polenta concia, dei proverbi e delle canzoncine, dei ecomusei dedicati alla 'cultura materiale', all'idolatrico, nonchè patetico, culto buono per turismo strapaesano, folclore da pro-loco, e depravati politicanti sempre avidi delle più assurde sovvenzioni con denari pubblici. Così simili nulla hanno a che vedere con la Tradizione.

Possiamo appoggiarci ancora una volta a Evola, che prosegue:

"Per questo, è essenziale che le nostre nuove generazioni poco a poco giungano ad elevare l'azione al valore di un rito, che poco a poco esse riescano a ritrovare quel punto trascendente di riferimento, attraverso il quale le vicende di ardimento, di rischio e di conquista, le discipline del corpo, della sensibilità e della volontà fra l'immota e simbolica grandezza montana assurgano al valore di vie per la realizzazione di ciò che nell'uomo sta di là dall'uomo".

venerdì 13 agosto 2010

La vita sul Tracciolino dagli occhi di Bea.


Volevo aggiungere al mio commento al post di Alessandro una bella foto scattata proprio oggi dopo una raccolta nell'orto e nel pollaio.
Quanti doni preziosi e unici..(merito anche del paziente lavoro di Franco ovviamente). Ma la cosa che più ricompensa il lavoro è per me poter condividere con i cari e con gli amici queste prelibatezze.. Stiamo pensando anche di costruire un forno per il pane e devo confessare che il poter "fare" il pane fresco in casa, magari in un forno a legna, è un desiderio che cullavo da tempo.. Qui stiamo attendendo con trepidazione anche la nascita di qualche capretto (magari due?) e l'arrivo anche di qualche bel coniglietto ad aumentare il gruppo.. Le zucchine fresche stanno cuocendo in padella e il profumo si spande per tutta la casa.. Ora vado a preparare una bella frittatona e spero che i nostri cari amici Gigi con Elena e ragazzi e la mamma di Elena, Alessandro con Elisa vengano presto qui a condividere non solo il lavoro come tante volte hanno fatto, ma anche i buoni frutti materiali e spirituali che la vita qui ci dona senza riserve. Bea.


Il nostro amico Alessandro... Mi emoziona sempre con le sue parole, i suoi pensieri.. soprattutto perché nascono in un'anima così giovane, eppure così "antica"...

E’ un ragazzo davvero speciale Ale, saldo, forte e affidabile come le "nostre" montagne, davvero un piacere averlo qui con noi appena possibile (troppo poco), passa in fretta il tempo in sua compagnia.. Le "nostre" montagne, per noi, per me almeno, non sono i luoghi dell'infanzia, io sono stata "adottata" dopo.. molto dopo.. anzi, mi sono proposta in adozione e "loro" mi hanno accettata subito, senza riserva, quasi mi stessero aspettando da tempo... Non dico che sia facile, semplice la vita qui, anzi. Ma è proprio questa difficoltà che ti rende "saporita" la sfida di ogni giorno.. anch'io come Ale ho dovuto (anzi devo ogni giorno) confrontarmi con il mio innato senso di vertigine alla vista del vuoto, il brivido che sempre provo quando guardo giù la pianura ogni giorno uguale ma differente: ora coperta di nuvole e nebbia e un attimo dopo ampia e assolata a perdita d'occhio.. Ma il brivido più intenso lo provo quando la vista sale verso l'alto, verso le cime innevate e impervie per me, abituata ad una vita là nella pianura che ora guardo dall'alto, forse più "comoda", dove non avverti mai la preoccupazione del doverti scaldare in inverno..o come fare se va via la corrente, se piove forte..oddio...entra acqua dal tetto!..ma il silenzio..il lento scorrere del tempo..la dolce tranquillità che ti fa riflettere...pensare che questo è il tempo migliore, il modo migliore, per provare se stessi... Alle volte penso: ma ce la farò a vincere le mie paure? del vuoto, della solitudine, del silenzio, della vita magari più scomoda, ma senz'altro più vera, reale, a misura d'uomo che qui si respira.. sempre. E ritrovo i sapori e profumi dell'orto (questi si della mia infanzia), la gioia di farli riscoprire a chi viene a trovarci, la gioia di respirare sempre a pieni polmoni l'aria fine e fresca di montagna, gli odori della stalla, così antichi e vivi, intensi.. il chiocciare allegro delle galline quando gli porti da mangiare e il diverso richiamo che ti avvisa dell'arrivo di un regalo, prezioso e sempre unico: l'uovo fresco!.. qui, a contatto stretto con la natura, ogni giorno è differente.. qui, se vuoi, c'è sempre tanto da fare, ti senti utile e senti che la montagna ti accoglie, ti "adotta" senza condizioni, ti accetta come se ti conoscesse da sempre, la paura per la montagna..si...è giusto averne timore e rispetto (come diceva sempre mio padre: "bisogna darle del Voi"), ma bisogna provare davvero vivendola e la paura lascia il posto allo stupore, al reverente rispetto del suo sapore antico ed eterno che ti porta a guardare su, in alto, verso il cielo e a ringraziare Dio... le parole del nostro amico Ale trovano conferma nel mio cuore..

