giovedì 28 giugno 2012

Matrimoni sterili.







Nella tradizione islamica il matrimonio ha essenzialmente un carattere laico. Questo termine tuttavia, va inteso non nel senso corrente in Occidente, ma in una dimensione tradizionale, secondo la quale propriamente parlando non esiste in nulla una realtà che non sia quella sacra. I fenomeni che chiamiamo profani, e che lungo andare hanno assunto un carattere autonomo e profano non avrebbero ragione di sussistere in una società che vuole dirsi 'ordinata', cioè 'cosmica', e di conseguenza anche 'bella'.

Non meravigli quindi il fatto che, pur non essendo una cerimonia di carattere religioso, il matrimonio sia circondato da qualificazioni che solo a stento riescono nel profanizzare fino in fondo la sua natura, fino al punto da essere considerato dai sociologi moderni della chiesa scientista una sorta di 'rito di passaggio' mentre ricordiamo come per la Chiesa  cattolica stiamo parlando di un 'sacramento', agenti questi ultimi che per taluni aspetti sono tra i principali interpreti della sovversione e della parodia della tradizione.





Riaffiora immancabilmente, al di là di ogni celebrazione dei vincoli sociali e di parentele volta ad idolatrare il gruppo di appartenenza, al di là delle opache incrostazioni socio-antropologiche, l'essenzialità del rito, rievocato nel termine stesso con cui si definisce, 'matrimoniale'. Vale a dire l'imminente auspicata maternità, che non può riferirsi solo al laico concetto di riproduzione sociale dell'individuo e della comunità o società senza sminuirne la portata. L'essere della madre o il diventare una madre, una Signora, una Notre Dame, una Regina rituale, una Madonna che provvede ad un'incombenza espletata grazie a mezzi miracolosi, straordinari, che esulano dalla quotidianità empirica, dalla dimensione finita di essere individuato, mezzi che appartengono più all'evanescente mondo delle contingenze. La trasmissione della vita è un evento paragonabile solo ai cicli cosmici, astrali, il rinnovarsi delle stagioni e dell'immane complessità che rende tutto ciò possibile. Un uomo-pesce prenderà forma lentamente nel suo grembo e sboccerà in un vagito senza toccare una virgola di un perfetto meccanismo predisposto da una Intelligenza che ci trascende.

Il Tracciolino è la terra della Madonna nera, la Madonna. della Madre, della Terra nera, dell'alchimia trascendente, delle formosità ubertose. Ma da quassù non si può ignorare lo sguardo che spazia sulla piana congestionata e caotica. L'eresia moderna. Non si può ignorare che a nessuna donna moderna viene più proposto in sifatto ruolo rituale. Il sangue dei visceri della terra non è più cosa raccomandabile. I liquidi organici vengono gestici da moderni maghi, cinici manipolatiori, tecnocrati, materialisti. Si dispensano pillole del giorno prima e del giorno dopo, i rapporti intimi si subordinano alle necesità gestionali dell'individuo-azienda. Nessuna pietà per il volto divino depositato in fondo alla natura. Il solo ruolo che lo rende immortale, il partecipare ad una vita grande, quella del macro-cosmo diventa un impaccio, una spiacevole incombenza e ci si aspetta che qualche ritrovato scientifico presto ci possa sollevare da questo 'retaggio' del passato, legato 'ancora' a ritmi ancestrli.

Queste spose moderne prive di maternità sono tristemente sterili prima ancora di 'cimentarsi' nella prova, l'unica che possa rendere piena realizzazione alla donna. Mascolinizzate dalle preoccupazioni che le operano nei loro ventri come nelle loro menti, i loro uteri disseccano sotto la morsa che le mercifica nelle professioni, nel lavoro, ne fa vittime della mentalità usuraria Lo sciupìo morale, che è stato loro imposto come meta sociale emancitoria, le detronizza dal loro ruolo di Regina, a quello di piagata comparsa di un rito il cui significato sfugge loro, di cui non resta loro che una interpretazione vuota, castrata della trascendenza, la loro risultante si bea di essere, per un momento, una star di un porno-show di massa. Senza veli, senza bellezza, regine meccaniche proprie nel momento in cui credono di realizzare la loro vera natura emancipata e libera, ecco, proprio allora ne affliggono l'inganno. Industrializzate. Precotte e preconfezionate. Pronte per far da comparse su uno scenario che vagamente ricorda i fasti del passato. Quando anche la più umile delle contadine analfabete era al centro della vita di tutti, come spetta solo alle Regine, alle Madri misteriche, a coloro grazie al cui respiro prende vita e forma l'intero mondo. Agenti realizzatrici di un piano divino, strumenti melodiosi di questo piano, docili ancille, vegini custodi di sapienti cure per i mortali. Sul loro volto,  sempre più raro riaffiorirà l'eterno sorriso della Madre. Mai ricercata come una portentosa vocazione, ma anzi ricacciata come una tremenda malasorte persecutoria, bandita, maledetta.

