mercoledì 25 agosto 2010

Benvenuta Eva!.

Vorrei personalmente congratularmi con Eva per l'interesse che mostra per il nostro blog. Darle il benvenuto con spirito di amicizia, lealtà e sincerità.

Spero che la Sua partecipazione sia sempre più attiva e proficua perr tutti!

Certamente concordiamo in parecchi che Alessandro possa occupare più che meritatamente il posto di Sindaco di Quittengo, ma gli vogliamo anche bene e pensiamo che meriti di più. L'esperienza sarebbe, ovvio, sempre istruttiva; ma conoscendo un pochino Ale credo di poter dire che l'ampiezza delle sue visioni vadano un pochino strette a Quittengo, dove, a parte la bellezza dei luoghi, l'aria cimiteriale di abbandono e il culto dell'immobilismo spegnerebbe gli entusiasmi anche ai più temerari ottimisti.
Comunque, potrebbe essere un buon inizio, e benchè non voti a Quittengo (a pensarci bene non voto più danni in alcun posto) tifiamo con spudorata partigianeria per la (eventuale) candidatura di Ale!
Sentiamo cosa ne pensa il diretto interessato.
Non posso esimermi, personalmente, da goloso impenitente quale sono, di congratularmi anche per i manicaretti di Eva, mettono appetito solo a vederli in fotografia! Fagioli all'uccelletto e montagna si abbinano perfettamente!




Per saperne di più:
http://lievitoespine.blogspot.com/

lunedì 23 agosto 2010

Evola al Tracciolino: una resistibile ascesa.





Può tornare utile avvalerci di un lavoro di J. Evola sulla Spiritualità della Montagna (ediz. Mediterranee), per alcune precisazioni che potrebbero riguardarci molto da vicino per ciò che andiamo precisando circa Il Tracciolino dello Spirito, per tutti coloro che hano scelto la montagna come luogo di resistenza.
Va da sè che è solo per una curiosa ironia della sorte che questa espressione coincida con il relativamente recente movimento storico della Resistenza, anch'esso, come si suol dire, 'salito in montagna'. E? apena qui il caso di sottolineare, se ce ne fosse bisogno, che tale coincidenza è puramente casuale, e che in realtà sottendano significati completamente diversi, per certi versi anche contrapposti.
Per comtagna come luogo di resistenza, si intendeva fa riferimento ad una posizione discorde ed in antitesi con la modernità, una trincea di una bttaglia di mentalità, culturale e spirituale, la cui portata si sviluppa su un linea di atemporalità; viceversa con il termine di Resistenza storica, si fa riferimento ad avvinimento preciso, storico, collocabile nel tempo a partire dagli anni 1944-45 fino a protrarsi alle propagggini apologetiche sostenute dalle forze dell'onda lunga, dell'egemonia post-bellica dei vincitori, come di solito accade inevitabilmente nelle vicende storiche umane.
Ritorniamo a Evola. Nelle sue riflessioni, che risalgono a qualche decennio or sono, ma per molti aspetti ancor oggi valide, e laddove il tempo le ha rese inadeguate non è perchè si collocassero su una linea errata, ma perchè gli spunti critici cui egli accenna hanno avuto modo di svilupparsi ulteriormente, da una parte confermando la fondatezza delle sue intuizioni e dall'altra contribuento a fornire i termini per comprendere le novità verificatesi in questo campo. Per chiarirci, dagli anni '30 ad oggi, e non solo l'alpinismo, ma un po tutta la società ha subito un processo democratico e di industrializzazione acefala, in cui masse secolarizzate da un consumismo devastante erompeva sulla scena sociale a spezzare relazioni stabilmente collaudate da millenni.

Evola raggruppa in tre punti le principali attitudine fuorviate nei modi di vivere la montagna.

A) quella "lirica-poetica", che si esprime in una retorica letteraria impregnto di sentimentalismo borghese, in cui la montagna è datta di 'vedute' e di 'paesaggi' vissuti a debita distanza, lirismo parolaio romantico ottocentesco, oggi ci sembra sussistere come residuo o sotto forma di ricordo nostalgico e folclorico.

B) la visione "naturistica", frutto della crisi della civiltà, la montagna è il luogo in cui si và per 'distendersi' dagli stordimenti, dalle frenesie, delle città, per proteggersi dai meccanismi ad un tempo, razionli ed anonimi, corrisponde ad un bisogno di rigenerazione biologica-psichica, contro l'arido intellettulismo, utilitarista e conformista si scopre un misticismo primitivista e ribellistico contro la città e la cultura, per poter reimmergersi in città e cultura con energie rinnovate da questo bagno rigeneratore e naturistico.