Bea.

giovedì 12 agosto 2010

La montagna e l'uomo




Da sempre è un rapporto complicato quello che lega l'uomo e la montagna. Non so perchè io fin da piccolo ho identificato in essa il pilastro della mia esistenza. Ci sono delle montagne che considero come delle vecchie zie eleganti, tenebrose, ma mai troppo severe.
L'uomo le ha scalate, abitate, scavate e fotografate ma forse non le ha mai capite e ancora oggi qualche volta se ne sentono le conseguenze nelle notizie al telegiornale.
L'altro giorno sono salito su fino alla punta del Becco, passando dal Cucco e dal Cimone, in cresta.
Scalare una montagna è per me paragonabile alla difficoltà di amare una persona, alcune sono semplici e istintive, altre devi saper vincere le tue paure, nel mio caso quella del vuoto, per provare emozioni uniche ed irripetibili.
Il mio amico Franco sostiene che la montagna costituisca riparo per l'uomo. Senza ombra di dubbio, ma mentre salivo pensavo a quante volte in 26 anni i miei occhi hanno guardato quelle cime ricoprirsi di neve e poi lasciare spazio alla primavera, quante volte mi sono chiesto come fosse lassù ed ecco che dalle nuvole, passo dopo passo ci sono. In un attimo e per un solo istante il cielo si pulisce e appare la Valle sotto ai miei piedi. La testa quasi mi gira e il cuore batte fino a salire in gola. Che spettacolo unico, sono arrivato fino a qui e ho vinto le mie debolezze. Mi siedo e penso a quanto siamo piccoli rispetto all'immensità che ci circonda e allo stesso tempo a quanto riusciamo ad essere dannosi ed indigesti per questo pianeta meraviglioso. Il tempo passa e la paura sembra lasciare il posto alla sicurezza, a quel sentirmi a casa che mi accompagna da sempre in questo viaggio che è la vita. Sono qui sulle "mie" montagne e da qui vedo i luoghi del passato, la valle, i giochi di bambino, i nonni che mi hanno saputo far diventare grande affidandomi a queste pietre che non mi hanno mai tradito, deluso... loro no. Ho imparato tanto quassù e oggi sono andato ancora più in alto, più vicino o più lontano? dipende dal riferimento.
In un attimo il cielo si chiude: "fine dello spettacolo", sembra dirmi la montagna, "hai visto abbastanza, ora vai a casa e non ti dimenticare di questa prospettiva."
Scendo piano piano con lo stesso rispetto che c'è fra un domatore ed un leone e cascina dopo cascina abbandonata penso perchè siete andati via? perchè laggiù? Tornate qui, qui con me e ripartiamo insieme a costruire qualcosa per cui valga la pena vivere davvero, qualcosa che se un giorno qualcuno dovesse chiedermi: "Perchè hai vissuto?" io possa rispondere fiero qualcosa di concreto.
La discesa è veloce, in un attimo la cima è fra le nubi e guardo con invidia quelle pietre in cresta che sono sempre lassù, non si muovono e immutate ai miei occhi, anno dopo anno, secolo dopo secolo, assistono impassibili ma lontane al macabro spettacolo che gli si prospetta davanti e forse, nelsilenzio della montagna, ridono di noi.

sabato 7 agosto 2010

Parole come gocce...in forma di rosa.

L'altro giorno, giovedi, siamo stati omaggiati della visita dell'amico Alessandro, assieme al quale abbiamo trascorso alcune ore intense, piacevoli, utili.