Vi è qualcosa di grandioso nel rendere questa anomalia sterile, come fossero le unioni sterili che si verificano in natura tra specie diverse. Come se la Madre nera esprimesse un suo decreto. Vegliasse su di noi, e con un dolce insegnamento imponesse un vincolo ad una onnipotenza malata, malriposta. Come contenesse con un sorriso di gioiosa armonia, l'intemperanza regredita e acerba della sua creatura.


venerdì 22 giugno 2012

Vita della vite fragola.


In questa estate strana, col sole che brucia e la grandine che, improvvisa e non attesa, in men che non si dica, irrompe, l'aria dà sollievo a chi viene dalla pianura.
L'orto comincia a promettere la ricompensa dei lavori immessigli nelle settimane passate. Ma questo rientra nelle attese di chi mette le mani nella terra. 
A primavera, passando per i corridoi di un desolante ipermercato, dove l'aria condizionata sembra ricordarci, come un memento, la malattia mortale che ci portiamo dentro, sono attirato da una confezione sdrucita di cartone, chissà quante mani l'avranno toccata. Un flebile rametto, esile, malaticcio, scarno, immerse le sue radici in una specie di impasto a metà strada tra il terriccio e la segatura. Sembrava mi chiedese di essere adottato.
Sulla confezione la scritta 'uva fragola'. 




La mente corre ai filari profumati dei nostri sogni, quando amici sognavamo la vita bella tanto da vivere quanto da sognare, da godere quando da apprezzare, col cuore grato e gioioso, ripieno della generosità del Creatore. Troppo grande, Lui, per essere pensato. Immenso per i nostri contenitori mentali umani, svuotati ed impotenti per presunzione. Il sogno di una vita rigenerata, ripulita da ogni polluzione. Non può mancare da noi sul Tracciolino, penso. Troppa vita elargisce per non essere dei nostri...
La porto su in montagna. Sembra stenti ad attecchire. 'Troppo grande il passo dall'aria condizionata ai selvatici boschi di ciò che è perchè è', penso. Dubito che ce la possa fare. Poi un germoglio il mese scorso. E' fatta penso! Ma qualche giorno dopo un coniglio di buon appetito, sfuggito dalla sua gabbia, pensa bene di azzerare la fioca speranza di vita che si era accesa. 'Era destino allora!'
Oggi in questo inizio di estate, invece, la vite dell'uva fragola ha ripreso a vegetare, rigogliosa ha messo un germoglio dal piede del ramo e un altro spunta dalla cima. E' un'esplosione; la vita trionfa su ogni male, sui miasmi economicistici che ammorbano e terrorizzano i contemporanei con incubi finanziari, i labirinti si chiamano ora banche, agenzie di rating, politica assassina di sogni e speranze! 
Sta scritto che portae inferi non prevalebunt adversum eam. E' bene ricordarlo. Attolite portas ad resurretionem, spalanchiamo le porte del cuore alla ripulitura.
Il profumo di fragola di questa vita anticipa persino l'avvento del grappolo. Dona una speranza, una promessa. Si pregusta il profumo di Paradiso! Che non è forse un giardino? Un orto? Quando si potrà vedere e il suo aere impregnato entrerà in noi, avremo transumanato il nostro essere...e speriamo che sia presto. Non perchè non ci saremo più, ma perchè ci siamo troppo...satolli di quello che Plotino chiamava iperplères, ebbri del masticare il suo tralcio.

venerdì 15 giugno 2012

La tecnica della disperazione: un miracolo della mercificazione.

Si sa, col denaro non si può comprare tutto. In compenso con gli ideali può fare dei miracoli di annientamento. Difficile mandare d'accordo il mondano con l'ultra mondano. 
Sembrerebbe di una evidenza sconcertante. Ma molto spesso le cose che abbiamo sotto gli occhi sono quelle più introvabili. Succede di frequente con le chiavi di casa.  A volte, cerchiamo disperatamente oggetti che ci teniamo in tasca. Eppure...siamo convintissimi che il denaro sia il mezzo migliore per acquisire 'valori'.

