lunedì 20 giugno 2011

Oggetti metafisici stesi ad asciugare.



Può accadere che ci si prenda qualche ora di libertà e si vada a fare i classici 'due passi' su per la montagna. Si può dire che da che vivo in (la) montagna, non 'vada' più in montagna. Per sentieri, per rifugi.
Voglio dire che posso cogliere con maggiore chiarezza questo scarto semantico, tra l'esserci e l'andarci.
Certo l'aver da governare capre, pecore, e altri animali, prati e boschi, contribuisce, con le esigenze che comporta, al cambio di prospettiva. Ma non vorrei, percorrere la solita strada materialistica, per piegare lo spostamento del punto di vista. Non vorrei dire che se, in pratica, non faccio più 'turismo' o 'escursionismo' -termini che a ben guardare distorcono il significato vitale della montagna, per trasformarla in una specie di campo da golf dalla natura addomesticata e solo un po più inclinato - e lo stesso vale anche, tutto sommato, anche per l' 'alpinismo'.
Sembra paradossale ma è così. L' 'alpinismo' non ha molto a che vedre con le Alpi.

E l' 'escursionismo', troppo spesso, si identifica con l' 'incursionismo'. Vale a dire, con l'invasione di trekkers, camminatori, alpinisti, bikers, joggers, buone famigliole e pensionati, giovani impegnati e spensierati su rumorose moto da cross, golosi in cerca di polenta e salsicce, (magari con il sogno di vedere un capriolo ... nel piatto servito caldo a tavola), innaffiato in abbondanza di 'rosso'.

L'altra domenica, assolata dopo tanto tempo, una nuova ondata ab chaos dalla pianura ha spinto su persino una coppia di venditori ambulanti marocchini di scope, inquietanti molto al di là delle loro intenzioni e possibilità, forieri infausti e involontari, testimoni coatti del nichilismo avanzante, che erode margini e penetra sempre più in profondità.

Per questa estate mi aspetto dei venditori di cocco africani.

Ma c'è un controcanto. Il controcanto, l'antidoto.

La montagna ospita ancora il potere incantatorio, fascinoso e medicamentoso per l'uomo moderno, stanco e ferito, forse di più, vulnerato nei centri vitali.
Ma bisogna saperli leggerli questi messaggi. E per leggerli occorre fermarsi, fermarsi sopra, soffermarsi.


Come quando, sul finire dell'inverno, con Gigi, l'amico fotografo, che silenzioso, come un'ape operosa, macina sempre idee, rimugina intuizioni, segue indizi che ai più sfuggono o sembrano solo accenni, sedimenta nel rumine fili sottili con cui dà forma alla sue immagini, ci imbattemmo in una cascina, sopra la nostra, abbastanza ben esposta al sole, ma oltre quota mille. Volevamo vedere un vecchio amico malgaro che qui vive, certo non ci viene a prendere l'aria fresca, ormai rimasto solo, della sua gente, a portare il testimone di una vita antica, a reggere il peso di 'vivere' la montagna, senza mai 'andarci', venendo da 'altrove'.
Ma aveva profittato della bella giornata di sole, per fare 'due passi', come noi, a sua volta, era andato a far visita ad un'altro 'vicino'.
Le mucche quiete, pigre, nella stalla sonnecchiavano. Sazie. Il suo semplice bucato, di uomo solo, rimasto solo, sopravvissuto, col patrimonio di esperienze che il suo cuore e la sua mente ancora ben lucida contengono, era disteso al sole. Quasi a voler profittare di quel bel sole invernale. Il pudore dell'indumento intimo, la sua familiarità, la sua quotidianità, avevano il sapore del pane fresco. Immobili, pendevano quei poveri panni che intenerivano per la loro semplicità. Il senso di protezione, caldo delle lane, come il bacio umido della madre premurosa, nel rigido inverno, quando alla sera il vento taglia la pelle del volto.
Molto più capaci di quanto saprei descrivere, questi panni ci fanno sentire quasi degli intrusi, intimiditi.
Immobili stavano come un dipinto antico giapponese, sottile, tra l'aria gelida ed il sole caldo, in quell'ora, ad alternarsi.
Un bucato che assomigliava ad un quadro di Morandi. Una natura morta in cui è concentrata la vita. Una vita che scorre senza tempo. Che fissa l'eterno, senza sforzo. Che ci lascia il rimpianto al solo pensiero che nessuno più, dopo di lui, saprà comporre con oggetti quidiani e semplici, un'armonia pregna di cose imperiture, come, appunto, il profilo dei nostri monti.
Uomini, irripetibili, che ancora ruotano intorno al loro centro, stabili, fermi e rotanti sul loro asse come fossero immagini della Grande Ruota dell'Univeso. Attaccato ai suoi umili panni, alle sue odorose mucche, che cedono il loro odore ai panni stesi e indossati, ai legni rinsecchiti dal sole, ai cibi di cui si nutre, in un silenzio che sa di latte, custodisce ancora il segreto, l'indicibile. La loro vita scorre come una danza, non un passo è fuor di posto. I gesti si ripetono incantati, con i ritmi delle geneazioni, delle stagioni. Appresi senza studiarli.


