giovedì 28 aprile 2011

Festa funerea alla nostra decadenza spirituale.



Ci sono persone che più si conoscono e più si apprezzano e si fanno apprezzare per le loro qualità. Un caro amico di questi e sua moglie ci fecero visita al Tracciolino. Era il giorno di "Pasquetta", giornata dedicata appunto alle gite 'fuori porta'. Durante una piacevole conversazione mi chiesero cosa pensassi di Giovanni Paolo II, probabilmente anche in seguito al gran parlare che se ne fa oggi intorno alla sua beatificazione. Torno sull'argomento.

Un argomento che è di quelli che rimestano la nostra coscienza dal profondo, perchè ci mettono in gioco in prima persona, negli affetti e non solo. Gli ho dato una risposta, una mia opinione.

Ma questo è anche uno di quegli argomenti che portano lontano. Non si smette mai di ritornarci su. E per me, questo accade da diverso tempo.

Portano alle scelte dei miei ultimi anni, che poi rivelano una lunga incubazione, e non sono affatto frutto di improvvisazione intellettuale, se vogliamo, da parte di una persona di una certa cultura. Implicano le profonde e lontane ragioni che mi hanno fatto maturare nel tempo la convinzione, dolorosa, che la Chiesa di Roma sia oggi un'organizzazione eterodiretta in buona parte, ed in parte guidata dal suo interno, come già da elevata posizione affermava San Pio X, da personaggi intrisi di modernismo, da un perverso e malefico "Pastore", (si può parlare tranquillamente di "Santi di Satana") che sta conducendo le sue pecore al macello o verso l'abisso conclusivo, escatologico. Dante parlava di pecore che tornano all'ovile, dopo essersi "pasciute di vento", più vuote di prima. Vale a dire, in buona metafora, che il "Pastor di Roma" continua, da all'ora, quell'opera maligna di affamare e svuotare il suo gregge.

Con un dispiego massmediatico di prima grandezza, che non si ottiene senza aver venduto l'anima per accappararsi l'appoggio dei potenti della Terra, si consumerà un'ennesiama macellazione di quella cristianità occidentale cui apparteniamo, al meno in parte, e nonostante tutto, se non altro per i legami con i nostri figli, padri e nipoti, con la nostra gente. Legami che giorno dopo giorno, democrazia e cristianesimo falsificato vanno pazientemente erodendo.

Non è gradevole assistere a questo spettacolo. Fermenta nell'anima l'ansia messianica del riscatto, l'attesa della liberazione. Ma, nel frattempo, a volte, il peso dell'umana mattanza sembra insopportabile.

Non desidero appesantire questa nota con tediose divagazioni teologiche. Si può forse riassumere il tutto sotto il nome di "teologia della continuità". La continuità, cui si fa riferimento qui, è quella tra Chiesa e Sinagoga. Questa continuità tradisce secoli e secoli di storia cristiana. Tradisce il Vangelo. Non lo affermo, lo ricordo semplicemente. Le spaccature, contrapposizioni e lacerazioni, le accuse reciproche, e le lotte per combattersi, tra tradizionalisti e modernisti, per quanto prive di ragion d'essere possano sembrare, purtroppo, al contrario, sono oramai da tempo una realtà consolidata, fors'anche incontrovertibile. La Legge di Dio, se veramente è tale, dovremmo tutti convenire, che è imperfettibile. A fortiori, da e in nome dell'Uomo.

Padri e Dottori della Chiesa si potrebbero citare e di fatto vengono citati da quelle voci cminoritarie che restano inascoltate. Restano sepolte sotto i megaschermi e gli "eventi" di manipolazione globale. Chi gliene importa di S. Tommaso, S. Alberto Magno o S. Gregorio Magno, solo per far dei nomi, tra molti altri?

Li riassumo in questa immagine. Ecco cosa pensava lo spirito cristiano dell' "ermeneutica della continuità".

Questa è la rafffigurazione della Sinagoga, derelitta e sciagurata per non aver saputo riconoscere la Verità. L'immaggine di un dettaglio di una cattedrale medievale val più di mille parole fatte oggi.
Così la pensavano, e così dovremmo continuare a pansarla.

Ora invece si beatifica, e presto di santificherà uno dei massimi artefici del capovolgimento e del tradimento della Chiesa di Roma. Se a fronte di ciò, consideriamo che il processo di beatificazione di Pio XII è bloccato in quanto non gradito ai nostri "fratelli maggiori", a voi spetta di trarne le conclusioni su chi veramente è al comando della Chiesa di Cristo.