Oggi ho letto le sue righe. Ne sono avido, e mi sembrano poche. Ma ci hanno toccato il cuore, intendo i sentimenti e l'intelletto (che non è l'intelligenza, e non perche Ale non sia persona giovane ma profonda, intelligente, anzi, ma mi riferisco semplicemente ad una diversa facoltà dello spirito). Parole come gocce che devo leggere e rileggere, se le assimilo temo di assorbirle, temo che mi scompaiano dalla vista, come gocce di pioggia che il deserto riceve. Le respinge per potersele centellinare meglio, col tempo. Parole che corrono come unità viventi e separate.


La giornata è stata di sole, quel bel tempo estivo che però, almeno qui in montagna sul Tracciolino, già lascia capire che stiamo andando verso l'autunno. Il sole è caldo, allo zenit, brucia, ma l'aria sotto sotto filtra che entra e fa capire che una magliettina comincia ad esser poco. Se hai i calzoni corti, come quelli che indossava Alessandro, già poco adatti a proteggere contro insetti e rovi, ben presto accusi il freddo. Pensi ai tuoi connazionali in fila sulle autostrade dal caldo asfalto all'affannosa ricerca del miraggio del ristoro marittimo, il mordi e fuggi dei week-end (perdonatemi il barbarismo, sbarcato anch'esso con gli 'Alleati' ad Anzio, ma la mia idea di autarchia non mi consente di avvitarmi su impuntature linguistiche) o una o due settimane di ferie rituali a metà agosto, quanto si può permettere oggi una famiglia che arranca tra mille difficoltà finanziarie per conquistarsi un brandello superstite di normalità in un mondo massificato che ogni giorno sprofonda sempre più.
Alessandro è una di quelle persone con cui puoi parlare dando tutto questo per scontato. Ci si colloca già su un piano di intesa, che col tempo l'amicizia imbandisce convivialmente ad ogni incontro. Una di quelle persone con cui non hai timore alcuno di parlare. Bussa e sarai accolto, comunque. Non di quelle che ben sai che arretreranno affrante e, dentro di te, nasce l'impressione, che poi si conferma in certezza, che non le rivedrai mai più. Lui non è un amico 'per modo di dire'.
Ed infatti abbiamo parlato tutto il pomeriggio e la sera. Quasi provati alla fine, ma felici. Un po 'di tutto abbiamo parlato. E non sono cose da coprirsi con 'segreto istruttorio'. Anzi andrebbero comunicate, condivise o meno.
Non intendo darne un resoconto. Non sarebbe neppure molto facile da farsi. Ma sarebbe anche sciocco farlo. Ci sono momenti alti, e momenti in cui il ritmo sincopato si distende. Il grande fiume delle parole percorre anse placide, maestose magari, comunque riposanti. Altre volte si fa travolgente e opaco, non facilmente comprensibile, anche per noi stessi che vi parteciapiamo, come fosse appena raccolto dallo sgocciolamento di un nevaio.
Abbiamo preso le capre e siamo andati in giro per i prati e il bosco retrostante la casa. Frequenti le soste, incalzati dal fresco serotino e settembrino.
Abbiamo mangiato uova del nostro pollaio con fagiolini dell'orto. L'odore dei conigli non lo ha fatto arretrare, neppure sotto minaccia dell'allergia da pelo. Anzi. Sapori e odori di fieno e di stalla, come dice, lo hanno fatto viaggiare nel tempo, all'infanzia, verso le cose credute perdute ed invece ritrovate, o ritrovabili.
Abbiamo parlato di cose essenziali. Come lasciare una Traccia del nostro peregrinare sulla terra., che gli dia un senso. Anche una piccola traccia, non è solo un gioco di parole, un Tracciolino. Non nei figli. Non nella Storia. Una lieve traccia, come gocce di pioggia sulla rosa che amano confluire nella Tradizione, che è il contrario della Storia. Questa si che è degna di quello che scrive: "Qui tutto è gerarchicamente ordinato e funzionante, nessuno scricchiolio o incertezza, un meccanismo oliato che funziona ininterrottamente da sempre, dal principio." Ovviamente, così non è, qui sul Tracciolino, per noi rifugiatisi in montagna a meditare sul dafarsi . Ale si è lasciato trasportare dall'entusiasmo. Ma l'aspirazione, come ispirazione, è quella giusta, precisa come un fendente di un esperto samurai.
Parole che narravano il desiderio di contenere, circoscrivere gli effetti del Tempo, come preparare la strada a tempi migliori Fuori dal Tempo. Tradendo Kristo, hanno investito sul futuro, sulle scadenze, sui ratings. Scommesse empie. E' col denaro che si è potuto inventare la trappola mortale degli interessi, dell'usura. Offesa alla divina bontà. Trappola in cui è caduta la cristianità, o con l'astuta trama paolina ha intessuta, e tramite suo l'Occidente e forse il mondo, che su queste direttrici perverse va allineandosi.
Proprio in questi giorni, parecchi sono stati i morti in una miniera aurifera, nella Cina comunista, le autorità hanno fatto sapere che il "proprietario" (in una dittatura comunista?) è stato arrestato. Giustizia è fatta. E democrazia trionfa.
Le nostre parole veleggiavano ben oltre, si studiava cosa significa il denaro sociale, wir, massoneria, rischi e necessità esoteriche, persino come si possa ripescare il baratto affossato nei millenni della preistoria evoluzionistica, ma ora in piena crisi, che voglia Iddio ci inabissi sempre più verso la Luce, forse riacquista nuova vita. Ma solo alla luce di questa tragedia ciclica metafisica, non alla maniera dei mercatini dell'usato da riciclaggio economico sinistrorso. La discarica di Nairobi con la sua perduta umanità, le massi flottanti di tonnellate di platica sugli oceani, queste sono le metafore della attuale situazione.
Se animate dalla forma della Rosa, le nostre parole solcano indenni queste tempeste, e libere dalle intemperie conocorrono al libero 'rosario'. Sequenza di parole sante come gocce che descrivono la forma dei petali della Rosa.
Di tante cose abbiamo parlato con Alessandro durante la sua visita. Non lo sapremo, ma parole di qualità, su cui dovremo ritornare...
Per farlo tornare su queste parole, lasciandolo, per il momento lo abbiamo fornito di zucchine e fagiolini. che profumano di terra e di montagna. Solo un'esca...per l'eterno ritorno al Traccia-lino indelebile.