Fu il caso delle forze armate. Non era bastato averlo sotto gli occhi. Chi non ricorda che il 'soldato' viene dal 'soldo'? Gli eserciti rinascimentali si compravano e si vendevano. Erano sottoposte alle leggi della domanda e dell'offerta. Fu spiegato con la 'professionalità' del milite, tecnico specializzato (ogni ironia coi nostri tecnici al governvo viene tralasciata, troppo facile ironizzare sullla purezza di prostitute prezzolate senza patria), per contro agli improvvisati giovani, figli del popolo. Di qualsiasi ceto. Quasi un retaggio di una prova iniziatica attraverso cui si diventava 'uomini'. I giovani oggi sono dediti, si fa per dire, per lo più a studi insignificanti, inutili e vacui. Giovani troppo impegnati a stordirsi nei mille modi offerti dalle democratiche e libere società, in cui è proibito proibire, per aver tregua dalle angoscie, ipocrisie e menzogne delle loro esistenze sempre più insignificanti, come i loro 'studi', che devastano i loro cuori. 
Cuori pavidi terrorizzati dagli spreads, dal possibile ma certo impoverimento, dalla mancanza del lavoro, dalla quantità  sempre più scarsa di quattrini che girano per le tasche. Questo il loro orizzonte. Senza speranza. Come diceva J- Ruskin? Il valore dellle tre sterline che tengo in tasca dipendae dal fatto che mancano dalle tasche di un altro. Inutile cercare altri 'valori', o che possa crearne dove non ci sono già nel cuore. 
Poi ci sono i cuori impavidi,si, ma solo per i profitti dell'industria cinematografica.  E l'impegno di appartenere non ad una Patria, ma ad una curva di stadio, alla tifoseria, una squadra di calcio, ovviamente molto 'professionale'. Pur di sfuggire alla.terrificante morsa della della disperazione


Leggo sul Corriere della Sera del 9 giugno di quest'anno che nel 2012 finora c'è stato tra le truppe americane in Afghanistan un suicidio al giorno tra i soldati. Forse il soldo non basta. Non è mai bastato. Non è mai servito. Come per le conoscenze tecniche militari e i mezzi tecnologici non dànno la vittoria, non l'hanno mai data.La disperazione ha fatto più vittime del nemico. Significativo, anche come legge del contrappasso.


L'anedottica 'laconica' ci ricorda , appunto senza tanti giri di parole, che ad Agesilao, re-sacerdote-guerriero di Sparta, fu chiesto cone mai la sua città "non avesse mura" - com'era normale nella tecnica militare dell 'epoca - e gli indicò i cittadini perfewttamente armati e gli disse: "Eccole qui, le mura di Sparta". "Una città non deve essere protetta dai sassi e dal legno ma dal coraggio dei suoi abitanti". Agli amici (Ageilao) diceva che dovevano tentare di arricchirsi di virtù e coraggio, non di denaro (Apoftegma 29-30, pag. 56, dea Le virtù di Sparta, ed. Adelphi). Altro che esercito professionale! Soldati che si dànno la morte per paura, disperazione, sconforto, assenza di ideali motivazioni.

Nell'epoca del denaro, delle borse e della finanza, la paura, per la vita e per la povertà, è un instrumentum regni. Un idolo cui immolare i più elevti 'valori'. Uno strumento di ricatto. La disperazione, sua figlia, uccide l'uomo dentro se stesso la vita, si suicida. 

Assenza di lavoro, tassi di disoccupazione. Alienazioni a profusione. Ma con troppa disperazione per pensare che non è il lavoro che manca, ma questo tipo di lavoro. Anonimo, mercificato, senza cuore, senza ideali. Quantificato come il tassello di una programmazione.che i a già in anticipo come andrà a finire.

E' solo uno dei volti del nichilismo,  nella forma attuale. Umanità ricattata e complice del ricatto, in cui la dignità di vivere consiste nel partecipare ad un social-network.






Papa Paolo VI in un discorso sui rapporti tra scienza e fede si riferì a Teilhard come ad uno scienziato che, proprio nello studio della materia, fosse riuscito a "trovare lo spirito", e come la sua spiegazione dell'universo manifestasse, anziché negare, "la presenza di Dio nell'universo quale Principio Intelligente e Creatore" (1)

1) "Insegnamenti" IV, 1966, pp. 992-993.