C) quella "ascetismo ed eroismo fisico", qui le forme colte e intellettuali, in qualche modo auliche, assumo la forma dello sport, del sacrificio, del superamento dei limiti fisici, dell'atletismo e dei records, amore per il rischio, la ricerca di vie e pareti intentate, ardimento, coraggio, indomite volontà; tendenza virile che poteva contenere elementi anche positivi di ardimento che è andata spostandosi verso atteggiamenti acrobatici e spettacolari, per spingersi fino a scalare pareti di palazzi e grattacieli.

Potrebbe essere utile confrontarci con questi tre prototipi emotivi e razionali, prima di accedere ad un approccio simbolico e spirituale nuovo e diverso, decisamente contro-corrente, contro il Tempo e le terribili forze che si scatenano contro chi non si sottomette e si rassegna, contro chi complotta sia pur a livello dottrinale, ed a maggior ragione contro chi osa ergersi concretamente ad avversarlo.
Bene fa L. Bonesio a ricordarci dell'invenzione dell'alpinismo. Non è un evento naturale sempre esistito.
L'alpinismo ci appare come una delle forme distorte e profanatrici della mentalità moderna. Non a caso spesso vieme impiegati in questi contesti termini come 'conquista' e 'violazione', quasi a voler sottolineare l'usurpazione da parte dell'uomo di territori che non gi competono. Sembrerebbe più consono alla natura promiscua di terra (creta) e acqua l'ambito profano, a lui più congeniale, base necessaria di consapevolezza da cui eventualmente intrapprendere il cammino-pellegrinaggio. Un cammino ascensionale anche se fosse pianeggiante. Le dimore elevate, le vette, le cime, non possono essere la sua dimora. Al contrario vi risiedono altre forme dell'Essere, divinità di ogni specie, mostri-custodi che presidiano i valichi, fanno carambolare miseramene e sconsolatamente chi con presunzione vi si avvicina senza essersi accertato preventivamente del necessario grado di purificazione richiesto. L'uomo è per antonomasia viaticus. Se il suo cammino giungesse alla vera meta, alla Vetta, dovrebbe trascendere la sua natura umana, perforare la membrana ta l'uomo e il Super-Uomo, l'Angelo, Semi-Divinità. Dante al termine del suo viaggio che gli succede? Certo non torna indietro, il viaggio è senza ritorno. Alcuna nostalgia per la forma umana lo può e lo deve ricatturare nella sua orbita, come se fosse saltato ad un cielo superiore, alquanto inaccessibile, Dante viene assorbito nella Luce divina.
Il privilegio quindi di vivere in montagna sarebbe quello di vivere in prossimità, in vista dlla Vetta. Comeè suggestiva l'idea del romantico J. Ruskin, caso A della tipologia di Evola, quando attribuisce alle Alpi, alle sue guglie, alle sue vette, che era solito valicare ai passi in Val d'Aosta, l'intuizione costruttiva (massonica-operativa) delle maestranze medievali che si diedero all'opera delle cattedrali gotiche medievali, che nel giro di pochissimi anni sorsero un po' ovunque in Europa. Tornato nella sua Inghilterra non potè non fondare la Gilda di San Giorgio, artigiani di una Guerra Santa. Un sogno romantico è stato detto. Ma paragonate questa Europa con le Alpi nel cuore, all'Europa di Maastricht, delle banche, dei finanzieri e degli usurai, e nessuna Poeta si ergerà più a maledire questi moderni caorsini, nessun Pastore di Roma li ammonirà più, ed avrete un'idea del baratro infernale in cui stiamo precipitando.
Circondati dalla perfetta ebetudine dei nostri politici che manco si rendono conto di quanto sta succedendo. Presi come sono ad inseguire il consenso dei loro voti democratici, sempre pronti a dichiarare 'una prioritaria assoluta' l'ultima sventura accidentale. Ciechi ad una visione generale.
I costruttori medievali percorrevano un itinerario esattamente opposto a quello moderno. Essi, con la loro Opera, portvano l'immagine della Vetta alpina nelle pianure al di qua e al di là delle Alpi costruendovi, a riproduzione di quella divina, le loro Vette-Cattedrali. Noi, al contrario, importiamo nelle valli, al cospetto delle Vette, al cospetto di ciò che furono Altari Immacolati, le nostre miserie metropolitane, i nostri veleni su scala industriale, la nostra cattività nella dimensione profana, cattività definitiva, ultima, proprio perchè ce ne vantiamo come un merito, e di conseguente lo si porta avanti con orgoglio. L'inarrestabilità del progresso, come l'accumulo continuo di scorie nucleari dove pensate ci possa condurre?
Quale l'Opera dei Tempi nostri? Quale l'equivalente delle Cattedrali medievali di oggi? Quale la nostra Impresa?