Non come quei disperati della domenica. Fragili esseri senza memoria. In fuga da paure incontrollabili. Dal futuro consunto, prima ancor che inizi. Un presente fatto di sgargianti illusioni. 'Vengono' in montagna, guardano, ma non vedono.

Sfugge il bello della montagna, i loro occhi non più san vedere oltre, al di là. Ci si ferma alle forme visibili, all'esteriore. E rimaniamo imprigionati nell'idea che siano cose vecchie, desuete, oggetti consunti e da sostituire con nuovi. Agli occhi dei malgari, pastori solitari, pare naturale loro invece che siano Altro, oggetti metafisici, ed ironici, lasciano a noi, il sentimentalismo.

Forse anche per questo ci sembrano tanto estranei. Li teniamo a distanza. Li temiamo.

8 commenti:

  1. Franco, hai colto intelligentemente una contraddizione evidente che esiste nel trekking e nell'alpinismo: paradossalmente tanta gente che va sempre in montagna la domenica, non l'ha mai vissuta in realtà, o non capisce il senso profondo di quello che vede. Un mio caro "vecchio" amico, che si chiama Franco come te e ambientalista sui generis, dice appunto che la natura può essere capita integralmente solo da chi è vissuto nell'ambiente rurale della montagna, sopportandone anche tutta la solitudine e i disagi "materiali" che questa comporta. Anch'io sono un "trekker", se vogliamo, ma il fatto di viverci in montagna, anche se saltuariamente negli ultimi dieci anni, mi ha fatto vedere le cose con occhi diversi... e allora può capitare che invece di affannarmi verso la cima per rispettare le performance sportive, mi soffermi a contemplare una grotta antica abitata dai pastori o una fioritura primaverile. L'escursionismo e l'alpinismo oggi spesso diventano solo prolungamenti di abitudini cittadine e corrono il rischio di venire plasmati dalla stessa logica massificante dei ritmi cittadini. Proprio ieri con l'amico Vincenzo A. ci è capitato di fare un'escursione guidata verso il Corno Grande: la cosa che più mi ha disgustato è stato vedere le cabinovie che portavano masse di turisti in montagna: addirittura hanno realizzato le entrate come quelle della metropolitana, dove passi se hai pagato il biglietto. Poi bar e ristoranti in alta quota, e gente che stava in costume a prendere il sole sotto la cima solenne del Corno Grande. Si è resa questa parte del Gran Sasso accessibile a tutti: la cabinovia permette a tutti di risparmiare le ore di camminata e così la cima può essere conquistata da tutti, e compatibilmente con le proprie esigenze di consumatore ricerca ogni confort. Ecco come si sputtanano le due cime più belle de Gran Sasso. Se non ritroviamo il senso di ascesa "spirituale" dell'alpinismo, fatto di azione e contemplazione,di solitudine e silenzio, come nel libro di Julius Evola che tu hai apprezzato, l'alpinismo diventa invasione delle tendenze modaiole della città. E allora, come dici tu, capisce il senso profondo della montagna più un pastore o un vecchio cacciatore che non ha mai conquistato nessuna cima... La montagna non è solo cime e pareti, o meglio è anche questo certo, ma è il vissuto di storia e cultura che la caratterizza: montagna sono i vecchi sentieri dei pastori, il bosco anonimo frequentato da nessun turista, è il paesino che sta a valle, sono i pascoli e gli orti, la vita del contadino che si svolge attorno ai cicli della natura,sono i colori delle valli d'autunno e di primavera, è la solitudine e il disagio dell'inverno, con il freddo e la neve che ti costringono a stare in casa, è fare legna per l'inverno, è raccogliere i frutti del bosco e assistere ad un tramonto dal cortile della propria casetta...