Ricordo con nostalgia le sere di maggio, quando ansiosi i bambini si disputavano l'onore da far da chierichetti, nei riti serali durante il mese dedicato alla Santa Vergine. I profumi dell'incenso ,che copioso sbuffava, si intrecciavano con quello della primavera, quello dei fiori che a maggio si aprono come incensieri naturali. Le rose sbocciavano come i primi sguardi non più innocenti, ma non ancora impuri, che ragazzi incrociavano quelli fuggitivi delle fanciulle, tra le corse e risatine soffocate dal pudore virginale. Le donne, severe, con il velo. Bianco o nero.

I bombi ronzavano tra i fili d'erba e le lucciole danzavano come gioiosi lumiccini.

Crescendo un'amara sequela di tradimenti e di delusioni; col maturare dei ragionamenti e degli studi, cocenti ipocrisie, fessure tra il dire ed il fare che si allargavano ogni giorno di più. Nemici interni ed esterni, alleati innaturali ma ben agguerriti, banchettavano sui resti di quel che rimaneva di un'antica civiltà cristiana, romana. E fuggi. Fuggi sulle montagne. Come Zaratustra. La meta è sempre la spessa, poter cogliere la presenza dell'Uno.

Con altalenanti entusiasmi e cocenti cadute arriviamo a domenica prossima. Non difficile indovinare che impazzerà un'avvilente stupidità studiata nei dettagli, una rassegnzione, una perdita di virilità, un ammaestramento di massa mondiale, montagne di merchandising e patacche, immagini via satellitare, ma perchè non aspettarci anche che non spingerà i pensieri di molti a riprendere le armi del risveglio e a dirigere la loro prora lontano e contro tradimenti e traditori, a ridiventare padroni delle nostre menti e dei nostri spiriti? A riprendere le strade antiche, Chiesa o non Chiesa, dei nostri avi?

Coaguliamo i nostri migliori intenti sulle cime montane, nella solitudine dei picchi e le asprezze delle rive e dei boschi, medicine rigenerative per lo spirito indebolito. Ciò che non è mai nato, non può morire! Questa battaglia non ha prezzo.

Sullo sfondo, intanto, una voce elettronica gracchia di bombardamenti umanitari e di torme di genti bramose di accedere a questo'dorato' Nulla.





lunedì 25 aprile 2011

Al Parlamento europeo

In una relazione di iniziativa adottata dalla Commissione per gli affari esteri, la sicurezza e la politica di difesa del Parlamento europeo il 23 settembre 1998 e contenente una proposta di risoluzione[12] vengono ripresi alcuni dei temi di tali teorie del complotto; nella relazione viene infatti affermato che «malgrado le convenzioni esistenti, la ricerca militare si applica attualmente alla manipolazione dell'ambiente come arma, come è il caso ad esempio del sistema HAARP». Nella medesima relazione la suddetta Commissione «reputa che il sistema HAARP (High Frequency Active Auroral Research Project) sia da considerarsi, a causa del notevole impatto sull'ambiente, una questione mondiale ed esige che le sue conseguenze giuridiche, ecologiche ed etiche vengano analizzate da un organismo internazionale indipendente prima di ogni nuova ricerca e di qualsiasi esperimento» e «chiede al gruppo di esperti per la valutazione delle opzioni scientifiche e tecnologiche (STOA) di accettare di esaminare le prove scientifiche e tecniche fornite in base ai risultati esistenti della ricerca sull'HAARP onde valutare la natura esatta e il livello di rischio posto dall'HAARP per l'ambiente locale e globale e la salute pubblica in generale»

giovedì 21 aprile 2011

La regola del Regolo


Un castagno, nobile albero, tenace e generoso, provvido nel fogliame, ricco nei frutti, rassicurante come acciaio nel fasciame, inossidabile all'umidità, e osseo per il fuoco, di un verde ancora giovane di bosco, appena strappato al suo antico ceppo nel profondo del bosco. Venuto allo scoperto, venuto nella radura, dove il sole si apre ad alimentare i prati, lo si utilizza.
Prima di goderne il tepore dentro la stufa, deve essere abbattuto, tagliato in toppi, trasportato e infine tagliato a misura ed accatastato, per un ragionevolmente prolungato periodo di tempo.
Certo si fa tutti gli anni. Spesso si ironizza con i 'cittadini', ti scaldi tre volte prima ancora di bruciarlo! Si, vero. Ci si scalda e si suda.