"...Gli Antichi, i quali ignoravano l'alpinismo ovvero ne conoscevano solo forme rudimentali, e quindi avevano dinanzi la montagna secondo i caratteri di una reale inaccessibilità e inviolabilità, appunto per questo furono portati a sentirla secondo il carattere di un simbolo e di una trascendente spiritualità".

Curiosa questa espressione di Evola, che con Antichi con la 'A' maiuscola intende onorarli per la loro immunità verso l'alpinismo, e le altre forme sopra ricordate di deviazioni moderniste. Per poi attribuire al fatto che possedessero "solo forme rudimentali" il merito di ciò. Anzichè attribuirlo al loro carattere aureo, alla capacità che ancora intrattenevano di riflettere le Luci delle Vette, e per questo non le 'conquistassero', commette l'errore materialistico di ritenere un errore, sia pure in forma embrionale, il lievito che li condusse a vedere nella montagna "il carattere di un simbolo e di una trascendente spiritualità".
Forse la sua ansia ad improntare la storia, un'ansia politica, dell'agire in modo non 'costruttivo' ma solo 'produttivo', come un imprenditore assorbito totalmente nella sia industria di successo, ignaro che una manovra speculativa sul mercato di Londra dei futures potrebbe annientrlo dalla sera al mattino senza che se ne accorga.
Torna quindi la domanda dell'Opera. Il contrario del "Che fare?" di leniniana memoria. L'Opera è finalizzata alla realizzazione spirituale. "Il mio Regno non è di questa terra" puntualizza il Vangelo.
E ancora su questa linea da interventista della contingenza storica continua: " è essenziale che le nostre nuove generazioni poco a poco giungano ad elevare l'azione al valore di un rito". Non si capisce perchè dovrebbe essere circoscritto ad un fatto generazionale, se non si tiene conto di quanto gli stia a cuore, fio acondizionarlo, la questione 'del movimento', la presunta urgenza politica, che non è che una mascheratura della sua impazienza esistenziale di fronte al ritmo ciclico che invece la prescinde.
Associare, infine, il "valore di rito" a quanto le "nuove generazioni" potrebbero mettere in atto, rivela drammaticamente quanto la diffidenza verso la dottrina ciclica porti poi a definire come "nuove generazioni" quei soggetti che, anzichè come egli auspica, in grado di operare un "raddrizzamento" del Ciclo, al contrario il più delle volte ne sono le vittime privilegiate, quando addirittura non vengono arruolate nella file della contro-Tradizione e, per così dire addestrati, a combattere negli eserciti dell dissoluzione finale.
Qui sul Tracciolino dello Spirito, le montagne non si vedono, ma la loro presenza è costante. Tutto le ricorda. Le stagioni che tardano in primavera e anticipano l'autunno. Nel fatto che rendono le patate più amiche dei pomodori. Tutto ci ricorda della presenza benefica della Vetta.
Ultimamente l'amico Gigi, in una conversazione amichevole e libera, si confida. "Ma sai Franco, hai fatto una scelta estrema, dura, coraggiosa", un po' tra lo spavento, stupore e ammirazione. Si riferisce alla scelta di resistenza in montagna. Re-sistere, in-sistere, come stare, ri-siedere. La scelta, insomma, di vivere in montagna. Con tutta la simpatia, ma la solitudine, triste e dolorosa, sarà tua sorella. Non te ne stupire. E' l'opinione che spesso si sente. Ma quale è la vera solitudine?


