giovedì 27 ottobre 2011

"L'antico purpureo velo...."


Assommava doti rare, e più il tempo passa, più sembrano diventare preziose. I suoi scritti si degustano, ogni termine, quali gemme preziose. Un piacere fisico e di sapori storici colorano la tavolozza del suo linguaggio. Discreto, colto, gentile ma tagliente come la lama di un rasoio. Romano Amerio.
Il gusto delle lettere nella sua prosa, del bel parlare un italiano, lui svizzero luganese, che di nobilità nutre chi legge, senza appesantimenti classici pomposi e inessenziali, buttti lì solo per vanitosa ostentaazione. E poi, ovviamente una pacatezza, una lucidità ed un amore per la verità cattolica messa a dura prova.
Lontano da ogni forma estremistica, era un tenace, inflesibile avversario che ogni mutamento verso il nuovo, ed il Concilio Vaticano II fu una valanga di innovazioni. Conservatore con la gioia di chi sa che la Verità non intrattiene relazioni alcuna con la Storia, e quindi con la presentua questione di adeguarvisi o meno.


Come non riguardare oggi, per stare sul lieve, la scomparsa del latino nella liturgia (dopo la scuola italiana), gli altari volgere il suo antico orientamento (per andare incontro al popolo e non a Dio, versus populum anzi il celebrante volta le spalle al Tabernacolo, nulla di più simbolico della gravità della crisi della Chiesa, maestra spirituale confusa); e che dire degli strimpellamenti di chitarre, vani blandimenti giovanilistici? Sorrisi televisi e occhi disincantati per improbabili palcoscenici, volti profondamente smarriti.
Ma quale la relazione col Tracciolino? Cosa ha a che vedere con la montagna, là dove le cose, proprio per la loro difficile accessibilità, sono meno suscettibili di innovazione?
E' presto detto. La montagna è per sua natura più lontana dalla modernità, chi ci vive da sempre o chi con fede profonda, vi ritrova il suo eremo, il luogo della ricerca interiore, condizione la solitudine, i silenzi, le astinenze dal superfluo, conservatori naturali di quello che è rimasto di conservabile, lontanissimi dalle mode, come in un monastero naturale a cielo aperto.

Lontani da cose che a molti sembrano necessarie. Dall'abbondanza di cose insensate, poveri con le cose serie e degne ben piantate nei cuori. Con lo spettro della penuria dietro ogni cosa. Il timore di perdere coe ininfluenti. Ma la paura non smette di mordere. E' la regola principale del consumismo.

Una delle prime merci consumate, strano forse credersi, è il corpo. Amerio propriamente parla di "somatolatria". Nel vestirlo e nello spogliarlo, nell 'atteggiarlo, nel tenerlo 'in forma', nell'usarlo, o per meglio dire, abusarlo. Nel rifiutarne le esigenze naturali, per andarne continuamente oltre. Fino a stravolgerne le funzioni più naturali, maschili e femminili.

"Per farne retto giudizio - scrive Amerio - conviene avvertire che in ogni genere dell'operare umano, ma nel costume specialmente, rileva certo la frequenza dei fatti maggiore o minore (senza tale frequenza non c'è costume), ma primariamente importa quel che i fatti diventano nella mente, cioè il modo in cui la pubblica coscienza li giudica."

Si noti l'inconsueto, neutrale e delicato, termine "frequenza". Ciò che di fatto è una vera ossessione sociale, onnipervasiva, da assumere addirittura dimensioni patologiche. Stiamo parlando, se non si era inteso, della metamorfosi della sfera amorosa in quella sessuale nell'età moderna. Metamorfosi inscritta nel declino dell'Europa dal libertinismo rivoluzionario della polica come dei costumi, dell' età dei Lumi (che tanto luminosi non erano) fino a divenire una sorta di motore primo, primum movens, dell'ermeneutica della persona. I criteri della moderna psicologia 'scientifica' freudiana, il lessico che parla dall'interno del linguaggio contemporaneo. Dalle scuole, talk-show di massa, dalle 'sedi proprie' a quelle diffuse nei microinterstizi della società. Consumismo onnivoro del sesso in tutte le sue forme, eccessi e incontinenze. Ogni legge o usanza naturale triturata dal progressivo sentire. La libido sottoposta a una gestione occulta, dotata di "appoggio teoretico", di stampo anarcoide e autodistruttiva. Infatti è più alla morte che si rivolge, che non alla vita. La negazione della vita è il prezzo della paura della morte, del vuoto, del nulla che porta dentro di sè. Questa è la vera "mortificazione" del corpo. La dispersione nel suo consumo.

La frequenza è legata e determina l'inverecondia. Un tocco dell'elegante eloquenza di Amerio. Grazie a lui, fin troppo facile aggiungere l'orgia, l'abuso concettuale nel quotidiano, sia quello culturale 'dei piani nobili' dell'edificio sociale, come ai piani bassi, se non i bassifondi, a livello sub-umano. Materia di multiloquio, vaniloquio e turpiloquio, la frequenza è alla fibrillazione massima. L'organismo collassa sotto il peso della sua inverecondia.