Ma anche noia, per un lavoro ripetitivo, non se ne vede l'ora che finisca, che aggiunge un'ulteriore pena, diciamo psichica, ad un insieme di pesantezze fisiche.
Persino l'idea del gesto previdente che anticipa la difesa contro i rigori invernali non aiuta granchè ad alleviarne la fatica. Un lavoro ben fatto dà soddisfazione, non ci si cura del tempo immessogli e invece di non vederne l'ora che finisca, al contrario, termina troppo presto. Come un gioco bello che dura sempre poco. E questo in barba, è appena il caso di dirlo, al ben celebrato e/o famigerato Carlo Marx, il quale, da buon calcolatore attento al costo delle cose più che alla soddisfazione del lavoratore, riteneva e teorizzava intorno al valore di una merce correlato alla quantità di forza-lavoro contenuto e socialmente necessaria a produrla.
Prima di tutto il nostro castagno servirà a scaldarci e non ad essere scambiato come merce. Se calcolassi il suo costo, al di là di ogni altro compiacimento o soddisfazione, mi converrebbe comprarla. Ma lo stesso varrebbe sia per l'insalata o i cavoli dell'orto. Ma noi siamo lontani dal considerare le cose con il criterio (marxista) del ragioniere che deve far tornare i conti, e per 'tornare' significa eufemisticamente sfruttare al meglio la possibilità di profitto (del capitalista o del proletario che sia).
Quest'anno, nel far legna è cambiato qualcosa.
Dietro la suggestione di gesti pacati e di una serenità rimarcabile di un monaco certosino de Il grande silenzio (Die Grosse Stille), un film-documento che ha goduto una singolare e forse inattesa notorietà, mi sono fabbricato un semplicissimo regolo. Cioè mi sono tagliato da un vecchio manico di scopa, una lunghezza di 55 cm. La nostra stufa in teoria è profonda dieci centimetri di più, ma per cautela mi sono risolto a tenermi un certo margine.
Poi mi sono costruito, adatta alla mie dimensioni, una 'capra', nel gergo un cavalletto atto a reggere pezzi da segare. Il nome curioso forse deriva dal fatto che il legno da tagliare si posa tra le 'corna' del cavalletto. Da allora ogni pezzo ha avuto la sua precisa misura.
La quantità dei centimetri è andata perdendo di significato, era solo la lunghezza giusta per la nostra stufa. E il tronco, ugualmente, era di lunghezza giusta.
Improvvisamente, il taglio della legna cominciò ad assumere il sapore di un rito. La ricerca della misura, l'applicazione della regola, senza eccezioni, di un rigore assoluto. I movimenti, notai, si facevano ritmici, ripetuti, si, ma non ripetitivi, giacchè la riproduzione della regola produce un effetto di accumulo di virtuosità. Un accumulo di esperienze che, una dopo l'altra, consegue un ordine che si accresce e che si rende vieppiù visibile. La ripetitività, al contrario, è un


confuso gesticolare, alla lunga insopportabile, e disordinato, ma soprattutto non persegue alcun fine di precisione, alcuna consapevolezza di una destinazione, ma solo una brutta esecuzione materiale.
Anche se siamo in piena primavera, l'attività di accumulare legna non conosce soste. Ma abbiamo perso per strada la costrizione violenta della necessità di scaldarci. Sembra trasformatosi in un gioco, come quelli che fanno i bimbi sulla spiaggia, accumulando il maggior numero possibile di formine capovolte di sabbia umida.
Il regolo, gradualmente, cominciava a diventare ai miei occhi, una preziosa occasione di fare la cosa giusta, e l'anima a quel punto viene afferrata da una gioia intensa, continua. il regolo diventa una Regola, una regoralità mi faceva sentire come sottratto al disordine, acefalo e bestiale di un agire fine a sè stesso.
E ciò mi dava forza, non mi sfiniva e continua a non sfinirmi il braccio che fatica sul seghetto, ma anzi mi spinge a passare ad un un nuovo pezzo. La molla di tutto ciò?
La conquista di un ordine interno che vedevo compiersi, come l'attraversamento di una porta che dalla gioia interiore, lungi dall'esaurirsi con il tempo, si autoalimentava in crescendo, e si concretizzava in qualcosa di esteriore, ben concreto.
La bellezza di rispettare un regolo, anzi una Regola, una qualità, una via per sentirsi parte di un Ordine Superiore.


sabato 16 aprile 2011

L'Eterno ritorno dell'Agnus Dei.