Per un attimo la saggezza di Gigi sembra convincermi, portarmi dalla sua. Poi, un baleno di forza e di luce mi attraversa come una meteora la costellazione delle emozioni e si fa strada tra i pensieri. La solitudine è la vostra, non la mia (e di Bea che la condivide con me). Per prendere in prestito le parole dal poeta dico, siete voi soli, "termitai di eremiti".
Affaccendati nell'oblio, occupati a distrarvi, a di-vertere in divertimenti coatti. Consumatori di merci che soddisfano bisogni che sono sempre meno bisogni. Divertissement nel senso pascaliano, eretto a sistema politico di governo di masse esangui ed ammaestrate alla rassegnazione. Anzi peggio, spinte a credere che la distruzione sia la cosa giusta e che comunque la macchina infernale non si ferma. La Televisione come instrumentum Regni, ma come vera arma di ditruzione di massa. L'altra sera, sotto la copertura di difendere una giusta causa di maltrattamento, sento dire, in mezzo a descrizioni orripilanti, la frase: "La famiglia è la culla della violenza". La cellula vitale gabbata, se in buona fede non saprei, per quella cancerosa. L'effetto sovversivo è indiscutibile. E naturalmente era sula terza rete, quella 'rogressista'. Comunque, non spaventiamoci, sono già pronti modelli 'alternativi' di famiglia.
Consumatori di merci che sono costruite per consumarsi (ragionevolmente, secondo le 'leggi' del mercato assai presto). Più si consumano, e meno costano. Meno costano e più si comprano, e si consumano, e più sono prive di qualità. Alla fine, sono gli stessi consumatori a consumarsi. Cannibalismo, termine caro a Gigi, ma qui siamo all'autocannibalismo. Ci consumiamo da soli. Qual'è la vera solitudine?
L'Opera, dunque, è tutto ciò che contrasta questo autocannibalismo. Comincia da ciò che ci sta intorno, e dal nostro interno. Dalla capacità di saper rinunciare. Saper sfidare in noi stessi sul terreno dello spreco. Attuare il minimo di scambio, valorizzare il baratto, la prestarione d'opera reciproca, contenere lo strapotere del denaro. Creare comunità in cui si pratichino regole nuove, o anzi, antichissime. E altro ancora. Ma non fatto con la tristezza della povertà nel cuore, della solitudine che avvelena ogni istante e mina ogni volontà. Al contrario con gli occhi ed il cuore di chi sente la Vetta, con la vogli di fare dei muratori e scappellini, impiegati nell'impresa dell'Opera, cui bastava un pezzo di pane e una broca d'acqua per compiere cose immortali che oggi ancora, noi con tutta la nostra superbia tecnologia rimaniamo attoniti ad ammirare e a chiederci come abbiano fatto. Con l'energia di quei Cavalieri animati da un fare che fosse solo quello secondo Giustizia, a costo della vita, non come noi che per cinque euro siamo pronti avendere la nostra dignità senza pensarci due volte. Per quale ricopensa? Circondati da ammirazione mista a dileggio, da 'fatti furbo!', li ricompesavano la possibilità di riempire i loro occhi stupefatti e in-cantati con la Visione del Graal, la Presenza sempre invisibile, intangibile, immacolata, inviolabile. Come la nostra Vetta, per noi 'malati' di Tracciolino, la piccola Traccia; è la nostra chèrche, senza mai conquistarla, senza metterci una bandierina e dargli un nome. Poichè è risaputo e scritturale che non è nostra la scienza dei Nomi.
Tutte cose che non si fanno se si è vinti dalla rassegnazione. Per questo l'Opera ha bisogno di energie sempre fresche, come un fronte di battaglia; per questo vengono alla mente i Cavalieri di un tempo, passato senz'altro nelle forme esteriori, ma ancora attuale in quelle interiori.


Per leggere il testo evoliano cui qui si fa riferimento:
www.juliusevola.it
http://leucodermis.blogspot.com/2009/05/la-via-interiore-alla-montagna.html

mercoledì 18 agosto 2010

Franca, (ex)collega di Bea: vibranti emozioni da un ufficio di una multinazionale a Milano

Eccomi, sono Bea, vorrei riportare qui sul blog lo scritto inviatomi via e-mail dalla cara amica Franca che non è riuscita ad inserire nei commenti..
Troppo buona Franca, non merito davvero le bellissime parole che scrive.. Franca è una mia ex-collega, ma soprattutto un'amica...senza tempo...senza scadenza. Abbiamo lavorato a stretto contatto, purtroppo solo negli ultimi tempi, ma ho così potuto apprezzare le sue qualità umane di lealtà e di affidabililità...Sullo strabordante effusione di sentimenti e sensibilità, basta leggere quanto ha scritto!


Del resto, da un ufficio asettico di un anonimo grattacielo milanese dalle finestre non apribili, dove anche l'aria che respiravamo, e lei continua a respirare purtroppo, veniva ricostruita, in un'orgia di artificialità, e spacciata per esser anche migliore di quella naturale esterna! E, ironia della sorte, considerando l'inquinamento cittadino esterno, la cosa assume una paradossale verosimiglianza! Ma come si dice: "il tacòn è peggio del bùso"! Da tanta moderna alienazione ci credo che anche un coniglietto appaia come una creatura toccante e 'umana'!

Spero tanto che venga su presto qui al Tracciolino a partecipare a questa"vera favola", come la chiama, ad assaporare di persona (lei e famiglia, ovviamente) l'aria frizzante e sottile, le emozioni della vista dall'alto e verso l'alto che solo in montagna si possono davvero gustare, assimilare, fare proprie, sensazioni che nessuna parola può descrivere perchè così diverse per ognuno di noi....
Bea.



Ciao bea,
ho visto il blog.. è fantastico... pero io sono un po imbranata e nn sono riuscita a scrivere il commento...ma te lo scrivo con la email... mi riferisco soprattutto a quello che hai scritto il 13 agosto...

