sabato 22 ottobre 2011

Grande è l' Attesa



Prepararsi e capire, significa aprire la strada a Colui che deve arrivare. M. Heidegger ha osato descrivere la "radura" filosofica, all'uscita del bosco, preconizzare il "Pastore dell'Essere". Pastori e greggi in Occidente sembrano smarriti. Necessariamente la Tradizione, al contrario non può perdersi, al più si può eclissare, nascondersi o assopirsi in qualche luogo sconosciuto.

Non può perchè è da essa che dovranno germinare i segni-semi del nuovo Ciclo. Da come sembra siano messe le cose, con la rapida espansione del materialismo in Oriente, non è del tutto da escludere che le energie nuove, le nuove forme del manifesto, per una sorta di effetto della ben nota legge metafisica, del rovesciamento dei Poli, l'aurora - l'aurea riconciliazione tra l'uomo e Dio - albeggerà da Occidente ed il detto "ex Oriens lux" più tipico del mondo andato che di quello veniente.

Il brano che segue è una nostra traduzione da un testo di Savitri Devi.

L'ultima incarnazione di Colui-che-ritorna, l’ultimo Uomo, “contro il Tempo”, ha molti nomi. Ogni grande fede, ogni grande cultura, così come, ogni vera (vivente od obsoleta) forma di una Tradizione, antica quanto la caduta dell’uomo (e la conseguente nostalgia per la perdita del Paradiso terrestre), ne ha prodotto uno. Attraverso gli occhi del Visionario di Patmos, i cristiani, lo videro in Cristo “presente per la seconda volta”[1]: non più come il mansueto predicatore dell’amore e del perdono, ma come irresistibile Guida di celesti “Cavalieri bianchi” destinati a mettere fine a questo mondo empio ed a stabilire “un nuovo Cielo e una nuova terra”; un nuovo ciclo del Tempo. Il mondo islamico lo attende nei panni del “Mahdi”, che Allah invierà “alla fine dei tempi”, per sconfiggere ogni male tramite il potere della Sua spada – “dopo che gli Ebrei saranno ridiventati padroni di Gerusalemme” e “dopo che il Diavolo avrà insegnato agli uomini di incendiare perfino l’aria che respirano”.[2]

D’altra parte, in quasi tutte le nazioni d’Europa, la tradizione popolare ha conosciuto Colui-che-ritorna o nella forma di un Re dipartito e ritornante, o come vera Anima di un esercito mitico e nascosto: in Germania, l’Imperatore Federico Barbarossa,

che un giorno uscirà dalla grotta in cui è addormentato per secoli, e salverà il suo popolo, per guidarlo a Gloria impareggiabile; in Danimarca, come Holger Danske del Monte Kronborg; in Polonia, come l’ “Ospite Dormiente” dei racconti popolari; in Ungheria come “Attila”, che un giorno riapparirà alla testa dell’“esercito di Csaba” ad attuale la divina vendetta sui malvagi e imporre la giustizia; mentre le antiche religioni solari dell’America cantrale se lo rappresentavano come il bianco e radioso Dio Quetzalcohuatl, ritornante nella gloria e nella potenza — come il Sole risorgente — da dietro l’Oceano orientale. E milioni di hindù da tempi immemori e ancora oggi lo chiamano Kalki,

l’ultima incarnazione della potenza che regge il mondo: Vishnu, l’Uno che, nell’interesse della Vita, pone fine a questo “Kali Yuga” o “Età oscura” e apre una nuova successione di epoche. In queto testo l’ho chiamato col suo nome hindu, non allo scopo di sfoggiare un’erudizione che sono ben lungi dal possedere, ma semplicemente perché non sono a conoscenza di altre tradizioni in cui i tre tipi di esistenza manifesta - “sopra il Tempo”, “contro il Tempo” e “nel Tempo” – che ho cercato in questo testo di evocare e di definire, trovano naturalmente la loro controparte nella concezione trinitaria basilare della Divinità stessa, ed in cui (come conseguenza di ciò) l’Uomo “contro il Tempo” è, in tutte la successione delle sue incarnazioni, ma specialmente nella sua ultima, più eloquentemente – e più logicamente – considerata come quella del uomo divino per eccellenza.

Poche parole per chiarire il punto.

La ben conosciuta Trinità hinduista – Brahma, Vishnu e Shiva – così magistralmente ritratta nell’arte indiana – non è affatto una fusione di tre “dèi” tra loro inseparabili in uno; e neppure, il triplice aspetto di un’unica Dio personale e trascendente. Simbolizza qualcosa di ben più fondamentale, vale a dire l’Esistenza nella sua interezza: manifestata e non manifestata; concepibile, nonché visibile e tangibile, e al di là della sua concezione. Per Esistenza – Essere – si intende l’Unico divino. E non vi è altro Dio al di fuori di Esso; e nulla esiste al di fuori di Dio.

Ora Brahma è Esistenza in und für sich - in sè e per sè; Essere nonmanifestato, e perciò fuori e sopra il Tempo; Essere, al di là della concezione della mente legata al Tempo, e quindi, inconoscibile. E’ significativo che a “Brahma” non siano stati edificati templi in India – o anche altrove. Non è possibile rendere culto a Ciò che la coscienza legata al Tempo non può concepire. E’ possibile, al massimo, attravero un atteggiamento appropriato (ed anche attraverso appropriate pratiche ascetiche) confluire il proprio sè in Esso; trascendere la coscienza individuale; vivere “al di sopra del Tempo” – nel Presente assoluto che non ammette né “prima” né “dopo”, che è l’Eternità.

“Brahma” – il profondo Sè e quello del mondo, sperimentato al livello di Eternità – è Ciò che tuttti gli uomini “al di sopra del Tempo” cercano di concepire: il positive stato di “pace, pace perfetta”, di pace, non attraverso la non-esistenza, ma attraverso la liberazione dai legami del “prima” e del “dopo” e di tutte le “coppie di opposti”.


[1] “Deutera Parousia” — “Seconda presenza” — (di Cristo) è l’espressione greca per la “fine del mondo”.

[2] Questa tradizione, nell’islam, può essere fatta risalire al XIV sec. In Persia, il Dodicesimo Imam – che misteriosamente scomparve, per ritornare alla fine dei tempi, - è stato identificato con il Mahdi.”

2 commenti:

  1. Ottima riflessione e analisi. Purtroppo, certi temi li trattano ormai i laici, gli uomini della Tradizione. La Chiesa e le chiese, sono sintonizzate su altre frequenze. Fine dei Tempi. Preannunciata, certo. Oggi ci tocca viverla fino in fondo.

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  2. Sig. Angelo Ciccarella,
    La ringrazio per gli apprezzamenti che ci rivolge.
    Anche per le manifeste simpatiche intercorrono nel nostro comune modo di sentire, mi permetta di rimarcare,che pur grato per l'onore di accostarmi agli "uomini della Tradizione" stride col sentire definire costoro come dei "laici".
    Se davvero esistono questi "uomini della Tradizione", sembra spetti loro per antonomasia la funzione di custodia del 'depositum', e di testimoniare, nelle forme meglio confacenti alla loro indole, i tratti della sacerdotalità - qui nello stretto significato letterale del termine - che sembra certo è andata smarrita in molti stimati deputati ad esercitarla.
    Ma proprio perchè così doveva essere, a nulla vale dolersene o rammaricarsene.
    Vincit omnia Veritas.
    Con sincera cordialità,
    Franco Curti.

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