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  2. Caspita,Franco, che racconto meraviglioso hai scritto.Mi ci è andato un pò a leggerlo è tanto lungo,ma mamo mano mi incitava ad andare avanti e mi è piaciuta la sensibilità della vita trascorsa di un anziano che a sue fatiche continua ancora,ripulendosi i suoi abiti che lo accompagnano.Già questi abiti che noi giovani siamo alla continua ricerca del jeans attilato, basso di vita,dello slip che furiesce e la borsa e le scarpe che si abbinano,mentre lui,il tuo amico margaro aveva steso i suoi soliti pantaloni,uno in più per il cambio,ma che altro gli può servire se non la salute di andare avanti? Noi ci perdiamo in niente mentre lui ha capito e imparato che il dono più prezioso è proprio la salute e con essa accetta tutto anche la solitudine e si rassegna nel vedere come siamo cambiati.Si rassegna perchè è ancora vivo e può godere dei suoi doni,quelli indispensabili alla vita e regalati dalla natura:acqua-aria-sole.
    Solo?,si di noi,ma non degli elementi naturali,sarà maestro nell'ascoltare il vento e prepararsi agli eventi,saprà a memoria il percorso di un torrente e ascolterà il suo fruscio e saprà quando apparirà il sole e quando sdraiarsi nella sedia a dondolo cigolante risparmiando un pò sulla legna raccolta.Fantastica la montagna,non sono una escursinista,non ho mai scalato una montagna,non ho mai fatto trekking,ma ho camminato anticamente ed esclusivamente con le mie gambe.Scarponcini ai piedi zaino a spalle e via per i sentieri più stretti e irti,amando quell'aria limpida che solo la montagna sa dare e apprezzare i ruscelli che incontravo nel cammino e curiosare le baite disabitate per catturare un ricordo di chi ci ha abitato.
    Giungere in cima e vedere ancora la neve non sciolta e abbandonarsi in oblio di pace.Quanta serenità.Riscendere e scoprire un campo verde fiorito e domandarti com'è possibile se sopra c'è la neve e accorgerti che mentre cammini in quel prato c'è una cappella,all'interno una statua rappresentante la Madonna,davanti ad essa un vaso colmi di fiorellini freschi e di nuovo sei perprellessa e ti chiedi che ci fa qua una cappella in un luogo sperduto?e chi gli viene a mettere i fiori?Ero una bimba quando vedevo queste cose,e non capivo bene,ma i miei ricordi sono riaffiorati a galla ed ora penso che erano le mogli dei margari.Ora per motivi seri non vado più in momtagna e ammetto che mi manca molto,mi accontento di aprire la finestra e di vederla da lontano e di farla notare sino alla nausea ai miei figli della sua esistenza e al più piccolo di quattro anni fingo in una giornata bella di sole dove si vede bene anche dal cortile di vedere i sette nani e così intoniamo la loro canzone,si può amare anche da distanza basta saperlo fare. Ti chiedo scusa Franco se mi sono intromessa ma era davvero molto bello.