Carissima Bea... sono contenta perchè le tue parole mi confermano che quello che penso di te è vero ..." SEI UNA STELLA LUCENTE"" ho scoperto che sei piena di risorse.. e anche se al lavoro mi manca la tua luce che riuscivi a trasmettere col tuo viso sempre sorridente, sono contenta perchè da quello che scrivi ho capito che ora sei "serena " e "felice" ... di vivere con Franco e in mezzo alla natura... libera ......(e senza problemi come il dover correre per arrivare in ufficio...!!!???? ).....
menttre leggevo e mentre scrivo mi scendono le lacrime dagli occhi ( sai che io sono sensibile ...).... ma queste sono lacrime di gioia x te........ credimi dal profono del cuore Vi auguro di vivere serenamente a lungo e ....come nelle favole......vivere felici e contenti......( xkè la vostre è una "VERA FAVOLA")( a volte io sono peggio di una bambina e alle favole credo ancora!!!)...

baci ... a presto....

Franca

Per Indio e Vincenzo

Egregi Signori,
Li ringrazio per l'interesse che entrambi hanno manifestato attraverso i commenti recenti.
Direi che le (di)visioni politiche-ideoliche non dovrebbero costituire un ostacolo alla buona volontà di volersi capire, specialmente per le persone che, nel segreto del loro cuore, sono sinceramente sono sentono in cammino.
Ho perso amici, che non erano amici, opportunità che non erano tali, ma solo perdite di tempo. Quelli politici-ideologico, sono ostacoli che non sono ostacoli.
Le visioni politico-ideologiche mi sembrano eventi teorici che non possono seminare male, discordia,disarmonia quando non addirittura odii e lotte fratricide, per il semplice motivo che è uno di quei mali che in realtà non sono mai esistiti, anche se molti, direi i più, ne sembrano totalmente avvolti. Non si può aver paura di ciò che non è mai esistito.
Il problema forse è un altro. Quello di sciogliere, 'disnodarci' nella nostra mente, corpo e anima da "un paradigma critico e spesso radicale nelle sue posizioni e nei suoi assunti, ma sostanzialmente solidale ai valori fondanti la modernità e coerente col progetto politico illuministico (democratico)." Un folle rincorsa a teorizzare il teorizzabile pur di non staccarci dal materialismo, razionalismo, empirismo, e tanti altri 'ismi' che ci mantengono nella "chiacchiera" (a volte colta, quasi sempre sepolti nel proprio narcisismo) e lontani da cosa veramente vuol dire pensare.
Preferisco il concreto al teorico, il pensiero alla chiacchiera, dar da mangiare ai miei conigli e galline ad un simposio di parrucconi di massa. Potrebbe sembrare un paradosso, d'altro canto, l'utilizzo del web. Ma è così che va il mondo!
"E' essenziale che le nostre nuove generazioni poco a poco giungano ad elevare l'azione al valore di un rito, che poco a poco esse riescano a ritrovare quel punto trascendente di riferimento", parole di Evola anche queste. Assomigliano a quelle di Battiato, ricercatore di un, meglio de' 'il', "centro di gravità permanente". Se le nostre azioni, i nostri gesti assurgessero "a valore di rito"! E' così che, dopo la pensione mi sono trasferito in montagna a 950 mt. Un gran privilegio dal punto di vista della vita 'rituale'...
Ho apprezzato molto l'accostamento alla mamma, all'orto di sua madre. Mi onora.
Anche al Sig. Vincenzo vanno i miei sentiti ringraziamenti, e complimenti.
Permettetemi di citare un adagio, mi perdoni il Sig. Indio,ben noto in ambiente tradizionale, "riunire ciò che è sparso". Un po' quello che cerchiamo tutti noi di fare, ma 'fare' veramente però non "chiacchiere" qui sulla rete, siamo sparsi nell'oceano del web e ci stiamo cercando per riunirci...noi anime... (facendo attenzione a New Age, o ad altre parodie o pseudo-Tradizioni, specchietti per allodole...).
Al piacere di risentirvi, e di sapere molto altro su di voi. Sulle montagne che avete a/nel cuore...
Cordialmente,
Franco.


http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/reneguenon/riunire.htm
http://www.ilcerchiosciamanico.it/articoli.php?wh=17

sabato 14 agosto 2010

Alpinismo e Montagna

Ah! il lamento per la desertificazione della montagna...

