lunedì 17 maggio 2010

Osservazione empirica o Altro? (Pensieri brevi dedicati ad Alessandro)

L'osservazione empirica si svolge sempre su entità che mutano, cioè su entità individuali o gruppi di entità individuali, delle quali - tutti i filosofi ne concordano - non si può dire che sono ma solamente che diventano e si evolvono.
Si ricorderà il panta rei di Eraclito, e l'altrettanto celebre "non ci si bagna due volte nello stesso fiume". Prima e immediata conseguenza, non si può dare una legge permanente fondata sull'impermanente. Sull'impermanente e dell'impermanente non si può che ricavare leggi provvisorie, di durata limitata e mutevole nel tempo. Sia che tali leggi riguardino la natura, sia che riguardino la società, la cultura, il "convenzionale". Controdeduzione: si vero, ma d'altro canto, se non si vuol ricorrere a forme "irrazionali" di pensiero, ci si deve accontentare, non sarà una forma di conoscenza definitiva, ma l'unica e la migliore possibile. (Che strano, si dice più o meno la stessa cosa anche quando si vuol difendere la democrazia! Sarà una coincidenza?)
Seconda conseguenza, il paradosso o meglio la paradossalità (argomento di ascendenza scettica): siccome si nega la validità della conoscenza empirica partendo dal "fatto" empirico del ragionamento a partire dall'esperienza in realtà non si fa altro che confermare la validità dell'osservazione empirica.
Non a caso Platone poneva la geometria a base della dialettica, del suo argomentare. Non c'è altro esempio più eloquente per parlarci della dimensione non empirica. Se noi consideriamo un segmento, (e trascuriamo retta e semiretta che implica il concetto di infinito, concetto antiempirico per antonomasia, ed è piuttosto curioso che venga accettato dalla conoscenza empirica moderna senza batter ciglia!), definito come ente geometrico ad una sola dimensione, non ha in alcun modo un'esistenza empirica, perchè per quanto appiattito su una dimensione, qualsiasi segmento nella "realtà empirica" sarà sempre un rettangolo. Esattamente come il punto, lungi dall'essere un ente geometrico privo di mensioni, nella "realtà empirica" possiede almeno un raggio, verosimilente una pluralità di raggi. E cosi via di seguito. Empiricamente, potremmo affermare che la geometria non esiste. Non va confuso il paradosso (ragionamento) con la paradossalità (sensazione empirica imprevista). E paradossalità a parte, la geometria esiste, come esistono i geometri e gli appezzamenti di terreno rettangolari, con tutte le altre forme di geometria empirica.
Il paradosso, invece ci sia, come attraverso un ragionamento si possa passare attraverso una "via d'uscita", una "via di fuga" (dal mondo della contingenza empirica, dimensione comunque legata al tempo). Bene dice sant'Agostino, vescovo d'Ippona, che il Tempo è una creazione, e che si colloca quindi in relazione ad un gesto creatore "precedente"; ma cos'era il Tempo prima del tempo? Non esisteva dice semplicente. Ma se è vero quello che dicevano gli Antichi (e non i vecchi) che "il simile conosce il simile", Agostino doveva avere un'altissima considerazione di sè, per poter affermare, assimilandosi a Dio, che cosa era o non era il Tempo prima che fosse!
Il paradosso, con maggiore dignità teoretica, consente al ragionamento (lògos) di poter infrangere i suoi limiti, purchè si prosegua fino in fondo nelle conseguenze. E quando le cose si fanno difficili da credere, la conoscenza automaticamente si fa democratica e quindi empiricamente verificabile, da tutti e in pubblico. Oggigiorno la televisione, agorà telematica, la piazza, la maggioranza è tenuta per essere la più indiscutibile fonte di verità. Quando la verità necessariamente divorzia dall'utile, dalla confortevole verosimiglianza, allora ad accoglierla rimangono in pochi, arìstoi, pochi e coraggiosi, gli aristocratici.
Parmenide conosceva bene questa "via di fuga" e la cripta nel linguaggio poetico del mozzo infuocato del carro che porta in cielo, come il carro di fuoco di Elia, come il Sole (fuoco dell'elissi orbitale astronomico) del Cantico di Frate Francesco, che "dell'Altissimo porta elevato significatione".
Ci fa un po' sorridere il noto "paradosso" di Zenone, allievo di Parmenide, di Achille, piè veloce, raggiunto da una tartaruga. Ma proviamo a geometrizzare il carro dal mozzo infuocato. La velocità periferica del cercio (la ruota) è in proporzione diretta con il raggio. Maggiore il raggio e maggiore la velocità; minore il raggio e minore la velocità. Immaginando che il raggio si riduca sempre più, la velocità si ridurrebbe sempre più. Una ruota con un raggio infinitamente piccolo pur ruotando rimarrebbe ferma.
E dunque, Eraclito: per me l'alto er il basso, la via in discesa e la via in salita, il freddo e il caldo ecc. "sono la stessa cosa". Effettivamente essi vivevano in una dimesione non è quella empirica, cui la modernità ci ha abituati tutti.