"Che la liturgia non sia una cosa accanto alla realtà del mondo ma che il mondo stesso diventi “ostia vivente”, diventi liturgia. E' la grande visione che poi ha avuto anche Teilhard de Chardin che alla fine avremo una vera liturgia cosmica, e il cosmo diventerà ostia vivente." (2)



Omelia pronunciata quasi interamente a braccio da Benedetto XVI, nel presiedere questo venerdì (24 luglio 2009) pomeriggio la celebrazione dei Vespri nella Cattedrale di Aosta alla presenza di circa 400 persone tra sacerdoti, religiosi e laici della diocesi. 

lunedì 11 giugno 2012

Il Coraggio di accelerare in curva

http://abmconsulting.blogspot.it/

Ancora perdite dalla guerra (or)mai (in)finita.



2 ottobre 2002, ,  quotidiano La Repubblica.
 
"Nel corso di una segreta esercitazione congiunta, svoltasi il mese scorso al largo di Haifa, unità della Sesta flotta americana e navi della marina militare israeliana avrebbero simulato il "ripescaggio" dello Scirè, il sommergibile capitanato dal comandante Bruno Zelich, autore di alcune delle missioni più audaci della Seconda guerra mondiale, celebre per le imprese dei suoi "maiali", siluri pilotati da uomini-rana con cui sferrava micidiali attacchi a sorpresa. Un vascello leggendario per la marineria d' Italia, la cui epopea si concluse il 10 agosto 1942, quando venne affondato da un cacciatorpediniere britannico a cui dava la caccia all' imboccatura del porto di Haifa.

 

Da allora lo Scirè è considerato dalla nostra Marina un sacrario inviolabile, anche perché custodisce i resti di un certo numero dei membri dell' equipaggio. Le navi commerciali o passeggeri italiane che transitano da Haifa hanno l' abitudine di lanciare corone di fiori sul punto in cui il vecchio sottomarino giace sul fondale, ad appena 30 metri di profondità. Ma nei giorni scorsi, secondo la tivù israeliana, una assai poco rispettosa esercitazione navale ha violato l'eterno riposo dei caduti dello Scirè e gravemente danneggiato il sommergibile. Senza che nessuno abbia preavvertito il governo italiano o pensato di chiedere scusa a cose fatte."
....
La Sesta flotta  [americana]: "Si è trattato di un' esercitazione congiunta".







sabato 9 giugno 2012

Un equivoco fatale.

Insegna, col ritmo di una saggezza senza tempo, un antico adagio: "I doni vanno ricambiati, i prestiti restituiti e i debiti pagati". Siate certi che su principi, saldi come rocce, come il testè annunciato, potreste educare generazioni di giovani e forgiarli a diventare veri uomini, fieri e con un esatto senso dell'onore.

Se volete la questione di quell'in più che viene dato, che nessuna tradizione giustifica, ma anzi più o meno esplicitamente condanna, cui si dà nome interesse e dell'interese sull'interesse (quando l'interesse va ad aumentare la somma prestata) nota con il nome di anatocismo, dall'elegante e sofisticata forma filologica neoclassica, quasi a conferirgli quella rispettabilità che non merita, la mettiamo da parte. Interessi su interessi significa debiti su debiti, in una spirale infinita fino al punto di rottura. Ci si limiti a focalizzarci sul punto etico forte, cogente, indiscutibile, e cioè che ciò che prende va restituito. Del resto bisognerebbe anche esaminare come si prende, in altri termini le modalità con cui viene offerto ciò che poi si (finisce per) prende(re).

Quindi, fin qui tutto bene. Il guaio viene dopo.

Se osservate bene, la massima sembrerebbe inventata dalla finanza internazionale che manovra una massa enorme e crescente di denaro fino a gestire i debiti nazionali degli Stati, che di sovrano è rimasto loro solo il debito. Ma così non è. Ne abusano solamente facendo leva sui sensi di colpa e sui ricatti pscicologici, del tipo 'vedi cosa ti succede se non paghi i debiti!' 'Non è forse giusto che devi restituire ciò che hai preso?'

                                            

La "grigiocrazia" usuraria dominante ben sa queste cose. E basandosi su di un fondo etico di questa considerazione giocano, per usare un eufemismo giacchè il fatto in sè è estremamente serio e tragico, giocano su un equivoco.
L'equivoco nasce sulla bona fide intrinseca nella saggezza antica. Ad esempio, analogamente, se volessimo distorcere l'antica sapienza, lo spazio per il pervertimento si presta: 'Non si vive di solo pane' attira il diabolico sovvertimento se si commenta con  un 'ma anche di companatico'! Cosi, la massima sulla restituzione dei debiti non precisa, ritenendolo superfluo, che si debba far fronte ai debiti da noi stessi contratti, solo noi e non da altri.
Dal che ne consegue che se il sistema politico e bancario ha fatto debito per ragioni e convenienze loro, non è assolutamente un obbligo morale che a pagarlo siano i popoli che lo hanno subito tramite tassazioni vessatorie, e contratti forzosamente imposti, senza essere consultati.
L'indegnità morale del creditore svuota di ogni diritto a pretese di restituzioni. Anzi lo rende criminale, meritevole di precesso giudiziaro per aver imposto l'uso, ma assomiglia quasi ad uno spaccio, di cartamoneta fasulla stampata da privati a debito di tutti noi che ne facciamo uso, comunemente non potendone farne a meno, cartamoneta non richiesta circolante grazie con la complicita politica-finanza, in combutta i politicanti di turno, corrotti e mafiosi con i soliti (ig)noti della finanza internazionale.

