mercoledì 24 agosto 2011

Meditazione ed azione.



Alcuni amici hanno voluto rivolgermi parole di incoraggiamento e vicinanza. Tanto preziose. Umanamente. E non è poco. A loro va il mio grazie, ed il merito, eventuale, delle considerazioni che seguono.

La vicinanza, la presenza, anche poche righe assumono un significato molto particolare, a fronte dello spettacolo del 'Titanic', dramma vero ma ridicolizzato dall'industria cinematografica americana, forse sarebbe da preferirgli quell'esercizio un po' manierato di Géricault che conserva tuttavia una sua, non saprei dire fin a che punto conquistata, carica tragica. Ma assumono anche un significato ulteriore che, grazie a loro, costituisce un'occasione che non vorrei lasciarmi sfuggire.

Una fortuna - nel senso classico associato simbolicamente alla ruota, non per caso, come al rosone di una cattedrale, rosa rotante - postuma d'obbligo, anancastica, scritta nel destino dell'Occidente, e quindi, per conseguenza, ora anche del mondo intero. Un 'fortuna' archetipa.



Vi sento in qualche modo sulla zattera assurta a disperata, residua, ultima opportunità di salvezza non dal naufrgio di un piroscafo, ma del mondo, di un mondo.

Teniamoci bene in mente le parole di Guénon, a conclusione del suo resoconto, impietoso quanto preciso, sulla "Crisi del mondo moderno". Dopo numerose pagine diagnostiche in cui il bisturi affonda affinchè alcun nucleo infetto possa rigenerare la seppur minima opacità all'aureo splendore che sebbene ora ancora 'sotterraneo' va ridestandosi, ad incoraggiamento di tutti, come un maestro, un padre, un medico pitagorico ci ricorda che sempre Vincit omnia Veritas.

La Verità vince su tutto, perchè è il Tutto. Ha mille volti, ma è Una.

Umanamente la condizione contingente è dualità invece, sinonimo di dolore, precarietà. Quantunque consapevoli che è dalla preca-rietà che proviene la prece, la preghiera, tuttavia una natura demiurgica ci spinge alla ribellione e alla lontanza dall'ordine angelico. Quello stesso ordine angelico da cui, secondo la tradizione islamica, un tempo, per ordine divino, godemmo di una qualità spirituale tale da meritarci la prostrazione degli angeli.

Il simbolo della zattera (dei naufraghi) fu accolto dal genio kristiano, per assumere la forma della nave o della navicella, navicula Petri, prototipo di tutti i successivi veicoli 'traghettatori'.

I problemi dunque sembrano sorgere quando si affrontano i problemi dei naufraghi, che già son piccola cosa rispetto all'umanità che andrà perduta nell'abissamento di questo mondo. A che servirà assegnar colpe all'imperizia o al dolo del comandante? A nulla.

La valutazione esoterica delle condizioni di tenuta della 'barca' la leggiamo nelle parole di Dante, (Paradiso XVI, 94-96) " ............al presente è carca/ di nova fellonia di tanto peso/ che tosto fia iattura de la barca". La visione che ci conforta e giustifica nell'uso del termine, abusato alquanto dagli spiritisti moderni, sedicenti guru metropolitani, ciarlatani e imbroglioni, manipolatori di chakra di ogni risma, del termine 'esoterico' sta nel fatto di essersi rivelata dotata di una preveggenza sintetica stupefacente. Degna della visione di un'aquila sciamanica, a volo planato sulla storia umana.
Al confrontofigure meritorie come i vari Pio X, Mons. Lefevre o Williamson, Don C. Nitoglia brillanno, sia pur tragicamente, per la loro pochezza quando sono posti di fronte al punto esiziale. Un ritardo incolmabile. Della barca non si trovano neppure più i relitti; non paliamo neanche dei naufraghi.
Una fenomenologia della distruzione descritta con la precisione di un anatomo-patologo da R. Coomaraswamy, The Destruction of the Christian Tradition, del 1972 più volte rivista, non è per ora ancora accessibile in lingua italiana. Prendiamo a prestito, per comodità, da M. Serrano, una sua distinzione: è il passaggio dal kristianesimo al cristianesimo, dalla Verità suprema e universale alla tribalizzazione giudaica.