In questi giorni una questione mi ronza per la testa. Devo dire in modo piuttosto ricorrente negli ultimi tempi.
Vivere in montagna, e la montagna, non certo per ragioni turistiche, ma neppure per realizzare sogni romantici di fumosi spiritismi ispirati al wilderness, più o meno cinematografico e, per dei colonizzati che hanno perso la guerra - come gli indiani nord-americani - hollywoodiano ci accontano come noi siamo e come potremmo essere o essere stati, significa immergersi nel connubio alch emico tra solitudine e silenzio. Nella quotidiana prossimità con gli animali, il dialogo, che altrove ho chiamato 'orfico', si fa serrato, stringente. La solitudine lo rende ineludibile. Il silenzio un'emozione ininterrota, un alternarsi di alti e bassi, come in un autentico combattimento.
E tutto sembra fuori di posto. Ma il disordine non ha nulla della situazione che formula una nuova prospettiva, una luce infatti si dice, nuova. Come nel momento che precede l'attimo creativo, in cui tutto si ricompone. La ricomposizione ha una sua logica, certo, ma capovolta .
Il canto quotidiano del gallo. Le capre che conosci una ad una. E mangiano dalle tue mani. Come puoi recidere la giugulare dei loro capretti pasquali? Galline, valgono le stesse consideraazioni. Il coniglio, con il suo mando candido, puro, una lembo del mantello celeste trapuntato di batufoli immacolati. Conosco le erbe che preferisce, se è sornione o affamato. Come potrei macchiare di rosso il suo abito di calda neve?
Nel descrivere le possibili conseguenze perverse del cammino iniziatico dell'Amore, le possibili cadute, in senso esoterico quello tra Paolo e Francesca, forse non a caso Dante usa l'espressione "noi che tignemmo il mondo di sanguigno". Il manto immacolato del mondo è stato profanato dall'ignornza e dalla caduta, ed ora va risanato.
Il sacrificio rituale non solo va compiuto, ma anche perennemente ripetuto, tanta è la miseria umana. tanta è la presunzione umana di credersi, per antico retaggio anche se ormai tradito, la creatura prediletta.
Il sacrificio di Kristo, della Sua parola, va riscattato in continuazione . Grave errore sarebbe quello pensare che tramite la sua venuta 'storica' l'Agnus Dei abbia per sempre lavato i peccati dal mondo. Perchè questi si perpetuano, con il rinnovarsi dell'uomo.


Nei tunnel di Gaza, presso Rafah, per accerchiare il blocco economico totale israeliano passa di tutto. Gli uomini là sotto continuano a morire per i crolli (vedasi CNN, 14 aprile 2011). L'esercito israeliano bombarda i tunnel, e certo questo non rafforza la loro sicurezza, tuttavia non sono al corrente di quel che accade sotto terra ("These tunnels have sometimes been targeted by the Israeli military, but an Israel Defense Forces spokesman said the IDF was not aware of the tunnel incident").

Ma alla pecora da sacrificare rinuncia, anche al prezzo della vita.
A Gaza, non c'è spazio per per le perone, figuriamoci per i pascoli. Questi animali vengono introdotti per essere sacrificati. Le ragioni alimentari sono secondarie, anche se ai nostri occhi cechi di materialistiente occidentali, è difficilmente credibile. E quanto puerili e ridicole ci appaiono, in questo contesto, le spiegazioni pietistiche e boniste dei raffinati cultori europei dell'animalismo!

L'Agnus Dei rituale e abitudinario della quotidianità non esime dal continuare nel sacrificio. Chi afferma ciò contraddice la sua funzione sacerdotale.

Mentre il Cardinal Martini si diletta comodamente nelle sue speculazioni teologiche 'progressiste' a Gerusalemme, c'è chi, come Vittorio Arrigoni si sacrifica e col suo sangue arrossa la terra di Palestina, una volta "Terra Santa" anche per noi occidentali.



