mercoledì 26 gennaio 2011

Uccidere o sacrificare?

Lo spunto di partenza è tratto da Sir Gauwin and the Green Knight, quindi ci riportiamo al ciclo cavalleresco bretone e all'atmosfera della Corte di Re Artù e della chèrche del Santo Graal.

Messer Galvino, la meraviglia di Camelot, raccoglie la sfida lanciata da un misterioso cavaliere, vestiti, lui ed il cavallo, completamente di verde, proprio nel momento in cui alla sua Corte Re Artù si appresti alla festosa cena della fine dell'anno. Il Cavaliere Verde metteva alla prova tutta la Cavalleria radunata chiedendo chi avesse avuto il coraggio di decapitarlo, fatto certo che passato un anno lo stesso avrebbe subito la medesima sorte per mano sua. Messer Galvino dunque accettò la sfida, benchè la possanza del Cavaliere Verde non lasciasse dubbi che avrebbe tenuto fede alla parola data.



La testa ruzzola. Il Cavaliere Verde la raccoglie e dà appuntamento di lì ad un anno. Poi, visto il coraggio dimostato da Gawain, il Cavaliere Verde non gli richiederà quel supremo sacrificio.

Si vede prima di tutto, addentrandoci solo un pochino nella simbologia del racconto dietro le suggestioni illustri di un maestro come A.K. Coomaraswamy (1), notare che il Cavaliere Verde lungi dal morire, come ci si potrebbe aspettare da un decapitato, prosegue la sua vita come niente fosse.
Questo semplice fatto ci impone una riflessione. Il testo è palesemente incurante da preoccupazioni realistiche e storiche. Il fantastico erompe nel testo. Scandalosamente. Senza testa prosegue la sua vita.
La testa di Orfeo continua a cantare dopo essere stata straziata dal corpo. Più in sottotono, addiruttura anche sul luogo dalla decapitazione di San Paolo il linguaggio simbolico, come sue solito si fa beffe, dello storicismo. Sembra quasi che le interpretazioni razionalistiche rappresentono una forzatura o una eccentricità. A meno che...
A meno che non ci si voglia fideisticamente arroccare sul dogma modernista che esiste solo ciò che si vede e tocca, storicamente documentabile ed empiricamente verificabile. E per difendere queste posizioni, si devono fornire spiegazioni irrazionali, pre-logiche, primitive e selvagge per quei popoli "non progrediti" che vivevano in preda a pregiudizi, facili delle più fantasiose ed infantili immaginazioni a fronte di fenomeni che non sapevano spiegare. Ma che in realtà, non si preoccupavano di spegare. Non erano interessati alla ristrettezza delle visioni empiriche dei moderni.
Si pensi quanto questo pregiudizio modernista abbia nuociuto quando, a partire dal primo Ottocento, filosofi e persino teologi vollero passare al vaglio della 'critica storicistica'. Ovviamente i fatti miracolosi delle molteplici vite di Gesù, le Lebens Jesus. La mannaia materialistica si abbattè con conseguenze nefaste che ancora oggi si possono toccare con mano. Il prevalesere dell' "uomo" sul "dio", sta deturpando un'antica fede religiosa in una specie di multinazionale del bonismo incapace di orientarsi negli antichi orizzonti metafisici. Infine il Concilio Vaticano II, come una pietra tombale, sancisce la definitiva perdita del piano salvifico trascendente a tutto favore di una immanenza storica.
Pastori smarriti, greggi alla sbando.

Al contrario dovremmo occuparci prevalentemente, se non solo, degli aspetti 'strani', fantastici, laddove la poesia e l'anima di tanti si condensa in unico sentire. La testa di Orfeo continua il suo canto, ben oltre la morte. Perchè?
La testa di San Paolo rimbalzando sul luogo del suo martirio, al toccare terra fa nascere tre sorgenti. "S.Pauli Apostoli martyrii locus ubi tres fontes mirabiliter eruperunt".


Le tre fonti sono ancora visibili oggi, all'interno di una chiesa.

Il tema della decapitazione può far riferimento al sacrificio primario. Il sacrificio è il solo fatto che restituisce la vita, la rigenera, la restaura. Questo spiega come il decapitato lungi dal morire, in effetti raggiunga uno nuovo stadio. Uno stadio di reintegrazione divina che l'uomo, nella sua peregrinazione terrena nel molteplice, perde o meglio si disperde in una progressivo allontanamento dalla fonte originaria, dall'unica speranza di vita vera ed autentica per l'esere umano.
"... il sacrificio vedico è eminentemente magico. La vittima assicura - scrive Pio Filippani-Ronconi - la comunicazione fra il mondo profano dei 'fatti' e quello sacro delle 'energie', e al sacrificatore si riferisce come "questo prode mortale". L'uccidere nel nome di Dio, una responsabilità evocare il nome di Dio invano.
"Nella disputa - scrive il poeta mistico Rumi nel suo Diwan - fra l’anima sensitiva e l’Ego che tiene alta la testa è detto: «il significato della decapitazione sta nell'uccidere l'anima ed estinguere il suo fuoco nella guerra santa (Jihâd.

Nel sacrificio si estingue la materialità dell'Ego. Si brucia in una silenziosa guerra interiore, molto più aspra, di qualsiasi combattimento esteriore, nell'immobilità esterna della meditazione, dentro si combatte senza tregua, si brucia il fio di esistere, il fio dell'aver lasciato la sede dell'Essere.

Sarà stato un caso. Ma qualche sera addietro, al Tracciolino abbiamo cenato in bella compagnia, tra amici. Nella silenziosa e buia sera, solitaria, circondati da spiriti favorevoli, eravamo pronti a condividere. qualcosa di nostro, di inerente alla vita che abbiamo scelto, tra i monti, lontani dal rutilante molteplicità della pianura. Sulla tavola imbandita, faceva bella figura un robusto gallo ben cucinato.

Cercavamo da tempo la forza interiore ed esteriore, le ragioni che faticavamo a raggiungere per uccidere, eviscerare, e cibarci di un nostro animale da cortile. Una vita è una vita. E tingere il suolo di sanguigno comporta colpe e crudeltà. Poi, abbiamo capito che poteva essere sacrificato per restaurare un'armonia persa. Non avremmo potuto cibarcene isolatamente. Dovevamo condividerlo con spiriti amici, spiriti che sperano di camminare sulla medesima strada. Come per nutrirci di un unico spirito, che fa crescere fratelli. E l'uccidere quel gallo è stato quello che doveva essere, un momento di sacerdotalità che ci ha tutelato dalle insidie di un evento mangereccio e gaudente e fine a se stesso; lo ha magicamente protetto in un agape di "montanari reazionari" raccolti intorno ad un sogno comune.

Quella sera non era una cena normale, c'era invisibile, seduta tra noi, Armonia.




(1) Sir Gawin e il Cavaliere Verde, Edizioni Adelphi.

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