In verità, si potrebbe potrebbe farne a meno, rifiutando di usare il denaro  che non appartiene alla collettività, allo Stato sovrano, ed in primis l'euro. Denaro che non può e non deve essere dato a prestito con  interessi, se la comunità vuol rimanere comunità, fraterna solidale e collaborativa, e non un coacervo di forze eterogenee perennemente in contesa, antagonismo e competizione tra loro.
Tuttavia, sembra che porre in essere concetti, anche semplici,  non sia affatto cosa facile. Richiede una volontà e una determinazione di prim'ordine. E qui l'articolo indeterinativo 'una', mònos, è fondamentale, in totale controtendenza con la modernità che propugna, con la democrazia, la dispersione centrifuga sistematica nell' individualismo. Purtroppo, vi è da dire che il processo è talmente degenerato che lo stesso individuo, a sua volta, viene spesso rappresentato come scisso in parti, ad esempio maschile e femminile, alla ricerca una dell'altra. Un puzzle mostruoso. Una specie di iper-individualismo teso alla scomposizione della stessa unità umana.

Questo, un po' assomiglia alla via islandese di uscita dalla crisi, è quanto basta per terrorizzare gli 'indebiti' creditori da nessuno 'democraticamente eletti', più o meno occulti, che gestiscono il malaffare (va da sè, immorale).

I Paesi europei più colpiti dalla speculazione sembrano i più 'arretrati', se non adirittura 'retrogradi', i PIIGS famosi, sul piano metapolitico o sono cattolici o sono ortodossi. Sarà da vedere se si tratti di una casualità. Se si dovesse, in linea di principio, indagare l'ipotesi che non si stratti di una coincidenza casuale, si aprirerebbero le propsettive le più inquietanti.




venerdì 8 giugno 2012

Tirano venti di guerra.


Questa notizia non è di quelle buone. Mi spiace, vorrei sbagliarmi ma occorre essere realistici, sento in lontanza mugghiare lugubri dei venti della guerra. L'abisso si sta spalancando sotto i nostri piedi. L'obiettivo è l' 'heartland' e, al solito, il petrolio.

Quando si preferisce zittire l'ONU (e altri organismi sovranazionali) per assecondarlo pretestuosamente solo quando fa comodo, si commette un fatale errore. Da una parte si impedisce la via della ricerca di una soluzione dialogante e diplomatica, la via 'naturale' - l'unica - e ovvia che  potrebbe condurre se non alla pace, almeno ad allontanare le minacciose nubi di guerra; e al contempo, si indebolisce ulteriormente il già screditato prestigio dell'organismo internazionale in questione, che dovrebbe svolgere l'autorevole ruolo di terzietà tra le parti contendenti. Un ruolo decisivo, ma non sembra in grado di svolgerlo.
Dovrebbe essere ben chiaro a tutti che questa volta l'asse usraeliano, nonchè l'immancabile servile codazzo europeo, non si trova davanti la caotica situazione balcanica, e neppure stati da 'liberare' da oppessori interni come in Afganistan, Iraq e Libia, come è accaduto finora, ma uno stato ben organizzato e determinato, dotato di armamenti nucleari e con protezioni di alleanze politche russo-asiatiche notevoli. Quindi, deve essere chiaro, che lo scenario questa volta è di dimensioni mondiali, esattamente come la crisi economica.

Questi sono i segni che il vento sta portando alle nostre orecchie. Chi vuole udire oda, finchè siamo in tempo!


Siria: Annan, si lavora a gruppo di contatto con Iran. Gli Usa frenano

Siria: Annan, si lavora a gruppo di contatto con Iran. Gli Usa frenano

08 Giugno 2012 - 10:58

(ASCA-AFP) - New York, 8 giu - Si sta lavorando alla costituzione di un ''gruppo di contatto'' sulla Siria composto ''sia da Paesi con un'influenza sulla regione che da organizzazioni internazionali''. Lo ha annunciato l'inviato speciale di Onu e Lega araba, Kofi Annan, al termine della riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, proponendo un coinvolgimento dell'Iran all'interno dell'organizzazione. ''E' una nazione importante nell'area - ha detto -. Spero ne possa far parte''.

