sabato 14 agosto 2010

Alpinismo e Montagna

Ah! il lamento per la desertificazione della montagna...

Bellissimo il brano di Alessandro, 12 agosto 2010. Pagina di un diario intimo e vero. Di una biografia che vede la montagna come un interlocutore importante. Imprescindibile. I ricordi si assiepano alla mente, le figure familiari più care ricompaiono, i loro semplici e fondamentali. consigli Le esperienze visionarie che la montagna può ispirare nell'anima del camminatore sono molteplici. Forse la fatica, forse l'aria che soffia sottile e tagliente, forse l'ossigeno che scarseggia, o forse chissà cosa, un po come i mangiatori di peyote indiani o altri sciamani, il fisico viene un poco alterato nelle sue funzioni biologiche consuete e ciò fa da viatico per chi ne è già di suo predisposto ai riflessi intimistici dei viaggi interiori. Certo quasi inevitabili le sfumature romantiche, ineffabili, poetiche...pietre che parlano e non tradiscono, torrenti e alberi che si personificano.
Ma in alcuni tipi di visionari, di cui facciamo parte anche noi, non possono mancare gli elementi tragici, assoluti, decisivi. Quasi sul prototipo di tutti i viaggiatori sognatori, il visionario Dante. Siamo lontani dai record alpinistici, siamo lontani dalla logica del superare 'sè stessi', siamo lontani altrettanto dalla montangna dei 'Grand Hotel' che come transatlantici di mondanità urbana vacua si inoltrano tra le valli e poi si inabissano nel loro artificiale delirio. Se non avete la sordità del turista - sia quello 'per caso' o quello superdistratto di massa - la sordità atletica di chi fa trekking per dimagrire e mountain bike per fare sports più o meno estremi, se non siete affetti da questi morbi modaioli, beh allora il fascino simbolico e magico della montagna non può non raggiungervi.
Se ci pensiamo bene i montanari, margari, contadini o boscaioli, che per millenni hanno frequentato i monti non hanno mai fatto alpinismo. Per quanto paradossale potrà sembrare.
Non hanno mai scalato vette. Solo quando raffinati romantici, sofisticati e urbani 'civilizzati', con strane apparecchiature, che oggi peraltro ci apparirebbero antidiluviane, li ingaggiavano come guide hanno iniziato questa parabole 'discendente' di voler 'conquistare' cime.
Prima era solo la convivenza e la sopravvivenza. Un dialogo essenziale pratico, insieme simbolico e materiale.



Scrive J. Evola:

E possibile che gli Antichi, i quali ignoravano l'alpinismo ovvero ne conoscevano solo forme rudimentali, e quindi avevano dinanzi la montagna secondo i caratteri di una reale inaccessibilità e inviolabilità, appunto per questo furono portati a sentirla secondo il carattere di un simbolo e di una trascendente spiritualità. Oggi che la montagna è materialmente conquistata e poche sono le vette che ancora l'uomo non ha violate, è importante far sì che questa conquista non si equivalga ad una profanazione e ad una «caduta» di significato."



Ecco perchè mi è piaciuto tanto lo scritto di Alessandro. Perchè coglie esattamente questo punto. Coglie la 'caduta' e la profanazione. Al di là dei mille discorsi che si possono fare sulla montagna, e che di fatto proliferano, in libri riviste specializzate, documentari, concorsi fotografici e spedizioni scientifiche, festivals, ecc., va a cogliere il bersaglio con precisione. E lo fa quando scrive:

"Scendo piano piano con lo stesso rispetto che c'è fra un domatore ed un leone e cascina dopo cascina abbandonata penso perchè siete andati via? perchè laggiù? Tornate qui, qui con me e ripartiamo insieme a costruire qualcosa per cui valga la pena vivere davvero, qualcosa che se un giorno qualcuno dovesse chiedermi: "Perchè hai vissuto?" io possa rispondere fiero qualcosa di concreto."


Ci ritorniamo subito sopra, solo il tempo per un accostamento per inciso. Cito da uno di questi discorsi generalisti e confusi da 'difensori' della montagna, che proprio come Alessandro, si trova nell'analoga situazione di iniziare la discesa dalla vetta, si imbatte in queste cascine che come ruderi si ergono dal passato per interrogarci, giacchè quelle ristrutturate à maison de plaisirs per vacanzieri non le consideriamo neppure aprioristicamente, fan parte del discorso 'Grand Hotel Dolomiti', importante e leggittimo, ma un'altra cosa:

"Due anni fa non c'era ma ora c'e' una malaugurata strada sterrata che ha ferito i prati. Tutto per servire due o tre baite forse, e spero sia così, abitate da margari. I pochi metri di prato e la loro bellezza, cancellati fatti a pezzi dal serpente di terra e sassi estranei, che pur si sforza, (appare evidente l'intento del tracciatore) di scorrere per quanto possibile defilato dietro un poggio e lungo il bosco. Così, illudendosi che un accesso agevole alle cascine dia una ragione valida di proseguire l'attività agricola e di allevamento, si affretta l'opera di inselvamento della zona. Non so cos'e' giusto di caso in caso, ma in generale ritengo che occorra motivare fortemente l'attività di margari, allevatori, pastori. Sono gli unici ripeto gli unici, perchè sia chiaro, che possono salvare l'ambiente di montagna e collina prima del definitivo inselvamento. Hanno anche gli attributi, in tutti i sensi, per farlo; chi è abituato alla vita cittadina da anni o peggio da generazioni, con tutto il rispetto... è fuori dal gioco."

A parte il discutibile gusto, il discorso degli "attributi" non aiuta nessuno alla comprensione del fenomeno, neppure alla sociologia dell'urbanizzazione della montagna. Di fronte a quel "non so cos'è giusto", giustappongo quelle potenti domande retoriche di Ale: "perchè siete andati via? perchè laggiù? Tornate qui, qui con me e ripartiamo insieme a costruire qualcosa per cui valga la pena vivere davvero..."
Ritorniamo ai quesiti di Alessandro. Queste domande riassumono e presuppongono la tragedia, un esodo epocale, una strada senza ritorno, un ciclo cosmico che si va ad esaurire. Retrostante soggiace una visione grandiosa. Vi è la ricerca di una sintonia sincera con la Tradizione. Certamente sarebbe doveroso un chiarimento sul significato di questo termine. Tuttavia non intediamo certo riferirici alla polenta concia, dei proverbi e delle canzoncine, dei ecomusei dedicati alla 'cultura materiale', all'idolatrico, nonchè patetico, culto buono per turismo strapaesano, folclore da pro-loco, e depravati politicanti sempre avidi delle più assurde sovvenzioni con denari pubblici. Così simili nulla hanno a che vedere con la Tradizione.

Possiamo appoggiarci ancora una volta a Evola, che prosegue:

"Per questo, è essenziale che le nostre nuove generazioni poco a poco giungano ad elevare l'azione al valore di un rito, che poco a poco esse riescano a ritrovare quel punto trascendente di riferimento, attraverso il quale le vicende di ardimento, di rischio e di conquista, le discipline del corpo, della sensibilità e della volontà fra l'immota e simbolica grandezza montana assurgano al valore di vie per la realizzazione di ciò che nell'uomo sta di là dall'uomo".

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