La continuità del tempo è un'abitudine umana, una sua consuetudine a considerarsi immodificato un utile e confortevolo modo di accepire la verità. E così si finisce per credere in ciò che non è, e non sarà mai, al contrario di "ciò che è e non può non essere". Aristotele, "le cose eterne non sono nel tempo". Il centro della ruota punto fermo nella ruota che gira a velocità, nel linguaggio aristotelico, corrisponde al "motore immobile" o "motore primo".

Ma ahimé! caro Alessandro (e tutti coloro per cui queste righe rappresentano un interesse) ora dobbiamo prendere atto di un fatto consolidatosi nel corso dei secoli. La metafisica e la fisica, invece di continuare a rappresentarsi come albero e frutto dell'albero si sono capovolte e dalla fisica si pretese di far nascere la metafisica, finchè sembrò un'operazione priva di senso e utilità e si preferì abolire o non riconoscere dignità "scientifica" alla metafisica.
Il Rinascimento - termine altamente parodistico - rappresenta così, per mano di Raffaello, la Scuola di Atene nella prospettiva spazio-temporale che conosciamo. Dimentico ormai del monito dantesco: "nè prima né poscia procedette/lo discorrer di Dio sovra quest'acque" (Paradiso, XXIX, 20-21). E che dire poi che il Rinascimento! Nell'opinione dei più, considerato parte fondante della tradizione dell'Occidente, nonché della cultura italica, non è forse un'ironia della Sorte? Quei pensatori di Atene, greci perlomeno, che cercarono una "via di uscita" furono incarcerati nel tempo da cui volevano evadere dal civilissimo Rinascimento. Appunto civile e anti-Tradizionale! Il sapere empirico-democratico non è quello che ha causato tutti quei guai che tu giustamente lamenti, ma il suo ribaltamento rispetto al sapere Altro si, l'aver scambiato l'albero con il frutto si, quello si.
E non si riflette mai abbastanza quanto il denaro e le banche (il fiorino) del Rinascimento, abbiano "disviato le pecore e li agni/però che ha fatto lupo il pastore". Cioè i custodi del depositum fidei abbiano tradito la loro missione, svenduto le parole che Cristo ha affidate a Pietro affinchè le conservasse e le trasmettesse invariate. Invece, dal Krìstos nemico giurato dei mercanti nel Tempio a Cristo mercante e usuraio egli stesso, dal provvido Pastor di Roma sollecito verso il suo gregge al lupo famelico predatore, ce ne corre. Chi ha in mano l'usura ha un mano Roma, caput mundi e non da oggi a proposito di globalizzazione. Se guardiamo all' "attuale" crisi, la storia a ben guardare si ripete.
Lasciato l'Occidente orfano di un collegamento con la Tradizione, gli uomini della cristianità pervertita "tornan dal pasco pasciute di vento", di televisione e di partitocrazia corrotta fino al midollo. "Vaneggia" e vermicola indegno, incapace di risollevarsi coi suoi mezzi empirici, ma continuamente alimentato "di vento" che lo rende troppo orgoglioso per rivolgersi al suo "Sommo Fattore".
Quanto a me, se penso alla parole di W. Blake "L'uomo guarda all'albero, all'erba, al peswce, alla bestia, raccogliendo le parti sparpagliate del suo corpo immortale... Dovunque cresce un'erba e spunta una foglia, si scorge , si ode, si percepisce l'Uomo Eterno, con tutte le sue sofferenze, finchè egli ritrovi la sua antica beatitudine", penso ai monti del Tracciolino, alla oramai incolmabile "lontananza" che mi separa dall'insania padana, dai traffici usurari che come mostri insaziabili tramano la chimera di un sempre Nuovo Rinascimento prossimo a venire, e dalla più cinica indifferenza che chiamano progresso. Lo vedo dal monte, sotto i miei occhi, tutte le volte che guardo giù. Indimeticabile quell'Empedocle, orfico: "Ci fu un tempo in cui fui fanciullo e fanciulla, arbusto e uccello e pesce ardente balzante fuori dal mare". La stessa distanza che separa l'identificazione del sè con l'Uomo Universale (nella vulgata la reincarnazione) dall'evoluzionismo, frutto esplicito e ben chiaro, per chi ha occhi per vedere, del Rinascimento.

1 commento:

  1. Questa digressione filosofica ha riportato alla luce la spolverata di nozioni scolastiche che mi sono state impartite nel tempo. Ci sono tematiche come il ruolo del Rinascimento e l'usura che meriterebbero un blog a parte, tuttavia mi voglio soffermare sulla teoria empirica che è stata la scintilla scatenante. Non ho mai detto che questa sia uno dei pilastri fondanti l'intera esistenza umana e pur consapevole del fatto che "tutto scorre" credo che ciò avvenga molto spesso con una velocità tale rendere alcune teorie valide nel tempo se rapportate alla breve esistenza umana.
    Nello specifico mi ero riferito ad un modello di vita coniugale vissuto secondo criteri del tutto inaccettabili per la mentalità nprogressista ma che in pratica è l'attuazione dei modelli teorici in cui fermamente credo in contrasto a tanti altri che mi vengono quotidianamente spiattellati in faccia e che poi vedo stridere e cigolare come la ruota della carriola. Concludo con una domanda: non è forse questa una rilevazione empirica che può essere riportata nel tempo anche se tutto scorre?

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