giovedì 8 marzo 2012

Insensate cure.





La prima uscita dopo tanta neve. I prati sono ancora arsi dal gelo. L'erba non volge al verde, non è ancora il suo tempo. Ciononostante l'uscita sembra essere gradita.
Dopo tanti giorni passati in stalla, sgranchirsi le gambe in belle piroette e farsi delle galoppate a rompicollo...cosa c'è di meglio per salutare la primavera! Salutare il nuovo ciclo. Le tre che vedete in primo piano sono sicuramente gravide... i vecchi pastori contavano le fasi lunari. Verso il 20 marzo ci siamo dati appuntamento astronomico. Chissà. Vedremo.
 Inutile tentare una sfida all'ultimo colpo tra sapienza dei pastori e razionalismo positivistico. Non ci interessano queste sfide. La scienza che pretende di escludere la dimensione più autentica dell'essere umano a favore di una presunta oggettività non ci appassiona. E' comunque destinata, prima o poi, ad una miserabile fine. Lo vediamo tutti i momenti intorno a noi. Naturalmente per chi ha occhi per vedere.



Preferiamo vivere la dimensione dell'avvento, dell'attesa, avvolta sempre com'è da quel manto di mistero e di incantesimo. Celebra quel miracolo che è la nascita della vita, gioia e lutto, ciclo delle esistenze che suscita la meraviglia di uno straordinario spettacolo (non mancheremo di darvene notizia) sempre nuovo, sempre antichissimo. Sviluppo di cose già scritte e mai scritte, che si inverano nel momento in cui accadono, ma mai scontate. E quindi generose dispensatrici di gioia quando raggiungono il loro compimento ciclico: delle fanciulle diventano donne, cioè madri.


Riprendono il loro spazio e le loro relazioni. Si mangia in ordine gerarchico. Il maschio è maschile e la femmina è femminile. La primavera pulsa nelle vene. Il sangue si scalda. Pulsa la terra morbida e nera i nuovi germogli. Il ciclo così impone i suoi ritmi. Poi il clima si rilassa, man mano che gli appetiti scemano, sesso e potere. Ci si riposa satolli a godere il declinare del sole. E' la danza di Shiva. Regola il microcosmo come il macrocosmo. Appare ora nella sua massima importanza, cogenza. Essenziale agli occhi nostri. Eppure non è così.
Presto tutto questo svanirà. Il ciclo si avvierà verso la sua fine, arriverà l'autunno e poi l'inverno, gli astri riprodurranno una già nota disposizione, e poi tutto ricomincerà con energie rinnovate, le sue contrazioni vitali, sistole e diastole, inspirazioni ed espirazioni, in una danza infinita dell'illusione che tutto passa, del panta rei.
Si affannano i potenti a imbrogliare, mentire e ingannare, molti collaborano, si arruffianano, fanno politica; altri si adagiano, subiscono e sopravvivono nella loro nicchia, altri ancora si dimenano, si affaccendano e tentano disperatamente di riempire di senso il loro agire esistenziale con 'insensate cure'. Seducono con studiate parole antiche i falsi sacerdoti che pongono la religione sopra l'Eterno.

O insensata cura de' mortali,
quanto son difettivi silogismi
quei che ti fanno in basso batter l'ali! 

Chi dietro a iura e chi ad aforismi
sen giva, e chi seguendo sacerdozio,
e chi regnar per forza o per sofismi, 

e chi rubare e chi civil negozio,
chi nel diletto de la carne involto
s'affaticava e chi si dava a l'ozio 
(Paradiso, Canto XI, 1-9.)

 La parola 'cura' qui potrebbe anche accomunare Heidegger a Battiato, ma non certo il volgar medico del corpo cui oggi siamo avvezzi e rassegnati. Riguarda l'Essere questa cura, l'attenzione verso l'immutabile parte di noi che immancabilmente trascuriamo.. Quell'inetto, inefficace, inano e nobile forzo che l'essere umano troppo spesso mette in atto per fuorviarsi dalla visione, dalla realizzazione totale della loro interiorità dicasi cura. Ma è giusto così. Non starebbe tra di noi diversamente. Perciò vien detta 'insensata'. Perché sta sulla soglia tra ciò che ha senso e ciò che, nonstante tutti gli sforzi per dargliene uno, non ne ha. Si spalanca sotto i nostri piedi l'abisso della follia. Non quella medicalizzata di oggi, quella di un teatrante esoterico come Shakespeare o il visionario Cervantes. Tragedie, romanzi e sogni che tornano e ritornano. Un turbinio di miti. Un unico destino. Un arco teso, carico di energia, pronto a scaraventare le nostre esitenze, dardo archetipale, verso il suo 'naturale' (cioè sovrannaturale) bersaglio. Shakti, natura naturans.
La follia-musa ispiratrice, potenza, energia, sofferenza che proietta la mente verso altri stati, a vedere oltre la manifestazione ciclica, oltre la danza di Shiva, i cembali dionisiaci si stemperano nel silenzio di un oceano senza fine. E' la contemplazione dell'Essere al di là del tempo.









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