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  3. Caro Indio,
    grazie per il tuo intervento di commento. Vi penso, te e Vincenzo, erranti per i monti del centro Italia e del Sud. Pellegrini dell'Ansia, come ci chiama Serrano. Sempre alla ricerca dell'Oasi, un porto, un ostello, che porga riparo alle aridità desertiche delle metropoli.
    Hai colto la vera essenza del silenzio della montagna, rotto solo dai campani delle tue bestie, dall'acqua e scorre perpetuamente e come latte fertilizza l'ingrata e pervertita pianuta, dove lo scempio dell'uomo e sull'uomo domina sovrano, dove si sono divorate speranze e purezze.
    All'improvviso il crepitio dell'accetta che, in agosto, fende la legna per l'inverno. Anzi dove l'inverno non finisce mai.
    Quando smetti di accendere la stufa, ti accorgi che stai già iniziando a preparare la nuova scorta per i prossimi giorni freddi, che non si quando, ma verranno, e anche molto presto.
    Il caldo afoso della grande pianura, quello che ti riempie i polmoni di acqua e non ti lascia più respirare, mi giunge solo tramite la televisone. E mi basta. Di giorno, e sicuramente la sera, un paille è d'obbligo.
    Il silenzio e il freddo (che verrà), lo sappiamo è solo relax e frescura per chi vien in montagna e sta in superficie inclinate, instabile, ma sicuro di se, delle sue certezze ingannevoli. In fondo, crede sempre di essere ben piantato sulla terra, o di averne, almeno, diritto. Ma lo sappiamo che non è così.
    Dunque, silenzio pieno di voci, freddo di raccoglimento, ritmi cosmici che si elargiscono nella solitudine della tua malga.
    Quel senso di precarietà che ti afferra costantemente, qui a viso aperto, giù dissimulato in mille oblii, e ti porta a chiedere ma il prossimo inverno, ce la farò? Riusciro a traghettare il mio corpo fino al prossimi smeraldi primaverili?
    Questo non è mai scontato qui, come l'equilibrio dei tuoi passi, in ogni momento è sotto inchiesta.
    Ciò che fa la differenza, dunque, è il sacrificio, il rifiuto dell'erto passo, il ripudio del verde perenne della piana, ormai stuprata a morte e catramata di cementi orizzontali e verticali. Persa, in altre parole.
    Montagna, caro centro, in cui la vera vita si preserva, lotta quantomento e gioia ogni momento di quotidiane vittorie. Amplessi quotidiani con la grande Madre-Madonna Nera, dove la vita si rigenera e di continuo si misura con l'infinto. Si scopre un nulla, mentre scopri anche che il vero Vivente è fuori di noi, almeno quel noi stessi sensibile e macroscopico, che però la fa da padrone.
    Grazie ancora Indio. Credimi non sei più un 'trekker', forse senza neppure accorgerti, forse senza volerlo,...forse sei diventato anche tu un Pellegrino...

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  4. Grazie a te Karol,chiunque tu sia, che hai avuto la pazienza di leggere e rifletterci su: una prassi sempre più rara!
    Non devi affatto scusarti per la 'intromissione', che tale non è. Ma al contrario, sii la benvenuta o il benvenuto ed i tuoi commenti pure, credo senz'altro possano essere un'occasione di arricchimento.
    Certo che si può amare anche da distanza, guai se cosi non fosse.
    Non mi stimo abile nello scrivere. Ma fin da ragazzo mi accanisco nel frequentare la riflessione, nel pensare, nel rifinire le idee, anche magari a distanza di tempo. Forse anche in modo patologico o anomalo, per me e per chi mi sta vicino. Ma tant'è. E questo ha contribuito certamente a farmi come sono. Può darsi, che dia l'impressione di una persona che sa 'tenere in mano la penna' ma credo appunto che si tratti più di un'impressione.
    Come avrai visto, qui più che di montagna si parla di 'verticalità'. E' la dimensione assiale che conta. In buona parte, ciò che si va dicendo sulla montagna, forse si potrebbe dire anche di un albero. Se si potesse viverci sopra,beninteso!

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  5. Grazie per l'accoglienza,Karol sta per Carolina,sono una mamma di tre bambini e mi voglio mantenere uno spazio mio che è la passione di scrivere.Un'amica mi ha consigliato di passare da voi,ma ho avuto paura,perchè non sono istruita come te e altri e temevo di ridicolizzarmi,ma la passione,mi ha spinto a provare e sono stata lusingata nel vedere che hai accettato i miei commenti,grazie senza volerlo mi hai regalato una bella soddisfazione,almeno ora sai con chi comunichi,una mamma umile,umile,a presto.