Pronta la replica degli Stati Uniti attraverso la loro ambasciatore al Palazzo di Vetro Susan Rice, secondo cui il governo di Teheran ''e' parte del problema Siria. Non c'e' dubbio che si e' attivamente impegnato per sostenetre il regime di Damasco nel perpetrare la violenza contro la sua popolazione'', ha replicato la Rice conversando con i giornalisti.

''Pensiamo che l'Iran - ha poi aggiunto - non ha dimostrato, fino ad oggi, la disponibilita' a contribuire in modo costruttivo ad una soluzione politica e pacifica''.

rba/cam


mercoledì 6 giugno 2012

Un mirabile ritratto.



Un ritratto curioso, incisivo, discusso, relativamente famoso nell'ambito letterario nord americano, di Sir Lepel Griffin della civilizzazione statunitense. Non è di oggi, non si gli si può imputare un antiamericanismo affetto da distorsioni ideologiche e politche, se non altro risale al 1884, apparso dapprima sul Fortnightly Revew, e poi raccolto con altri scritti in un libro: The Great Republic. Tuttavia un ritratto schietto, scritto da un viaggiatore che osserva e giudica ciò che vede, che ci porta riflettere su quell'ulteriore passo compiuto dall'Occidente verso il baratro del nulla, seguendo la sua via del tramonto, l' abendland.

"L'America è la terra della fine di ogni illusione, nella sua politica, nella letteratura e nell'arte, nella mnatura nella città e nella gente. Avendo una buona dose di esperienza dei vari Paesi del mondo civile, non riuscirei ad immainare un luogo - esclusa la Russia - in cui proprio non vorrei vivere se non l'America. Non riesco a pensaread un altro posto in cui la vita sia meno degna di essere vissuta, più corrotta, meschina e scortese.

America, apoteosi dei filistei, confusione e disperazione degli Mecca di ogni ciarlatano, uomini di Stato, sia esso sociale o religioso, terra in cui l'unico Dio adorato è Mammona e la suprema illuminazione non va oltre il calcolo dei profitti; in cui una nazione, per coprire di ricchezza i suoi fornitori, gli affaristi e i pescecani della finanza, ha liberato i suoi schiavi e ha ridotto a schiavi gli uomini liberi; in cui la gente è rimpinzata ed ebbra di materialismo.

L'America millanta la sua uguaglianza e la sua libertà, e non si accorge che in nessun altro posto al mondo i diritti dell'individuo e gli interessi della società vengono calpestati più sistematicamente che in America".

Si può supporre che, in questo giudizio, Griffin vi abbia messo un certo risentimento di orgoglio ferito, e forse anche livore, quello di un funzionario imperiale britannico attivo in India per una ex colonia, quella Americana, andata perduta alla Corona.
Nonostante il giudizio sia sferzante e tagliente come pochi e proveniente da parte sassone per giunta, si intravedono posizioni critiche non fondate su di una visione opposta alle tendenze espansionistiche del mondo occidentale. Non una parola per le civiltà amerindie spazzate via dall'mpietoso cammino del progresso,  dalle sue fabbriche alientanti, delle sue ferrovie macina profitti e dalla invasione culturale materialista. Non c'era posto per loro in questo mondo. Non era previsto che delle civiltà tradizonai potessero resisterle. Di fatto, magari con partecipato dolore, ma i popoli nativi in quanto retti da concezioni che sotto diverse forme trascendevano il dato materiale, ritenuto invece l'unico dato dai conquistatori, in una parola 'primitivi', come tanti altri sparsi qui e là sulla faccia del pianeta, erano condannati dalla 'necessita' delle cose a scomparire. L'etnocidio planetario commesso dagli occidentali  fu invece presentato come una missione civilizzatrice, umanitaria, necessaria per portare medicine e progresso; un meritevole gesto e non un atto di distruzione immane e irreparabile.


