martedì 15 giugno 2010

Smarrimenti antichi...

Vi è un fatto che non può non colpire ogni persona che studi seriamente la storia del cristianesimo, vale a dire l’assenza pressoché completa di documenti riguardanti l’uomo la cui importante religione porta il nome, e cioè Gesù Cristo.

Le origini di Gesù sono rimaste e, probabilmente sono destinate a rimanere, avvolte dal mistero. Ma a guardare bene, anche quelle che riguardano Maria, sono altrettanto misteriose o, se vogliamo, miracolose. Uno dei Vangeli canonici ci dice che fosse la figlia di Gioacchino e di Anna, quando aveva superato l’età della maternità; in altre parole, sarebbe, pure lei, nata miracolosamente – o molto semplicemente una ragazza adottata da Anna e Gioacchino nella loro vecchiaia – fatto che non chiarisce gran ché sulle sue origini.

Uno dei numerosi Vangeli “apocrifi” –rifiutati dalla Chiesa – attribuisce la paternità di a un soldato romano, distintosi per la sua bravura e soprannominato, per questo motivo, “Pantera”. Un “Ben Pantera” viene pure ricordato nei Toledot Jeshua, scritti ebraici polemici dei primi secoli e successivamente tramandati.

Ma vi è qualcosa di molto più sconvolgente. Si sono scoperti, non molto tempo fa, dei manoscritti d’un importante convento della setta degli Esseni, si trova appena a trenta chilometri da Gerusalemme. Queste manoscritti coprono un arco di tempo che va dall’inizio del primo secolo prima di Cristo alla seconda metà del primo secolo dopo.

Vi si parla, già sessanta anni prima della sua venuta, di un grande Iniziato o Maestro spirituale – un “Maestro di Giustizia” – di cui si attendeva un giorno il ritorno.

Della straordinaria carriera di Gesù, delle sue innumerevoli e miracolose guarigioni, del suo insegnamento durato tre anni in mezzo alle genti di Palestina, della sua entrata trionfale a Gerusalemme, ci si narra cosi brillantemente nei Vangeli canonici, del suo processo e della sua crocifissione (accompagnata, secondo i Vangeli canonici, da avvenimenti talmente sorprendenti, come un terremoto, come l’oscuramento del cielo alle tre del pomeriggio, e la volta del Tempio si sarebbe squarciata da sola in due), non viene detta una sola parola sulle testimonianze di questi asceti – uomini eminentemente religiosi che tali avvenimenti senz’altro avrebbero dovuto interessarli. Sembrerebbe che, secondo questi “manoscritti del Mar Morto”, dunque così importanti per la ricostruzione storia dell’ambiente culturale in cui nacque il Cristianesimo, che Gesù non avesse suscitato impressione alcuna su quegli spiriti del suo tempo, eppur così avidi di saggezza e così informati, come sembra si possa dire di coloro che vivevano nel monastero in questione. Oppure, se si ritiene improbabile questa ipotesi, si potrebbe anche pensare che … semplicemente Gesù non sia mai esistito!

Per quanto sconvolgente possa sembrare, questa conclusione deve essere posta al pubblico, in particolare al pubblico cristiano, dopo le recenti scoperte.

Per ciò che concerne la Chiesa cristiana, tuttavia, il cristianesimo in quanto fenomeno storico, e il ruolo che ha giocato in Occidente e nel mondo, la questione è importante come l’aria che respiriamo. Perché se Gesù è vissuto ed ha predicato, non è lui il vero fondatore del cristianesimo, come si presenta nel mondo. Se fosse veramente vissuto, Gesù sarebbe stato un uomo “al di sopra del Tempo” il cui Regno – come egli stesso ha detto a Pilato, secondo i Vangeli – non era “di questo mondo”; tutta la sua attività, tutto l’insegnamento, tendeva a dimostrare, a coloro che non sono soddisfatti di questo mondo, una via spirituale attraverso la quale potessero sfuggirne e trovare, nel loro paradiso interiore, in questo “Regno di Dio” che è in noi, il Dio “in spirito e in verità” che cercavano senza conoscerlo. Se è veramente vissuto, Gesù non si è mai sognato di fondare un’organizzazione temporale – e men che meno un’organizzazione politica e finanziaria – quale la Chiesa cristiana è divenuta nel tempo, e anche abbastanza in fretta a guardar bene.

