domenica 27 marzo 2011

"Contro il logorio della vita moderna", adotta una capra.




A volte vi sono momenti che come i sogni sono incomunicabili. O meglio, lo sforzo della razionalità di voler riprodurre e comunicare un sogno viene regolarmente frustrato.
Corrispondono a stati dell'essere, cangianti come i bagliori attraverso la tessitura di rami nel bosco.

Attimi incoglibili che si sottraggono a diventare cose, oggetti dell'economia del quotidiano. Paragonabile al forte, ma esile al contempo, equilibrio che tiene insieme il gregge.
Una cosa è certa. Non è la bieca fame, la sua forza è meno cogente e meno resistibile di quanto si creda. Si, si tema la fame. La rivolta dei visceri è paura di aver fame, ma non la fame stessa. Altre forze sono in gioco. Relazioni di un dialogo orfico serrato.
Il legame con le altre capre. Lo chiamano anche "istinto gregale", fa leva sui loro stati inferiori, subconsci o inconsci, non importa. Non ci si illuda troppo della loro 'semplice' anima. La semplificazione dell'anima dell'animale, così intrisi reciprocamente questi termini da assumere nuova significanza se posti insieme in modo distinto, è sospetta. Sospetta di voler allontare l'ospite sgradito alla mentalità moderna: l'anima. Passi per psiche, mente, ma l'anima proprio no.
Sia per l'anticlericale che per lo scientista puzza insopportabilmente di sagrestia. Il timore, poi, mai confessato, che lo si applichi, per estensione anche all'essere umano! Ma come, dopo tanti secoli di illuminate lotte contro l'oscurantismo e la superstizione, siamo di nuovo punto e a capo? Non può stare.
La paure del cane? Vale la stessa argomentazione, basta sostituire una paura con un'altra, ma il meccanismo logico è il medesimo. In più, qui abbiamo l'aggravante della controprova. Il nostro cane non si è mai comportato da metter paura a nessuno; semmai è stato lui ad esser messo in fuga. Allora c'è il legame con l'essere umano. C'è un dialogo senza parole costruito giorno dopo giorno. Come in un ménage molto stretto, quotidiano, si intrecciano i pensieri mai formulati. 'Ti ho portato acqua, fresca e pulita' come dire: "ti ho pensato". Il fieno asciutto dopo che hai brucato erba umida di pioggia, come dire, "sono attento alla tua salute". Mi porti al pascolo oggi che c'è sole e mi lasci ruminare satolla, sdraiata sull'erba, vale a dire "stiamocene tranquilli qui un po', a goderci il fresco imbrunire, prima che le ombre, allungandosi troppo, ci facciano provare il sentimento del ritorno al ricovero".
E quel giorno che siamo tutti rientrati precipitosamente quando il temporale minacciava? Non una violenta costrizione, una corda o una catena. Tutti liberi di correre giù per il pendìo e metterci al riparo, anche di una vecchia baita di fortuna, solitaria, anchessa come noi tra solitari boschi.
Ricordate il poeta Saba?
"Ho parlato a una capra.
Era sola nel prato, era legata.
Sazia d'erba, bagnata
dalla pioggia, belava."

Ma cosa centra "il dolore eterno" con cui prosegue? Saba perchè, come Orfeo, non le hai parlato?




Ti avrebbe detto che il caldo le dà affanno, il fresco mette appetito e la pioggia, specie se con lampi e tuoni, terrorizza, come i bambini. Ti avrebbe detto che il dolore era dato da quella corda, "legata" come la poesia dice.
Ti avrebbe spinto a pensare, una volta caduta l'idea inquietante di per sè di una metafisica condizione esistenziale dolorosa, tristezza leopardiana, che fore c'era dell'altro. E magari nel tuo cuore dilaniato, in cui entro in punta di piedi ed esco prima possibile. Un cuore diviso, tagliato in due, come il sangue di cui è vaso.
Lo dice il tuo nome: Saba, che hai voluto prendere, insieme con il latte, dalla tua 'mamma' slovena, Peppa Sabaz, la semplice contadina cattolica, che ti portava in chiesa e ti ha insegnato il Pater noster (e ti ha reso maestro della simplicitas cristiana nella tua lingua di poeta), mandando su tutte le furie l'altra metà del tuo cuore, la tua mamma naturale, Rachele Coen, sempre molto impegnata nei suoi commerci, ebrea attenta alle commistioni fastidiose ma con poco tempo per te.
Ma lo dici anche tu stesso: "capra dal viso semita".

O vuoi, ma dovremmo dire, vogliamo, continuare a credere che il tuo nome, quello che ti sei scelto, è un etimo ebraico ("nonno", "pane")? Vogliamo che il dubbio, la tentazione assurda dell'abisso continui a tentarci?

Le nostre capre non hanno "un volto semita". Noi speriamo che abbiano un volto sereno, come il cielo sereno dei pascoli di montagna. Un volto assorto e rapito dalla bellezza che ci circonda. Niente di più bello di una capra che, al sole, riposi ruminando, con la barba mossa da un vento fresco e sottile che ci porta il cielo dentro, dentro i polmoni e dentro il cuore, guarito da tutte le ferite, dai dualismi che lo vogliono far sanguinare.

Questo è lo scopo per cui propongo ai lettori una sottoscrizione. Solo pochi soldi da "sacrificare" per questo obiettivo. Una sottoscrizione per comprare una capra, tutta nostra, tutta simbolica. Il simbolo della Speranza.

Cosa ne pensate? Adottiamo una "Capra della Speranza"?

All'accudimento, al fieno ed al resto ci pensiamo noi sul Tracciolino, e tutti gli amici possono venire quassù a vederla in ogni momento. Ma quanto al mantenimento della Speranza è dovere di tutti!

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