Ma facendosi sempre più strada all'interno dell'Occidente i dubbi su questa invasione, sulla mondializzazione, è chiaro che vada rafforzandosi sempre più l'incertezza se non addirittura la consapevolezza degli errori e del tradimento ed oblio dei presupposti metafisici che l'hanno resa pensabile dapprima e poi attuabile nel corso della storia, è chiaro che le dimensioni di tale revisione fanno assumere alla faccenda proporzioni cosmiche. Di fronte a queste considerazioni, forte è la tentazione di arrendersi all'inevitabile, o al reputato tale. Ma arrendersi comporta anche rassegnarsi, e rassegnarsi vuol dire morire ancor da vivi, sepolti in una esistenza alienata incurabile, patologica, fatta di cose inautentiche minate dal dubbio, con esiti suicidari, per gli umani e la natura.

Eppure con tutto ciò, con tutti sospetti di rivalità, odii e pregiudizi, il giudizio di Griffin sembra celare qualcosa d'altro. I sentimenti antimericani avrebbero potuto prendere altre strade, esperimersi in altri modi. No. Va a colpire proprio il cuore del declino dell'Occidente, come gli appare nella seconda metà dell'Ottocento: la cultura materialistica, tecnico-scintifica, divenuta ormai dominante. Magari non la vede con altrettanta chiarezza non appena volta lo sguardo verso il colonialismo britannico, ma il fatto che la avverta in tutta la sua distruttività non è senza conseguenze. 
Forse non a caso dopo tanti anni trascorsi in India ed in Asia, Griffin sembra abbia in qualche modo assorbito una dimensione orientale, anche se frammentaria e con vistose carenze, ma certi contatti lasciano il segno, è come se parlassero alle profondità delle coscienze, degli archetipi, come se potessero questi morti sciamani richiamarci in vita, far riaffiorare a vita ciò che si  riteneva morto, liberati e dotati di una nuova visione. 
Queste operazioni sciamaniche di renovatio sono vere ed efficaci, restituiscono dignità umana al degrado occidentale, la medicina tradizione non cura per porci sotto ricatto, per renderci dipendenti all'imperio tecnologico, con medici robotizzati, essa opera la guarigione completa dello spirito e dell'epoca oscura, ma per far questo non dobbiamo temere la morte, non ci si deve sottrarre alla morte  ad ogni costo; ci sono prezzi che non è giusto pagare. Questo è l'unico debito verso l'Essere che è giusto onorare, non quello verso la BCE, il FMI  o i fondi (debiti) sovrani. Questi sono ricatti economico-medicali da respingere per sentirsi vitali.




lunedì 4 giugno 2012

Visioni complementari.

"Evola, nel suo libro Cammino del Cinabro, lo descrive come una sorta di iniziato allo stato selvaggio e caotico, che aveva vissuto tra li arabi e conosciuto Guénon, il quale aveva per lui una profonda stima. De Giorgio possedeva una cultura ecezionale e conosceva numerose lingue, ma il suo temperaamento era altamente instabile. Rifiutavaa  tal punto il mondo moderno che si era ritirato tra le montagne, percepite come il suo ambiente naturale, e alla fine in un presbiterio abbandonato, vivendo praticamente di nulla e soffrendo fisicamente ogni qual volta era costretto a riprendere contatto con la vita civilizzata e cittadina.
De Giorgio aveva conosciuto Guénon negli anni '20 durante un soggiorno a Parigi. Intrattennero una lunga corrispondenza che testimonia della stima reciproca e della preziosa amicizia che li unì. De Giorgio è uno di rari casi, di cu siamo a conoscenza, riguardo una 'fraternità' spirituale con Guénon. L'elevazione  intellettuale era uguale in entrambi, nessuno doveva niente all'altro per la propria formazione dottrinale. Per dissimili che potessero sembrare, si ricoobbero come profondamente vicini. E' una cosa bella, ricca di insegnamenti sapere che si incontrarono. Non esitiamo a dire che la lettura di De Giorgio, senza dubbio un pò 'abbagliante' possa apportare nuova luce all'opera di Guénon in quanto permette di affrontarne le difficoltà. In effetti, con Guido De Giorgio siamo ad un'altezza decisamente superiore rispetto a tutti i saggi 'tradizionalisti' tentati qui e là, così come per René Guénon, ma secondo una modalità espressiva radicalmente diversa anche se, riteniamo, complementare."
Ben si inserisce questo breve ritratto di un personaggio totalmente ignorato dalla cultura ufficiale di questo Paese in una recente biografia di Guénon (D. Gattegno, René Guénon. La sua vita, il suo pensiero. ed. L'Età dell'Acquario, pagg. 106-7). Senza dubbio lusinghiero per il nostro De Giorgio, gli riconosce una cornice di originalità e schiettezza che ben pochi possono pareggiare nella cerchia  dei conoscenti, amici e ammiratori di Guénon.
Per noi che viviamo sui pendii alpini, neri e materni, come le sue Madonne che aleggiano per questi boschi, è motivo di orgoglio e gioia fine, come l'aria che qui si respira, pensare che una simile personalità abbia calcato emozioni simili alle nostre o anche solo lontanamente imparentate. Ha il sapore dela condivisione di una minestra calda in una baita solitario di montagna nel freddo inverno. Un gusto speciale di fraternità che passa attraverso il corpo, il gusto per gli aliti fumanti pel freddo, le mani dure di terra e le guance rosse, i piedi da scaldare al di là di ogni retorica, per le verdure dell'orto, che sono totalmente aliene dalle scialbe, indisponenti sciccherie da decerebrati urbanizzati del caos cittadino, che gli è entrato persino nel cervello e nell'anima, formulette snob di slow food o km 0 o anche le bio-colture. Residuati ideologici di un mondo ancor visibile ma che non esiste più. Ci si dovrà, prima o poi, convincere, ricredersi, che il baratto e il denaro simbolico dovrà essere il nostro futuro, se vogliamo che un futuro ci sia. I rutilanti lustrini di sofisticate  strategie economiche, dissipazioni democratiche e progressiste,  riveleranno il loro vero volto,  riveleranno sempre più per ciò che sono, animalesca competizione, inabissamento materiale,  morale e spirituale nel più devastante materialismo, declino inarrestabile nella più terrificante (ancora la terra...) oscurità. Amarezza di una coscienza disperata, oppressa superficialmente da insolvenze degli onnipresenti debiti della moneta quantitativa ed usuraria esteriormente, e interiormente in macerie prive di significati anche residuali, sempre più protesi verso una domanda di rinnovamento radicale, totale, epocale; un vero e prorio 'ri-orientamento', riaffioramento dell'oriente luminoso, spirituale. Luce e sole riaccenderanno l'Occidente. Ma ci vorrano ri-conversioni, passaggi dolorosi perchè la moneta del diavolo, del Demiurgo chiederà ancora molte vittime, molto sangue-lavoro, molti suicidi. Non più capitale  versus lavoro, capitalista contro lavoratore, lavoro contro finanza, ideale contro materiale, stabile contro instabile, (ex-)stasi contro progresso.