Mai come in guerra è assurda la ricerca delle singole responsabilità e la prima regola, comunque dovrebbe essere buona norma quella di nutrire qualche sano dubbio sulle versioni "ufficiali".

Arrigoni è morto, anzi si è sacrificato perchè era un 'folle' di Kristo. E basta.

venerdì 8 aprile 2011

Un insuccesso di Vespa e Baudo..."mostri sacri".

L'avventura di Centocinquanta, la trasmissione in onore dei 150 anni dell'Italia (guarda tutti gli altri appuntamenti in Tv per dedicati all'Unità nazionale) condotta su Raiuno da Pippo Baudo e Bruno Vespa, e chiusa con due puntate d'anticipo a causa dei bassi ascolti. Il crepuscolo degli idolatri, si potrebbe dire.

Buon segno! Questa è una buona notizia!

Mi sembra la giusta conclusione delle celebrazioni del Nulla. Gli stati nazionali europei sono un fatto luttuoso e tra i più altamente anti-tradizionali, distruggendo l'unità che derivava dall'Imperium Romanum e di cui la cristianità si era fatto compartecipe. Lo stato nazionale italiano, tra gli ultimi ad accedere a questo "traguardo", coincide inoltre con una gigantesca operazione massonica internazionale tesa specificamente a liquidare il residuo potere temporale dell'ultima autorità spirituale rimasta in Occidente, il Ponteficato-Regale.

Sperando di evitare, almeno in parte, la possibile tedosità dell'argomento, concludiamo con una riflesione di De Giorgio, un maestro cui auspichiamo il futuro che gli spetta, dimenticato da questo Paese che invece, come l'Europa, non ne ha (più).
"...ognuno... può approfondire tutta l'ampiezza della prova a cui l'Europa ed il mondo sono sottoposti per un errore che dura da secoli. Vorremmo anche soggiungere per coloro che sono ancora capaci di comprendere certe verità, quest'osservazione: l'estensione progressiva della crisi fa pensare all'universalizzazione dell'Antitradizione la qule, se riesce a trionfare, rimpiazzerà in toto l'Universalità Romana. Raggiunto il punto più basso del capovolgimento diabolico di ogni valore sacro di vita e di pensiero, dovrà necessariamente prodursi una soluzione: o la fine...o la completa, integrale definitiva restaurazione..." (1) (grassetto nostro).

Giustamente anche dalle masse televisive appare il più completo disinteresse per la risibile questione dei 150 anni. Il dubbio che resta è che non è affatto comprovato che il disinteresse per l'argomento coincida con l'adesione al pensiero tradizionale del Maestro.


Tuttavia, se è vero che la massa televisiva ha raggiunto una debolezza e un grado di manipolazione enormi, non di meno è da scartare l'ipotesi che in qualche forma, più o meno cosciente, sia ancora capace di esprimere un disagio, sia pur confuso e, per essa, in gran parte indecifrabile. Neppure la consumata esperienza dei due personaggi televisivi è riuscito più di tanto a risollevare le sorti di un argomento di per sè poco interessante.

La materia di riflessione è densa e, probabilmente, destinata ad un'élite.

Abbiamo evidenziato un passo della citazione di De Giorgio, nella speranza che si possano rivolgere agli amici associati in ispirito negli ideali del Tracciolino dello Spirito; come se da montanaro a montanari, o tra amanti della Montagna parlasse direttamente a noi. I volti arsi dallo stesso sole delle Altitudini...e dalle Solitudini. Se è vero quello che dice Evola, e non abbiamo motivo per dubitarne: "La sua insofferenza per il mondo moderno era tale, che egli si era ritirato fra i monti, da lui sentiti come il suo ambiente naturale (...) soffrendo fisicamente ogni volta che era costretto a prendere contatto con la vita civilizzata e cittadina"(2).

Non sembra quasi che stia parlando anche di noi?


