giovedì 30 agosto 2012

Sorella montanara, maestra del cammino.



Cosa vuol dire oggi caricarsi le spalle di erba secca? Erba spesso non sempre buona, a volte più felci che fieno profumato, ma va bene lo stesso, per le bestie. Meritano il sudore della fronte.

Il sorriso sul volto di questa montanara, un'amica. Sembra che non si voglia spegnare mai. Un sorriso libero dalla preoccupazione del calcolo, dalla monetizzazione del lavoro. Quanto vale il carico? Quanto rende? Quanto tempo impiegato a tagliarlo, girarlo, raccoglierlo, caricarlo e portarlo in fienile? Libera sei dalle ossessioni economicistiche cui la civiltà industriale ci ha abituati a scaltri calcoli, a vedere ovunque l'occasione per lucrare. Come per miracolo il lavoro ci redime, brulica di intensità vitali, guarisce le sue alienanti piaghe.

La fatica, il respiro che si affievolisce, la gioia dell'aria di montagna, le mani e gli scarponi sempre sporchi, la certezza di far parte di un ciclo maestosamente più grande della nostra singola esistenza, in mancanza del quale ci si sconsola e angoscia, ci si sente estranei e nemici. Non fa parte della retta Via. E' la devianza urbana industriale, col mesto corteo delle sue malsane compagne degradanti.

 Le poche bestie cui dar da mangiare quotidianamente, quasi fossero dei figli, con cui e attraverso cui si patisce e si gioisce giustificano la fatica. Ci si compiace di vederle pulite e sane, vederle crescere. Vite che si compenetrano con le nostre, si intrecciano strette, anche nel momento di separarsene per cedere l'amata bestia, per pochi soldi - fanno sempre 'trenta denari' - ad un cosiddetto anonimo 'commerciante', figlio certo di usurai, con una pietra al posto del cuore, che la condurrà al macello, con buona pace dei sentimentalismi animalisti dei rintronati televisi urbani che vengono in montagna solo per prendere l'aria fresca.  E guardano, ma non vedono.
Completamente identificati coi loro moloch a cui si sottomettono molto volentiere, anzi direi di più, desiderano soddifarne i desideri e le volontà.
Quel dolore vitale passa. Ritorna la vita. Abbiamo nuovi figli cui badare, ne conosciamo le genealogie, le storie, la personalità di ciascuno, meglio di quanto si conoscano quei misteriosi parenti che si vedono ai matrimoni ed ai funerali coi quali esistono solo finti o fittizi legami.
Cara Sorella, figlia della Madre Terra, della Madonna Nera, della Vergine genitrice e allattatrice, la tua semplicità, libera dagli arzigogolati sofismi talmudici, sgravata dei pesi della 'cultura', dalle mille astuzie e furbizie che come inchiostro di piovra confondono le acque, viene scambiata per dabbenaggine, selvatichezza demenziale, arretratezza, inidoneità. Crudeli e insensibili, violenti dietro la mascherina asettica della oggettività scientifica, ti mettono degli elettrodi sulla testa, come una corona di spine - nel culto della Madonna Nera hai il tuo Calvario, - e decretano elettromagneticamente che non sei troppo normale. 
Loro si, loro lo sono. Questa è la loro pace diabolica, vigliacca che ha paura persino di guardarsi in faccia, codardi che temono la loro stessa crudeltà tecnologica, ben più feroce e sottile di qualsiasi altra, sottaciuta, invisibile, quando addirittura non elogiata.
Non temere Sorella, torna su da noi, tu ben conosci la Via, tra i seni gonfi della Madre, dove ci si nasconde e ci si riposa. I suoi seni, turgidi e caldi, sono le montagne. Le mani sporche e dure ci elevano alla dignità e ci qualificano all'esperienza del Tuo contatto.  Ci nutrono e proteggono. Sono tana e utero, antro oscuro cui pochi accedono. Danno la forza ai nostri giorni, di compiere i riti operosi che la vita in montagna offre. 
Non puoi pensare di esistere senza sopportare lo sfregio, sprezzante e cinico, di chi si sente minacciato o contrariato nei suoi fondamenti. Ma con i momenti di infantile gioia, la montagna, nelle lunghe sere d'inverno a contarcela, al crepitio del fuoco, ripaga con la riconciliazione, con un vivere insieme la gentilezza del soffio di Dio sulle nostre esistenze. L'ateo meccanicismo moderno non tollera tutto questo e vorrebbe annientarlo, o superarlo come preferiscono dire. 
Resistiamo, strega sfuggente con le tue erbe e i tuoi sortilegi. Combattiamo la nostra grande guerra dentro di noi, come monaci immobili, lenti e statici, ma con un turbinio di energie in lotta. Ricordo quando, ingenuamente vanitoso, ti ho indicato con un cenno della mano una bella zucca del giardino, ne andavo fiero. E tu, cara Sorella, mi hai preso la mano, me l'hai abbasssata, mi hai dato una una lezione segreta. La bellezza non si indica, non si esibisce, sennò la si perde. Deve rimanere invisibile a quelli che non hanno occhi per vedere. Non si danno perle a porci e cani. Un velo iniziatico di segreto la deve proteggere.
Bella lezione, che riaffiora dai secoli lontani come il fior di loto dal fondo melmoso, attravero l'acqua intermedia, alla superficie, a baciarsi col Sole. Bella lezione, ora capiamo perchè cercano di interdirti.

Il latte, la polenta, il burro, le erbette dell'orto, la coscia del pollo e del coniglio, pecora o agnello, che hai cresciuti, non sono carboidrati, lipidi o proteine. Entra nel nostro corpo come un fluido sacro, parco e pieno di consapevolezza, consacrato dal sudore uscito che ora rientra,  e crea una 'comunione' organica. Con ago e filo avvicini i lembi momentaneamente allontanatisi. Ripari la cesura che ci ha staccati da te. Cibo degli dèi, soma, ambròsia, onesto, giusto, magnificante, come bambini eterni giochiamo con l'Essere al suo Grande Gioco, lila, infinito, sublime, ritornante. Siamo con Te, Signora Nera come la Terra, Kali nella verticalità alpina, Madonna della grande danza cosmica, siamo felici che ti trastulli con noi.
Incomprensibile come la Verginità di Maria, che fa di questo nome una vergogna anziché una virtù, un vecchio arnesi di un armamentario sorpassato anziché una speranza di purezza per il futuro, inebriante come il profumo della Rosa, i cui meandri fatti di petali ci conducono lungo una Via sapiente, inutile e impervia a molte ingannate anime,  dalla lontana e tetra periferia dal vivere disumano ad unirci alla luminosità del Centro.









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