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  6. Grazie a te Franco per le belle parole. E' sempre un piacere trovare persone che siano in sintonia con sul modo di vivere e "vedere" la montagna. E' vero, forse in realtà sono un pellegrino, senza saperlo come dici tu, uno che cerca nella montagna un nutrimento per la sua anima...anche se non ho mai usato la parola (abusata fin troppo a dir la verità) "spiritualità". Spesso ci cuciamo addosso delle definizioni, e poi siamo in realtà quello invece sfugge ad ogni categorizzazione. Martedì sono ripartito ed ho raggiunto da solo, senza dirlo a nessuno,la cima del Corno Grande, dormendo al ritorno in un antico capanno di pietra. Di nuovo io e la montagna... di nuovo ho potuto sperimentare una delle tante occasioni in cui il proprio io si immerge nella natura ritornando all'essenza del nostro mondo, agli elementi primari della montagna: l'acqua, la nebbia, la pietra, la neve, il vento. Nella discesa i gracchi corallini e la nebbia sembravano farmi compagnia e mi dissetavo dall'acqua pura dei nevai, attingendola mentre scorreva sulla roccia. Mi ritengo un uomo fortunato perchè sono sensazioni uniche queste, rischiarano la tua vita, ti elevano, ti temprano nel corpo e nell'animo, fino ad una condizione che ti fa superare l'ossessione della morte... Appena ho visto la cima mi son quasi commosso, il senso di solitudine era scomparso, ed ho pensato a mio padre, ed era come se lui in quel momento si fosse rassicurato, e lo sentivo vicino, ma sentivo anch'io la sua solitudine. A molti potranno apparire discorsi stucchevoli, sentimentali, ingenui.. ma io non me ne curo, perchè i sentimenti sono sentimenti, vengono e basta.Pellegrino chissà... Ho letto oggi un libro che parla degli antichi eremiti che vissero nelle grotte dell'Appennino centrale... anche loro fuggivano le "miserie della civiltà" rifugiandosi sulle vette . Poi ritornavano magari, fondavano ordini e cenobi e poi forse ripartivano. E forse quello che spingeva loro lassù è la stessa cosa che spinge molta gente ancora oggi (e magari inconsciamente)sulle vette e nei boschi , non lo sport o il gusto di stare in una comitiva, ma il confronto con la realtà del mondo naturale, confronto che è un bisogno dell'uomo che forse supera ogni limite di tempo e di spazio.. chissà...

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  7. Si Indio, il romitaggio non è altro che la definizione esterna ed esteriore, la descrizione della vista dal di fuori, del rapporto segreto della preghiera del cuore, con il momento d'estasi.
    Sono convinto che il tuo Pelleggrinaggio sui monti in cerca di quel "confronto con la realtà del mondo naturale" - come dici - sembra somigliare molto al mondo sovrannaturale. Il superamento del limite come dici, ancora, il brivido, il grandissimo brivido di un istante che dura un'eternità in cui il nostro essere migliore coglie la sua vera natura. Sia che si trovi in cima ad una vetta, per un pendio. O sulla via del ritorno.
    Oggi l'ho sentito, nel tardo pomeriggio, il sole ancora vivo, sudato, sul prato a far fieno, e poi nel buttarmi a terra, vinto dall'incanto dei profuni delle mille erbe, ebbro.
    Concordiamo pienamente, che il brivido di quell'attimo raramente ti coglie in pantofole col telecomando in mano, sprofondato in una poltrona ammorbante.
    Raramente gli spiriti paterni ci raggiungono e ci parlano in circostanze di ottundimento moderno.
    I Pellegrini dell'Ansia vagano in cerca delle loro visioni, le ricercano come si trattasse di un'Amante segreta che ci visita nella solitudine di un contatto, a volte basta solo una brezza. E' il grande brivido del divino.
    Qualcosa ti avrà detto lo spirito del Padre, non importa magari se non l'hai colto quella volta. Perchè sai che intanto presto tornerà, presto lo incontrerai di nuovo.

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  8. "I Pellegrini dell'Ansia vagano in cerca delle loro visioni, le ricercano come si trattasse di un'Amante segreta che ci visita nella solitudine di un contatto, a volte basta solo una brezza. E' il grande brivido del divino."

    Ecco Franco, è proprio quello che volevo dire e che tu hai subito espresso felicemente: è un brivido, un attimo fuggevole, non capita sempre, è una sensazione sublime che ti colpisce dentro e che spesso ci fa commuovere di gioia...
    Ciao e a presto
    Indio

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