Bellissimo il brano di Alessandro, 12 agosto 2010. Pagina di un diario intimo e vero. Di una biografia che vede la montagna come un interlocutore importante. Imprescindibile. I ricordi si assiepano alla mente, le figure familiari più care ricompaiono, i loro semplici e fondamentali. consigli Le esperienze visionarie che la montagna può ispirare nell'anima del camminatore sono molteplici. Forse la fatica, forse l'aria che soffia sottile e tagliente, forse l'ossigeno che scarseggia, o forse chissà cosa, un po come i mangiatori di peyote indiani o altri sciamani, il fisico viene un poco alterato nelle sue funzioni biologiche consuete e ciò fa da viatico per chi ne è già di suo predisposto ai riflessi intimistici dei viaggi interiori. Certo quasi inevitabili le sfumature romantiche, ineffabili, poetiche...pietre che parlano e non tradiscono, torrenti e alberi che si personificano.
Ma in alcuni tipi di visionari, di cui facciamo parte anche noi, non possono mancare gli elementi tragici, assoluti, decisivi. Quasi sul prototipo di tutti i viaggiatori sognatori, il visionario Dante. Siamo lontani dai record alpinistici, siamo lontani dalla logica del superare 'sè stessi', siamo lontani altrettanto dalla montangna dei 'Grand Hotel' che come transatlantici di mondanità urbana vacua si inoltrano tra le valli e poi si inabissano nel loro artificiale delirio. Se non avete la sordità del turista - sia quello 'per caso' o quello superdistratto di massa - la sordità atletica di chi fa trekking per dimagrire e mountain bike per fare sports più o meno estremi, se non siete affetti da questi morbi modaioli, beh allora il fascino simbolico e magico della montagna non può non raggiungervi.
Se ci pensiamo bene i montanari, margari, contadini o boscaioli, che per millenni hanno frequentato i monti non hanno mai fatto alpinismo. Per quanto paradossale potrà sembrare.
Non hanno mai scalato vette. Solo quando raffinati romantici, sofisticati e urbani 'civilizzati', con strane apparecchiature, che oggi peraltro ci apparirebbero antidiluviane, li ingaggiavano come guide hanno iniziato questa parabole 'discendente' di voler 'conquistare' cime.
Prima era solo la convivenza e la sopravvivenza. Un dialogo essenziale pratico, insieme simbolico e materiale.



Scrive J. Evola:

E possibile che gli Antichi, i quali ignoravano l'alpinismo ovvero ne conoscevano solo forme rudimentali, e quindi avevano dinanzi la montagna secondo i caratteri di una reale inaccessibilità e inviolabilità, appunto per questo furono portati a sentirla secondo il carattere di un simbolo e di una trascendente spiritualità. Oggi che la montagna è materialmente conquistata e poche sono le vette che ancora l'uomo non ha violate, è importante far sì che questa conquista non si equivalga ad una profanazione e ad una «caduta» di significato."



Ecco perchè mi è piaciuto tanto lo scritto di Alessandro. Perchè coglie esattamente questo punto. Coglie la 'caduta' e la profanazione. Al di là dei mille discorsi che si possono fare sulla montagna, e che di fatto proliferano, in libri riviste specializzate, documentari, concorsi fotografici e spedizioni scientifiche, festivals, ecc., va a cogliere il bersaglio con precisione. E lo fa quando scrive:

"Scendo piano piano con lo stesso rispetto che c'è fra un domatore ed un leone e cascina dopo cascina abbandonata penso perchè siete andati via? perchè laggiù? Tornate qui, qui con me e ripartiamo insieme a costruire qualcosa per cui valga la pena vivere davvero, qualcosa che se un giorno qualcuno dovesse chiedermi: "Perchè hai vissuto?" io possa rispondere fiero qualcosa di concreto."


Ci ritorniamo subito sopra, solo il tempo per un accostamento per inciso. Cito da uno di questi discorsi generalisti e confusi da 'difensori' della montagna, che proprio come Alessandro, si trova nell'analoga situazione di iniziare la discesa dalla vetta, si imbatte in queste cascine che come ruderi si ergono dal passato per interrogarci, giacchè quelle ristrutturate à maison de plaisirs per vacanzieri non le consideriamo neppure aprioristicamente, fan parte del discorso 'Grand Hotel Dolomiti', importante e leggittimo, ma un'altra cosa:

"Due anni fa non c'era ma ora c'e' una malaugurata strada sterrata che ha ferito i prati. Tutto per servire due o tre baite forse, e spero sia così, abitate da margari. I pochi metri di prato e la loro bellezza, cancellati fatti a pezzi dal serpente di terra e sassi estranei, che pur si sforza, (appare evidente l'intento del tracciatore) di scorrere per quanto possibile defilato dietro un poggio e lungo il bosco. Così, illudendosi che un accesso agevole alle cascine dia una ragione valida di proseguire l'attività agricola e di allevamento, si affretta l'opera di inselvamento della zona. Non so cos'e' giusto di caso in caso, ma in generale ritengo che occorra motivare fortemente l'attività di margari, allevatori, pastori. Sono gli unici ripeto gli unici, perchè sia chiaro, che possono salvare l'ambiente di montagna e collina prima del definitivo inselvamento. Hanno anche gli attributi, in tutti i sensi, per farlo; chi è abituato alla vita cittadina da anni o peggio da generazioni, con tutto il rispetto... è fuori dal gioco."