Le oscillazioni e le indecisioni domineranno il campo.

Certo che "il suo temperamento era altamente instabile"; e ome potrebbe essere diversamente? Guénon stesso si era risolto a veleggiare verso le sponde egitte, imbarcandosi in una oscillazione spiritule avventurosa e temeraria verso l'islàm, quantunque fosse ben consapevole di cosa significhino le fragilità, gli sbandamenti, gli squilibrii e le instabilità insite in ogni 'conversione'. Come è noto, la (ri-)conversione non è un passaggio da una religione ad un'altra, ma il pasaggio senza ritorno dalla dimensione profana a quella sacra. Neppure ci si 'converte' da una forma economica ad un'altra. Ma ci si converte ad una ri-sacralizzazione integrale (non integralista) della vita umana, ad un ri-ordinamento di gerarchie che (ri-)collochi al centro il Centro, prima le cose prime, ristabilendo il Principio che supera la dualità, e di conseguenza la nullità del sapere profano.

Questo è l'orizzonte di De Giorgio, la sua fiamma ardente, il suo combattimento tamasico, l'opera in nero, contro le forze oscure che condusse dalle pendici alpine solatie non distanti da noi. Con un tratto del suo quasi conterraneo G. Bruno, si potrebbe dire "accedemico di nulla accademia". Lontano da ogni formalismo per necessità vitale e non per scelta studiata. Arso dal sole e dal vento, asceta tutto assorto nell'Opera, fiammeggiante come una icona, non poteva non destare l'interesse di Guénon quest'uomo che metaforicamente era già partito per i lidi della trascendenza, estraneo a questa terra occidentalis, come e forse più dell'Egitto musulmano, viandante delle brughiere alpestri, entusiasticamente disabitate, figurate da Segantini e cantate da Nieztsche, sulle orme segrete dantesche a sognare di Imperii sacri che dovranno riemergere, come una nuova epoca titanica di continenti in gestazione, ad esaurire la forza nera.

'Iniziato selvaggio', e come potrebbe essere diversamente? In un mondo in rovina, con Tradizioni ridotte in frantumi, catene di trasmissione spirituale spezzate? Indomito cavaliere di ranghi dispersi che vanno ricomponendosi, sotto  bandiere e stendardi antichi e mai vecchi, che possono magari anche eclissarsi, ma mai scomparire del tutto e per sempre.