venerdì 6 agosto 2010

La macchina del tempo


Uno dei sogni dell'uomo più gettonati insieme a quello di volare è viaggiare nel tempo, scoprire cosa ci ha preceduti ma soprattutto cosa ci attende nel futuro.
In questi tempi in cui il vortice umano ruota ormai a velocità incalcolabili verso il nulla, il delirio, il vuoto e l'entropia potrebbe essere utile se non meraviglioso chiudere gli occhi e pensare al passato, alla tradizione, all'immutabile.
Forse però esiste un'alternativa, andare dove il tempo non sembra essere passato, dove tutto non è fermo ma immutato, dove il sole scandisce le ore e le stagioni si susseguono nel ciclo eterno della vita, della terra. Salire verso il Tracciolino ha il sapore della risalita dagli abissi, curva dopo curva si scorge la superficie e poi ad un tratto ecco l'aria, la boccata di ossigeno, che bello respirare quasi lo avevo dimenticato.
Qui tutto è diverso, tutto assume un significato differente, forse quello giusto, quello sfuggito ormai da tempo.
Il contatto con la terra, la natura e gli animali mi riporta con il pensiero a quel canto di sirene che mi vorrebbe in alto, in montagna, lontano da tutto e da tutti o quasi. Quel richiamo che mi assilla, mi toglie il sonno e la quiete, quell'irrefrenabile desiderio di scendere dalla nave e nuotare verso sponde sicure, immacolate.
Qui tutto è gerarchicamente ordinato e funzionante, nessuno scricchiolio o incertezza, un meccanismo oliato che funziona ininterrottamente da sempre, dal principio.
La compagnia è quella giusta, quella di Franco e Bea, due persone speciali che sanno farti sentire a casa, ti circondano di attenzioni e parole che danno sicurezza, non ti giudicano ma ti accolgono sempre e comunque.
Così con loro riscopro il profumo del fieno, di una stalla e di un orto, e guardo il mondo dall'alto, non con superiorità ma nello stesso modo in cui si potrebbe guardare dal bordo di un lavandino l'acqua sporca scivolare via. Da qui si vede la pianura, la distesa di smog e frenesia che di solito mi circonda...che tristezza vista da qua, dall'alto quasi stento a credere di provenire da quel vortice impazzito.
La giornata è finita ma il cuore batte ancora forte, è il mio sogno di bambino realizzato, una casa, una stalla, qualche bestiola e tanti profumi ma soprattutto due persone che dopo tante prove superate nella vita sanno ancora emozionarsi ed emozionare con dei gesti semplici, puri, così dannatamente fuori dal comune...purtroppo.

domenica 1 agosto 2010

Eppur qualcosa si muove...