"Quanto alla frequenza nessuno impugna che l'inverecondia sia sia più divulgata che in passato, quando gli eccessi erano eraano fenomeno di ristretti ceti e, cosa ancor più importante, andavano a nascondersi e non osavano l'ostentazione. Oggi è la faccia delle nostre città. Si può dire che la pudicizia fu il carattere generale dei secoli addietro, mentre l'impudicizia lo è del nostro... Oggi al contrario le intimità hanno perduto l'antico purpureo velo del pudore e vengono propalate, ostentate, comunicate sin nelle rubriche dei rotocalchi, di cui si pasce il volgo. Lo spettacolo, massime cinematografico, ha come tema d'elezione le cose della venere e l'estetica, che vi dà un appoggio teoretico, giunge a stabilire che la prevaricazione del limite morale sia una condizione dell'arte. Di qui una meccanica progressione dell'osceno in infinitum: dalla fornicazione semplice all'adulterio, dall'adulterio alla sodomia, dalla sodomia all'incesto, dall'incesto all'incesto sodomitico, alla bestialità, alla coprofagia e via tacendo." (R. Amerio, Iota unum. Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX, Torino 2009, pag. 210)

Si commenta da solo, illustra assai bene il rapporto tra 'arte', 'artista' e autopercezione della moderna persona, siamo nella Vienna della 'finis Austriae', e non solo. Il nuovo dogma: la Civiltà umana è frutto del sacrificio - si noti la valenza parodistica dell'impiego di questo termine, quanto mai fuori luogo - pulsionale e, nel contempo, poichè ciò viene presentato come qualcosa di improponibile e 'contronatura' per la mentalità moderna, da qui la conseguente, necessaria ed auspicabile, azione diretta a 'liberare la sessualità', a porre in campo le diverse forme sociali di 'emancipazioni', il contrasto a moralismi e ipocrisie.



Egon Schiele (1890-1918), Autoritratto.


La tanto discussa mercificazione del corpo, in particolare quello femminile, non è che una conseguenza dell'intollerante e divinizzato liberalismo individuale, dogma consustanziale al regime democratico, che per altro verso viene oggi, per l'appunto, propugnato e difeso, a volte in buona fede e a volte con ipocrisia e convenienza, in tutti i modi da coloro stessi che la criticano.

E siccome è più facile matematicamente percorrere la 'via larga' piuttosto che quella 'stretta', vale a dire, rinunciare alla civiltà, che praticare le virtù, la disciplina, il contenimento, l'astinenza... evidenti sono le conseguenze.







3 commenti:

  1. Vincenzo A.:Grazie Franco del bellissimo post. L' ossessione per la novità, l'arte come trasgressione rispetto al buon senso diventa asservimento a demoni oscuri che trasformano gli uomini in corpi deformi e i corpi in merce...
    La nostra consolazione? La salvezza si può ottenere in un solo istante di riflessione interiore, un solo istante di raccoglimento può farci ritrovare quella scintilla di divinità che brilla in ognuno, può condurci alla beatitudine della Quiete.
    P.s.: Sono passato alla lettura di un altro libro di Zolla "Uscite dal mondo", lettura a tratti ostica ma estremamente interessante.
    Un abbraccio,

    V.

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  2. Caro Vincenzo,
    a te grazie della pazienza con cui leggi questi miei sceitti.
    Sono a ringraziare te per lo stimolo che mi hai offerto, in una passata occasione, di tornare a riflettere su questi argomenti. A volte sembrano insopportabilmente grevi e confusi. Ma così non è, se, come dici anche tu nel commento, si tengono ben vive nel cuore alcune piccole ma decisive cose inerenti la vita e vialità dello Spirito (e non del corpo).
    Certo, se poi si devono gestire i fili di una trama sottile, sotterranea che da secoli percorre l'Occidente pre e post cristianzzato, le cose si complicano. Gli intrecci tra 'eros', ovviamente greco, 'cabalah' di massa, ovviamente ebraica, con il 'sapere' moderno, psicologia feudiana, sociologia, economia ecc. si fanno complessi, ma non difficili, solo complessi.
    La forza sta quindi nella pazienza, nella tenacia, nella strenua volontà a presguire sulla propria strada.
    Mai dipanato una matassa molto aggrovigliata?
    Si, vero? Ecco. Poi immagina di dipanarla in discesa ripida. Poi in condizioni di gelo o di sole cocente. Poi...
    Ma nessun slancio pindarico è richiesto, 'per porta inferi' nessun Angelo è veramente impegnato.
    Ti prego, stacci sempre vicino, come già fai.
    Un abbraaccio,
    F.C.

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  3. Con molta sorpresa, e piacere, trovo un autoritratto del rispettabile Egon Schiele. Cosa ormai assai rara in un mondo fatto di banalità, e superficialità.
    Tempo fa lessi un suo libro, breve, ma conciso e profondo.
    Uno di quei libri da divorare in mezz'ora.
    La vita di questo artista, fu spesso messa sotto torchio da una società, con uno spiccato e 'falso' atteggiamento di riservatezza e pudicizia.
    Per far valere una finta bonarietà, spiccare come gemme in una comune terra bruciata e far 'bella figura' sempre e ovunque.
    Questa società, fece un grosso danno a un artista come Egon schiele. Bruciarono, davanti ai suoi inermi occhi, un suo lavoro, giudicato 'pornografico'.
    Non vi è altro modo di concludere questo mio breve commento, se non con una frase di quel travagliato diario.
    "Nessuna opera d'arte erotica è oscena se è artisticamente rilevante. Può renderla oscena solo l'osservatore , che sia intimamente volgare."

    -Diario dal carcere-

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