(1) Guido de Giorgio, Prospettive della Tradizione, ediz. Il Cinabro, Catania 1999, pagg. 136-137.
(2) J. Evola, Il Cammino del Cinabro, citato in "Prospettive..", pagg. 7-8.

mercoledì 6 aprile 2011

Le forsizie di Gigi





Domenica siamo andati a trovare un vecchio margaro, Abita "da sempre" dove abita ora. Ultrasettantenne, da solo. Gigi era 'armato' di tutto punto con le sue apparecchiature fotografiche.
Il vecchio montanaro ha la stessa durezza e tenacia del castagno e la stessa leggerezza delle betulle. I suoi occhi mobili come le foglie leggere dell'albero vestito di bianco. Un sorriso felice, sazio dei suoi giorni, una sottile vena di malinconia.
Ha visto tutta la sua vita trascorrere in montagna. Dei fratelli e delle sorelle è rimasto solo lui. Con un paio di cani e qualche vacca, tanto perchè rompere di continuità con il passato è sempre doloroso.
La cascina così carica di ricordi e di vita passata e vissuta era una po' triste. Il vecchio margaro non c'era. Fogli di plastica alla rinfusa, quasi un presagio di morte. L'ordine degli attrezzi vari e degli oggetti quotidiani posti come se non vedessero un domani, come se per loro i progetti di essere riutilizzati volgessero ad esaurirsi. Nel volgere lo sguardo dai prati ai boschi, sicuramente il pensiero di chi lascia il testimone, dove andrà tutto quel passato, gli sarà balenato pesante e triste come un boccone amaro duro a mandar giù. Anche per lui, che i sacrifici certo mai lo hanno spaventato.

Un'occhiata furtiva alla stalla. L'unica vitellina nata era stata venduta. Lui, forse per pudore di non essere perfettamente in ordine, ha preferito non mostrarcela, nonostante una certa insistenza. Forse avrebbe voluto mostrare alla fotografia una gioia maggiore, d'altri tempi o comunque ancor vitale e speranzosa.
Non si poteva evitare cosa sarebbe stato di quel posto, una volta protetto dal provvido manto della Madonna Nera, dopo che a quelle poche vacche più nessuno avrebbe badato. Svenduto e il tutto liquidato e suddiviso tra i nipoti e parenti vari. Forse una seconda casa, più o meno di lusso. Per essere abitata qualche giorno all'anno. Per venire a prendere una boccata d'aria fresca e sfuggire alla calura estiva. Senza condividere più nulla del ventre oscuro e fertile della Montagna nera. Ritratta e pudica la Madonna Bruna andrà a dormire dentro la montagna. Chissà per quanto tempo...




Scendevamo un po silenziosi. Scherzavamo come per esorcizzare la paura. Di notte i margari, per farsi i dispetti, escono con della biacca e coi pennelli per dipingere i castagni dei confinanti e trasformarli in betulle. Ma a bruciarci dentro erano gli occhi del vecchio margaro che avevamo appena lasciato lassù, da solo, a poche centinaia di metri dal Tracciolino.
Poi Gigi dice: "quando vado a casa cambio l'immagine del blog". Così, tutto d'un punto. Qualcosa gli era balenato per la testa.
- "Cosa ci metti?"
- "Lo vedrai".
- "Un collage di tue belle foto?"
- "No, no, lo vedrai".
Non ci ha voluto anticipare nulla. Forse sentiva che le parole gli sarebbero uscite pesanti.
Poi vedo la sua esplosione dorata della fioritura primaverile. Avevamo e abbiamo bisogno tutti di quell'oro.
Me l'immagino, Gigi in certe cose è sempre di poche parole, ma mi pare di sentirlo: "Forza ragazzi, andiamo avanti lo stesso!".




lunedì 4 aprile 2011

Le parole fanno il loro giro, poi "ci prendono in giro".






Sembra un gioco di parole, ma dopo aver fatto il loro giro, sospinto dal brioso vento dei cambiamenti umani, le casualità più bizzarre della storia, ci ritornano, ma sono cambiate. Non sono più loro, verrebbe da dire, che dopo aver fatto un lungo giro, durato anni, ci prendono in giro.
Quando ero un bimbetto, la guerra era appena finita. Avevo ancora negli occhi i vividi racconti delle testimonianze vive e accese degli eventi di guerra.
La mamma mi raccontava che nella strada su cui si affacciava la finestra del nostro palazzo, popolare, case costruite nel deprecato periodo socialista nazionale che, con qualche confusa molto aveva fatto per il paese in soli venti anni; in quella strada aveva udito e visto, in quegli ultimi giorni drammatici di guerra, soldati cadere a terra, forse tedeschi, il crepitare delle armi. Il terrore delle vendette personali che come viscerali inferi riemergevano a lordare la grande tragedia del nostro Paese, Roma e la latinità suonavano amari echi di menzognera propaganda, e più grave ancora l'Europa.
Come due giovani donne colme di vita, stretta in un abbraccio ferreo, un abbraccio che ricordava gli immortali imperatori di nobile stirpe guerriera e l'idea di Imperium romanum, che come un vascello dorato carico di sapienza antica era approdato sulle sponde italiche adornando di gentilezze i loro modi.