Mi permetto di segnalare e far circolare queste considerazioni, idee, progetti...forse, mai dire mai.

Chi arriva a Biella, trova la scritta a mo' di insigna, "Citta della Lana". Poi la lana viene buttata, costi di smaltimento speciale, del tessile non ne parliamo neppure...ma con un po' di coraggio quei salsicciotti di lana che tengono caldi i semi, umidi e impediscono la crescita delle erbacce forse meritano un pensierino. Oppure come tenuta dei terreni nelle scarpate, visto che anche noi stiamo in montagna. Eppoi c'è il grande capitolo dell'uso nell'isolamento termico e nell'innovazione edilizia.

Chi lo dice alle centinia di allevatori biellesi che si possono organizzare con finalità e progettisi, anzichè pensare a show di tosatori neozelandesi, australiani, o altre amenità. C'è di mezzo la lana è vero, ma c'è di mezzo anche il riscatto della dignità di allevatori, magari anche di minime dimensioni, riscatto dal sentirsi mantenuti da sussidi e carità post-tecnologica. C'è di mezzo anche di smettere di rimpiangere l'età dell'oro del tessile, ormai passata e che non tornerà.

Umiltà, serietà, fantasia, utilità concreta, voglia di costruire cose valide e durevoli per la comodità non del 'consumatore', ma del rispetto per il proprio simile. “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt.6,33). Siamo pronti a questo? Eppur qualcosa si muove... per intanto ci si potrebbe muovere ed andare a vedere cosa stanno combinando il Alto Adige ed in Trentino, per esempio....




Lana di pecora

Rivista -> N. 106 - agosto 2010

La creazione di valore dell'allevamento degli ovini negli ultimi decenni ha subito grandi modifiche. Oltre alla produzione di generi alimentari pregiati, come la carne d'agnello e il latte di pecora con i suoi derivati, la cura del paesaggio è diventata uno dei principali motivi per l'attuale allevamento di questi animali. Purtroppo, in questo modo la lana di pecora è diventata una spina nel fianco.
La Federazione Piccoli Animali dell’Alto Adige (Verband der Südtiroler Kleintierzüchter- VSK) sta cercando di dare risalto alla lana di pecora come importante materia prima naturale rinnovabile mediante iniziative e progetti.
In Alto Adige si allevano circa 45.000 pecore. Con la tosatura, che si svolge due volte all'anno, si ottengono circa 135.000 kg di lana sucida.

Metodi alternativi di utilizzo della lana di pecora

- Lana per la protezione delle piante

L'obiettivo è sviluppare elementi biodegradabili per la protezione degli alberi partendo da materie prime rinnovabili, che possano trovare applicazione soprattutto nelle nuove piantumazioni nel campo della coltivazione di alberi da frutta e vigneti nonché nel giardinaggio, allo scopo proteggere le giovani piante da piante estranee o concorrenti (piante infestanti).

Da queste considerazioni si sono sviluppate diverse forme di prodotti per la protezione delle piante.

  1. Contorno dell'albero in lana infeltrita: feltro di lana rotondo
  2. Teli di lana: feltro in teli
  3. Manicotti per alberi: un mantello in lana infeltrita per il tronco delle giovani piante.

Le caratteristiche più importanti di questi prodotti di lana sono la capacità di assorbimento dell'acqua, la garanzia di opacità, la protezione da effetti meccanici, la struttura elastica per impedire l'inglobamento nella pianta e la facilità d'uso.

- Lana per la stabilizzazione di scarpate

Come stabilizzatore di scarpate, la lana può essere utilizzata come geotessuto in funi e reti. Le funi tessute in lana grezza possono essere utilizzate per la costruzione e la manutenzione di scavi, corsi d'acqua e strade nonché per pendii instabili, piste di sci e argini.
Da queste funi vengono realizzati tappeti intessuti a forma di rete, che possono essere posati lungo le scarpate. Presentano un buon assorbimento di acqua e possono eventualmente essere coperti a prato, tessendo nella lana dei semi di erba.