Ma è quando si rivolge l'attenzione a coloro che stanno sulla barca che la scena si anima di inaudita ferocia. Il 'traghetto' ha di mira le due sponde, ma nessuno è un grado di garantire l'approdo salvifico. Tutto rischia di presentarsi come se si trattasse di un 'affare politico'. Incapacità dei governanti, che detto per inciso, il termine è altrettanto di origine nautica: il timoniere. Le discrinazioni socioeconomiche e di razza e genere circa chi ha potuto salire sulla zattera e piazzarsi nei posti più confortevoli. Si salvi chi può. Sono scaturite innumerevoli filosofie e dottrine a definnitiva speculazione del bisogno, più o meno riconosciuto di sfuggire alla morte, approdare alla salvezza.

"Non crediate che ogni acqua vi lavi". Non val la pena salire sulla prima barca che passa. Potrebbe non tenere i marosi, o addirittura un'esca per illudervi di una falsa certezza. D'altro cantoo, non si può passar la vita rimandando di continuo, in attesa feriale del dì festivo, per poi accorgersi di non aver più tempo davanti a sè, e accorgersi che la vita era proprio quella cosa che accadeva mentre si continuava a procrastinare. Imbarcarsi nell'impresa fatale si deve!




Il pensiero quindi va al Tacciolino, al nostro campo di battaglia, nostra kurukshetra, al senso di questa zattera, che altro non è, in fondo, che l'acquisizione di un punto di vista, la conquista di un vertice. Termine geometrico, ascetico e montanaro contemporaneamente.

Va alle Alpi, rifugio estremo in cui gli spiriti si temprano o soccombono, ma con la spada in pugno.
Monti che respingono i corpi estranei, e materna accoglie i figli prediletti, i Pellegrini dell'ansia, gli amanti dei silenzi.
La sua luce e la sua aria richiede le tempere, non gli impasti oleosi. Nitidi i cieli cristallini, senza trucchi, senza artifizi.
Al senso e alla sua possibilità dell'azione, l'uomo ritrova i suoi spazi. A battersi affinchè i mercanti, coi loro maneggi che hanno incantato e barato, la moneta falsa e l'oro svilito hanno contrabbandato con il sangue e la fatica del lavoro, dell'onesto baratto, corrotto e indebitato, erodendo sempre più l'autarkèia e l'autonomìa, coi loro sofismi, filosofie, 'scienze', o spacciate per tali, umane e sociali, con sottigliezze da consumati talmudisti con cui hanno teorizzato e poi criticato la teoria, di cui i politicanti di ogni colore democratico non sono che una povera, sbiadita copia, vengano definitivamente cacciati dal Tempio. Alla giusta dottrina, il cui seggio in Occidente è ancor vuoto, è da rialloggiare.


Da qualche parte bisognerà pur iniziare. Una possibilità è quella del Tracciolino dello Spirito, della meditazione delle vette, come Evola la chiamava. E come per questa Via Guido Di Giorgio si era incamminato, e allontanato su strade esotiche il suo amico Guénon. Per avere le giuste visioni. Quelle che illuminano il cammino. E, dall'altra, l'azione, con la terra, i suoi molteplici doni, le sue erbe, i suoi frutti, i suoi animali. Di una disarmante durezza, nobiltà, dignità e sincerità. Fedeltà alla terra, come suggeriva Nietzsche, da sempre baluardo contro l'inganno, quel "mezzogiorno" da lui tanto amato perchè è l'ora in cui le ombre sono più corte o addirittura non ci sono. Il peccato, se vogliamo.

Per usare ancora una volta un simbolo già usato più sopra, da qualsiasi angolo di visuale si voglia considerare, la questione non appare 'rosea'. Diffidate da chi ve la fa comoda. Non esistono scorciatoie, le dilazioni, tempo umano di cui si nutre Satana.


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