La politica non lo interessava. E, odiava i ricchi, era un nemico così determinato di ogni commistione tra denaro e questioni spirituali al punto che certi cristiani hanno, a torto o a ragione, visto in ciò un argomento a sostegno della tesi secondo cui, contro tutti gli insegnamenti della Chiese cristiane, eccezion fatta per la setta dei Monofisiti che ammetteva la sola origine divina del Cristo, non fosse di sangue giudeo.

Il vero fondatore del cristianesimo storico, del cristianesimo quale lo conosciamo nella pratica, nel modo in cui ha giocato e ancora gioca un ruolo nella storia dell’Occidente e del mondo, questi non è né Gesù, di cui non sappiamo nulla, né il suo discepolo Pietro, di cui sappiamo che era nato in Galilea, di condizione un semplice pescatore, bensì Paolo di Tarso, di cui sappiamo che era giudeo di sangue, di formazione e di cuore e, fatto più importante, ebreo colto e “cittadino romano”, come tanti intellettuali ebrei sono oggi cittadini francesi, tedeschi, russi o americani.



Il cristianesimo storico – che non è affatto un movimento “al di sopra del Tempo” ma un’opera, in tutto e per tutto, “nel Tempo” – è l’opera di Saul chiamato Paolo, vale a dire l’opera di un ebreo, come doveva esserlo il marxismo duemila anni dopo.

Esaminando la carriera di Paolo di Tarso, gli Atti degli Apostoli ci narrano di profondi dissensi nati tra i seguaci di Gesù, in seno a quella che fu chiamata la Chiesa di Gerusalemme. Sulle diverse sensibilità tra Pietro e Paolo si è già detto, nonostante il quietismo imperante nella Chiesa cattolica e non, i due Santi siano ricordati in una “gemellarità spirituale” inesistente, ed insieme siano i Santi patroni di Roma. Ricordiamo, en passant, che nonostante Paulo o Saulo, diversamente da Pietro, non conobbe e visse a stretto contatto con Gesù, sia abitualmente chiamato l’ “Apostolo delle Genti”. Lo stesso dicasi dei rapporti, mai sufficientemente approfonditi, con Barnaba, collega di Paolo. Rapporto travagliato, che si consumò in una rottura che li spinse a prendere letteralmente strade diverse nell’opera di predicazione e che prima avevano condotto insieme.

Si può di buon diritto pensare che i dissensi in seno al primissimo cristianesimo non avessero nulla a che vedere con gli insegnamenti di Gesù. Ma fossero tutti incentrati sul rapporto che la “Novella” – in realtà una riconferma dell’immutabile Verità, che a ben guardare, proprio perché “Parola (Verbum o lògos) eterna” non avrebbe neppure il diritto di essere chiamata nuova – dovesse prendere con il giudaismo. La forma di questo rapporto verteva essenzialmente sul grado di continuità o di rottura con la cosiddetta Vecchia Legge. Insomma tra Chiesa e Sinagoga.

Sant’Agostino, e con lui tutti i Padri e gli Apologeti, presero posizione naturalmente per la Chiesa, non contrapponendo la Chiesa alla Sinagoga, ma non privilegiando il Novus rispetto al Vetus, come si tende oggi erroneamente troppo spesso ad intendere, ma un Novus confluito in Antiquus. In altri termini, riportando la Verità nel luogo che le compete, “Al di sopra e Fuori dal Tempo”, che significa fuori dalla Storia, dalla società, dai sistemi economici, insomma da tutte quelle vicende e vicissitudini, comprese naturalmente quelle razziali, che ci appaiono, a noi che stiamo nell’agone, così drammatiche.

La teologia affermatasi negli ultimi tempi, con il Concilio Vaticano II, dominata dalla luce (luciferina, direi) dell’imperativo totalmente erroneo di adeguare la Verità alla Storia (e non il contrario, vedasi ad esempio le opere meticolose e puntuali di R. Amerio, Iota unum e Stat Veritas), da cui proviene la teoria della visione del giudaismo come “fratelli maggiori”.

Fratellanza spirituale inesistente e contrastata per un paio di millenni dalla Chiesa romana (e non solo, da altrettante Chiese cristiane da pari o da meno tempo) e dalla sua Tradizione che col passare dei secoli è andata smarrendosi…

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