A parte il discutibile gusto, il discorso degli "attributi" non aiuta nessuno alla comprensione del fenomeno, neppure alla sociologia dell'urbanizzazione della montagna. Di fronte a quel "non so cos'è giusto", giustappongo quelle potenti domande retoriche di Ale: "perchè siete andati via? perchè laggiù? Tornate qui, qui con me e ripartiamo insieme a costruire qualcosa per cui valga la pena vivere davvero..."
Ritorniamo ai quesiti di Alessandro. Queste domande riassumono e presuppongono la tragedia, un esodo epocale, una strada senza ritorno, un ciclo cosmico che si va ad esaurire. Retrostante soggiace una visione grandiosa. Vi è la ricerca di una sintonia sincera con la Tradizione. Certamente sarebbe doveroso un chiarimento sul significato di questo termine. Tuttavia non intediamo certo riferirici alla polenta concia, dei proverbi e delle canzoncine, dei ecomusei dedicati alla 'cultura materiale', all'idolatrico, nonchè patetico, culto buono per turismo strapaesano, folclore da pro-loco, e depravati politicanti sempre avidi delle più assurde sovvenzioni con denari pubblici. Così simili nulla hanno a che vedere con la Tradizione.

Possiamo appoggiarci ancora una volta a Evola, che prosegue:

"Per questo, è essenziale che le nostre nuove generazioni poco a poco giungano ad elevare l'azione al valore di un rito, che poco a poco esse riescano a ritrovare quel punto trascendente di riferimento, attraverso il quale le vicende di ardimento, di rischio e di conquista, le discipline del corpo, della sensibilità e della volontà fra l'immota e simbolica grandezza montana assurgano al valore di vie per la realizzazione di ciò che nell'uomo sta di là dall'uomo".

venerdì 13 agosto 2010

La vita sul Tracciolino dagli occhi di Bea.


Volevo aggiungere al mio commento al post di Alessandro una bella foto scattata proprio oggi dopo una raccolta nell'orto e nel pollaio.
Quanti doni preziosi e unici..(merito anche del paziente lavoro di Franco ovviamente). Ma la cosa che più ricompensa il lavoro è per me poter condividere con i cari e con gli amici queste prelibatezze.. Stiamo pensando anche di costruire un forno per il pane e devo confessare che il poter "fare" il pane fresco in casa, magari in un forno a legna, è un desiderio che cullavo da tempo.. Qui stiamo attendendo con trepidazione anche la nascita di qualche capretto (magari due?) e l'arrivo anche di qualche bel coniglietto ad aumentare il gruppo.. Le zucchine fresche stanno cuocendo in padella e il profumo si spande per tutta la casa.. Ora vado a preparare una bella frittatona e spero che i nostri cari amici Gigi con Elena e ragazzi e la mamma di Elena, Alessandro con Elisa vengano presto qui a condividere non solo il lavoro come tante volte hanno fatto, ma anche i buoni frutti materiali e spirituali che la vita qui ci dona senza riserve. Bea.


Il nostro amico Alessandro... Mi emoziona sempre con le sue parole, i suoi pensieri.. soprattutto perché nascono in un'anima così giovane, eppure così "antica"...

