domenica 6 marzo 2011

Umiltà e potenza di un simbolo.



Nella tradizione islamica il termine al-furqàn indica il mezzo del discrimine, in quanto tale è poi passato a denotare il Corano stesso, di cui è il nome di una sura.
Il Ventilabro viene menzionato (Mt: 3,17) "Egli ha in mano il ventilabro, pulirà la Sua aia e raccoglierà il Suo grano nel granaio, ma brucerà la pula". Crivello, setaccio, vaglio. Cribrum.


Ma discriminare sembra oggi una attività 'discriminatoria'. Discriminare ha assunto un signifcato negativo, antidemocratico, un'infrazione al sentimento egualitarista. Una minaccia al relativismo dei giudizio, la cui suprema autorità riposa sull'individualismo assoluto.
Corollario di questo slittamento semantico è l'imperativo è l'impossibilità, in fatto di valori, di dire no a qualcuno. Forse, ma forse, qualche pedagogo o qualche psicologo "dell'età evolutiva" si azzarda ad affermare che ci sono 'no' che aiutano a crescere. Ma quando si varca la soglia della maturità (anagrafica o quale altra?) l'individuo non tollera più un giudizio esterno che gli si sovrapponga, a lui sovraordinato. Come il cittadino non è un minore bisognoso di tutele, cosi all'uomo moderno non gli si può dire - non importa chi e come o quando - ciò che è bene e ciò che è male. Non è forse questa l'essenza della democrazia?
I valori cambiano e dunque occorre adattare la Verità ai tempi. Così fece il Concilio Vaticano II, anteponendo lo storicismo alla Legge del Ventilabro.
Da bambino osservavo mio padre muratore. Ci passava la sabbia per separarla a secondo del calibro. La mamma la farina dai grumi. Lanciava il riso in alto e soffiava via le impurità. I sassolini più pesanti venivano abilmente separati dai chicchi.

Taluni hanno voluto migliorare la Sua Legge. Conoscete un'eresia più grave?

Il suo nome è Progresso.




Nessun commento:

Posta un commento