Un inquilino del nostro palazzo faceva come tutti da noi l'operaio, un tipo taciturno, ricordo sua figlia, Paola, una bimbetta semplice, solare, con le treccine ai lati della nuca, bionde. Occhi grandi, forse azzurri, o forse il ricordo li dipinge così. Piena di energia. Era facile invaghirsi innocenti di quel volto lindo e felice.
Suo padre, un bel giorno di quelli in cui la storia sembra prendere una improvvisa accelerazione, silenzioso e ieratico, scese le scale con passo solenne, abitava uno degli ultimi piani. Con la compostezza ieratica di chi stava compiendo un gesto scultoreo, incisivo, scendeva dalle scale, gradino dopo gradino, senza proferir parola, nelle mani impugnava l'asta di un drappo rosso, rosso che il sangue arterioso, leggero al volo, raggiante di un vermiglio che il sole dell'Avvenire quasi indorava. Stava coi russi. V'era stupore, nessuno sapeva niente o quasi. Custodiva nel più assoluto segreto quella bandiera in casa, chissà riposta in qualche angolo ben celato. Ma quello era il suo giorno.
Lo vedo con le parole di mia madre, raggiante come un eroe, mezzo vero e mezzo attore recitante. Quelli erano i giorni della Speranza, della "sua" speranza. E la speranza era l'energia dei suoi occhi.
Ricordo che si diceva di una donna che le avessero tagliato i capelli. Ed io pensavo a quali turpitudini si fosse abbandonata per meritarsi questo.
Per la strada, ogni tanto passavano colonne di carri armati, ed io correvo, pantaloni corti, e ansimante di curiosità, a vederli passare. Roboanti acciai dipinti di verde oliva con una stella biancha cerchiata. A me piaceva soprattutto perchè facevano tremare il selciato stradale. Come quando i ragazzi vanno su certi ponti in acciaio e cercano, saltando per fare più peso possibile, le vibrazioni della struttura.
Negli anni che coatti la nuova patria, nata da una sconfitta, ma che tutti fingevano o credevano invece rinata, riscattata, ci organizzavano in cori scolastici, prove su prove, per celebrare i cento anni del Paese, e giù con frasi del tipo "chi per la Patria muor, vissuto è assai..." oppure "si scopron le tombe, i martiri nostri son tutti risorti...", coi Mazzini, coi Garibaldi e coi Cairoli, giusto perchè, questi ultimi erano glorie locali. In quegli anni tanti bimbetti come me parlavano il dialetto, la lingua di casa, combattevano un'altra guerra patriottica, una pulizia etnica della lingua, usare espressioni come "vieni su" o "vieni giù", invece degli italianissimi "sali" o "scendi", sembrava un reato di lesa maestà.
Ho fatto del mio meglio per imparare. Solo che ad un certo punto, con la modernità, hanno cominciato a dirmi che era tempo di imparare a usare "get up", "get off", "away", eccetera. Solo poco prima era un errore da sottolineatura rossa doppia se avessi detto, o peggio, scritto che qualcuno "mi ha tirato dietro un sasso".
Su altri versanti, sorgevano dibattiti sull'eccessivo numero di questi dialettofoni, per cui una riduzione di questi avrebbe semplificato l'operazione del "parlar forbito" di massa. Solo che la questione demografica - prolifici e cafoni - comportava una parola magica, molto americana, "pianificazione famigliare" (family planning) che andava ben oltre all'orizzonte post bellico del parlar corretto anti-italietta (peraltro assurta ad Impero, che i fatti libici moderni al confronto rinnovano vergogna), la moderna italianità andava in cinquecento e sulla 'vespa', eppoi cominciava a guardare la televisione! Vuoi mettere? La vera madre lingua televisiva? L'essere in pochi e stare meglio, alla maniera scandinava (poichè parlare di razza era ed è tabù, nel frattempo ci si era dimenticati che noi siamo sostanzialmente latini), modello di benessere sociale. In realtà, si inaugurava per infausto percorso che oggi assaporiano in tutte le sue degradanti sfumature finali, della separazione tra sessualità e riproduzione. E la famiglia numerosa (i figli come Divina Provvidenza) la fede nuziale per la Patria, ferri vecchi per nostalgici patologici. E giù con le pillole del giorno prima e del gorno dopo. Sicchè abbiamo cominciato a riempire cassonetti di feti abortiti, o chimicamente o meccanicamente prevenuti (meglio prevenire che curare, no? si dice cosi delle malattie) e via con le culticolori e multiforme coppie di fatto. Con un'operazioncina chirurgica, si riscrive la carta di identità, un uomo "diventa" una donna, e si sposa ed aspira ad adottare figli (e guai a non adeguarsi, si verrebbe sanzionati nei più Alti Consessi). Poi ci vengono dire che senza l'apporto di extracomunitari con ci si salva, chi ce li pagha i contributi pensionistici? E i lavori che i nostri giovani non vogliono più fare? Allora era meglio quando eravano in tanti, e almeno tutti italiani!
I linguisti e gli intellettuali del momento rivendicavano la dignità "popolare" dei dialetti, vera lingua, da cui si era espropriati dalla cultura delle classi dominanti. Canzoni folk e riscoperta delle "radici" a spron battuto. Dai licei alle università, il parlare come il popolo era un arricchimento di coscienza.
Premi Nobel ai letterati popolari che riscattavano un silenzio di oppressione millenario. Poi ha assunto la forma "di genere", altra tardiva conseguenza americana, o semplicemente moderna, "gender". E' come se non avessimo ancora smesso di perderla quella guerra! Forse avevano ragione a chiamarla "Totalkrieg"!
Naturalmente romanità e latina, si sa van di pari passo. Prima il dialetto viene italianizzato (grazie soprattutto alla televisione, quindi italianizzazione democratica), poi innestato di barbarismi anglofoni, alcuni decisamente involutivi. Poi l'esaltazione gauchiste come autentica lingua di popolo ed infine demonizzato. Avete certamente notato la pubblicità per il 150°, gli italiani che non si capiscono tra loro e trovano finalmente nell'Unità la lingua che permette di capirsi tra di loro. Una pubblicità, appunto! Costoro sono gli stessi che difendono l'italianità con inoculazioni massicce di immigrazione selvaggia (pardon, umanitaria)!
Poteva mancare in questa 'encomiabile' corsa al disfacimento l'abolizione assoluta dello studio della lingua latina nelle scuole pubbliche di base?
E, il meglio del meglio, il non plus ultra, la Chiesa Cattolica Romana poteva insistere in quel vergognoso immobilismo oscurantista di continuare in orazioni che uguali si ripetevano dal Medioevo? Stiamo scherzando?
Come pugili suonati, storditi sul ring, da parole che vanno e vengono, strutturano e destrutturano, fanno e disfano, oscilliamo e con difficoltà riusciamo a stare ancor in piedi! Qualcuno sospetta che l'arbitro ci stia giantando, e siamo vicini al fatidico 10! Altri pensano credono che siamo già al ko.