E’ un ragazzo davvero speciale Ale, saldo, forte e affidabile come le "nostre" montagne, davvero un piacere averlo qui con noi appena possibile (troppo poco), passa in fretta il tempo in sua compagnia.. Le "nostre" montagne, per noi, per me almeno, non sono i luoghi dell'infanzia, io sono stata "adottata" dopo.. molto dopo.. anzi, mi sono proposta in adozione e "loro" mi hanno accettata subito, senza riserva, quasi mi stessero aspettando da tempo... Non dico che sia facile, semplice la vita qui, anzi. Ma è proprio questa difficoltà che ti rende "saporita" la sfida di ogni giorno.. anch'io come Ale ho dovuto (anzi devo ogni giorno) confrontarmi con il mio innato senso di vertigine alla vista del vuoto, il brivido che sempre provo quando guardo giù la pianura ogni giorno uguale ma differente: ora coperta di nuvole e nebbia e un attimo dopo ampia e assolata a perdita d'occhio.. Ma il brivido più intenso lo provo quando la vista sale verso l'alto, verso le cime innevate e impervie per me, abituata ad una vita là nella pianura che ora guardo dall'alto, forse più "comoda", dove non avverti mai la preoccupazione del doverti scaldare in inverno..o come fare se va via la corrente, se piove forte..oddio...entra acqua dal tetto!..ma il silenzio..il lento scorrere del tempo..la dolce tranquillità che ti fa riflettere...pensare che questo è il tempo migliore, il modo migliore, per provare se stessi... Alle volte penso: ma ce la farò a vincere le mie paure? del vuoto, della solitudine, del silenzio, della vita magari più scomoda, ma senz'altro più vera, reale, a misura d'uomo che qui si respira.. sempre. E ritrovo i sapori e profumi dell'orto (questi si della mia infanzia), la gioia di farli riscoprire a chi viene a trovarci, la gioia di respirare sempre a pieni polmoni l'aria fine e fresca di montagna, gli odori della stalla, così antichi e vivi, intensi.. il chiocciare allegro delle galline quando gli porti da mangiare e il diverso richiamo che ti avvisa dell'arrivo di un regalo, prezioso e sempre unico: l'uovo fresco!.. qui, a contatto stretto con la natura, ogni giorno è differente.. qui, se vuoi, c'è sempre tanto da fare, ti senti utile e senti che la montagna ti accoglie, ti "adotta" senza condizioni, ti accetta come se ti conoscesse da sempre, la paura per la montagna..si...è giusto averne timore e rispetto (come diceva sempre mio padre: "bisogna darle del Voi"), ma bisogna provare davvero vivendola e la paura lascia il posto allo stupore, al reverente rispetto del suo sapore antico ed eterno che ti porta a guardare su, in alto, verso il cielo e a ringraziare Dio... le parole del nostro amico Ale trovano conferma nel mio cuore..

Bea.

giovedì 12 agosto 2010

La montagna e l'uomo




Da sempre è un rapporto complicato quello che lega l'uomo e la montagna. Non so perchè io fin da piccolo ho identificato in essa il pilastro della mia esistenza. Ci sono delle montagne che considero come delle vecchie zie eleganti, tenebrose, ma mai troppo severe.
L'uomo le ha scalate, abitate, scavate e fotografate ma forse non le ha mai capite e ancora oggi qualche volta se ne sentono le conseguenze nelle notizie al telegiornale.
L'altro giorno sono salito su fino alla punta del Becco, passando dal Cucco e dal Cimone, in cresta.
Scalare una montagna è per me paragonabile alla difficoltà di amare una persona, alcune sono semplici e istintive, altre devi saper vincere le tue paure, nel mio caso quella del vuoto, per provare emozioni uniche ed irripetibili.
Il mio amico Franco sostiene che la montagna costituisca riparo per l'uomo. Senza ombra di dubbio, ma mentre salivo pensavo a quante volte in 26 anni i miei occhi hanno guardato quelle cime ricoprirsi di neve e poi lasciare spazio alla primavera, quante volte mi sono chiesto come fosse lassù ed ecco che dalle nuvole, passo dopo passo ci sono. In un attimo e per un solo istante il cielo si pulisce e appare la Valle sotto ai miei piedi. La testa quasi mi gira e il cuore batte fino a salire in gola. Che spettacolo unico, sono arrivato fino a qui e ho vinto le mie debolezze. Mi siedo e penso a quanto siamo piccoli rispetto all'immensità che ci circonda e allo stesso tempo a quanto riusciamo ad essere dannosi ed indigesti per questo pianeta meraviglioso. Il tempo passa e la paura sembra lasciare il posto alla sicurezza, a quel sentirmi a casa che mi accompagna da sempre in questo viaggio che è la vita. Sono qui sulle "mie" montagne e da qui vedo i luoghi del passato, la valle, i giochi di bambino, i nonni che mi hanno saputo far diventare grande affidandomi a queste pietre che non mi hanno mai tradito, deluso... loro no. Ho imparato tanto quassù e oggi sono andato ancora più in alto, più vicino o più lontano? dipende dal riferimento.
In un attimo il cielo si chiude: "fine dello spettacolo", sembra dirmi la montagna, "hai visto abbastanza, ora vai a casa e non ti dimenticare di questa prospettiva."
Scendo piano piano con lo stesso rispetto che c'è fra un domatore ed un leone e cascina dopo cascina abbandonata penso perchè siete andati via? perchè laggiù? Tornate qui, qui con me e ripartiamo insieme a costruire qualcosa per cui valga la pena vivere davvero, qualcosa che se un giorno qualcuno dovesse chiedermi: "Perchè hai vissuto?" io possa rispondere fiero qualcosa di concreto.
La discesa è veloce, in un attimo la cima è fra le nubi e guardo con invidia quelle pietre in cresta che sono sempre lassù, non si muovono e immutate ai miei occhi, anno dopo anno, secolo dopo secolo, assistono impassibili ma lontane al macabro spettacolo che gli si prospetta davanti e forse, nelsilenzio della montagna, ridono di noi.