Macchina per il confezionamento delle funi  di lana
Macchina per il confezionamento delle funi utilizzate per stabilizzare le scarpate legandole alle reti

Manicotto di lana per la protezione delle  piante
Manicotto per la protezione delle giovani piante e nel contempo trattenere l'umidità

- Lana per l’allestimento di orti e giardini

Le funi in lana naturale possono essere tessute anche molto strettamente, in modo da creare un tappeto ideale per piantare ortaggi. Anche in questo caso si possono sfruttare le positive proprietà di immagazzinamento di acqua, opacità (importante per impedire la crescita di erbe infestanti) e protezione contro il freddo.

- Altri impieghi: una tenda di lana

Durante un seminario sulla lana di una settimana, tenutosi a Lagorai in collaborazione con la Federazione Piccoli Animali dell’Alto Adige e l'Associazione Allevatori Ovicaprini APOC di Trento, è stato realizzata una tenda di lana. La tenda è stata realizzata a forma di yurta, una tenda rotonda dei pastori transumanti mongoli, khirghisi, kazakhi e turkmeni.
In pratica consiste di un semplice telaio di legno che viene coperto da teli di lana infeltrita. Per i nomadi, il tutto doveva risultare molto facile da maneggiare, perché era importante poter montare e smontare la tenda che doveva anche essere leggera da trasportare a dorso degli animali da soma. Per la prima yurta di lana altoatesina sono stati lavorati complessivamente 120 kg di lana di montagna. La tenda è composta da tre teli di lana infeltrita. Due teli per le pareti esterne, ciascuno lungo 10 metri e largo 2,5 metri, e un telo per il tetto. Per la copertura del tetto a cupola è stato realizzato un piccolo telo di lana di pecora di montagna bruna. L'ingresso della tenda è stato chiuso con un tappeto. La particolarità di questa tenda è il clima confortevole al suo interno. I piani di lana sono traspiranti e regolano l'umidità.

Oggetti di lana cotta
Carrello con oggetti di lana cotta prodotti artigianalmente

Barbara Mock – Direttrice Associazione Provinciale Allevatori di piccoli animali Verband der Südtiroler Kleintierzüchter Bolzano/Bozen
_____________________________________________________

L’allevamento organizzato di ovini in Alto Adige è nato nel 1952 con la fondazione dell’associazione “Schafzuchtverein Sarntal”. Negli anni successivi, in altre comunità sono nate altre associazioni, progressivamente in tutta la provincia di Bolzano. Ciò ha portato, nel 1989, all’istituzione dell’associazione provinciale allevatori di piccoli animali “Verband der Südtiroler Kleintierzüchter “ che oltre del settore ovino si occupa anche di capre e maiali. Il VSK (che conta oggi più di 2000 iscritti) si occupa della nella tenuta dei libri genealogici, della commercializzazione dei prodotti e della consulenza ai propri associati. Oggi sono più di 2.000 gli allevatori iscritti
Attuale Presidente è Johann Götsch, originario Katharinaberg/Monte Santa Caterina, in Schnalstal/Val Senales.

Die organisierte Schafzucht in Südtirol hat ihre Geburtsstunde mit der Gründung des Schafzuchtvereines Sarntal im Jahr 1952. In den folgenden Jahren wurden in verschiedenen Gemeinden weitere Schafzuchtvereine gegründet, allmählich eine landesweite Zusammenarbeit anstrebten. Dies führte im Frühjahr 1989 zur Gründung des Verbandes der Südtiroler Kleintierzüchter, dem neben den Schafzüchtern auch die Ziegen- und Schweinezüchter angeschlossen sind.
Die wesentlichen Aufgaben des Verbandes sind die Herdebuchführung, die Vermarktung sowie die Beratung der Mitglieder. Heuter zählt der Verband rund 2.000 Mitglieder. Obmann des Verbandes ist Herr Götsch Johann aus Katharinaberg im Schnalstal.

Verband der Südtiroler Kleintierzüchter (VSK)
Via Galvani 38
39100 Bolzano
E-Mail: : info@vskonline.com
Sito: http://www.alpinetgheep.com/