La Speranza è l'energia per resistere e per dar senso ai nostri giorni, qui sul Tracciolino. Qui ci sono prati per pascoli, baite da ristrutturare, spiriti da rigenerare, germogli e vita, acque di fonti cristalline, spiriti guerrieri da guarire. Il pane lo si fa nei nostri forni. Le donne ricercano la loro strada (ri)generatrice e materna. Le capre dànno latte. Il gallo la sveglia. Il vento sussurra le parole dell'Eterno. Lo stiamo proponendo a tutti coloro che vogliono sperare che non siamo ancora al ko, a tutti coloro che han preso abbastanza cazzotti, ma che riescono anche a darne ed a combattere, a tutti costoro ci rivolgiamo, uniamo a rinnovate schiere i nostri spiriti.
Condivisione, fieri guerrieri a respingere il consumo che ci consuma in un vortice di parole che vanno e vengono senza meta. Cerchiamo la meta, solida e solidale, e con questa facciamo barriere e muro. Cadere sul muro è onorevole, disperare no, è morire anzitempo, vivere una vita che è una morte anticipata.
Cosa vogliamo fare? Proposte? Non è la Terra Promessa, se la vogliamo intendere in un senso profano. Quella ha già creato lutti a sufficienza. Ma come 'ginnasio dello Spirito', "Centro", si, quello si, potrebbe...