lunedì 23 agosto 2010

Evola al Tracciolino: una resistibile ascesa.





Può tornare utile avvalerci di un lavoro di J. Evola sulla Spiritualità della Montagna (ediz. Mediterranee), per alcune precisazioni che potrebbero riguardarci molto da vicino per ciò che andiamo precisando circa Il Tracciolino dello Spirito, per tutti coloro che hano scelto la montagna come luogo di resistenza.
Va da sè che è solo per una curiosa ironia della sorte che questa espressione coincida con il relativamente recente movimento storico della Resistenza, anch'esso, come si suol dire, 'salito in montagna'. E? apena qui il caso di sottolineare, se ce ne fosse bisogno, che tale coincidenza è puramente casuale, e che in realtà sottendano significati completamente diversi, per certi versi anche contrapposti.
Per comtagna come luogo di resistenza, si intendeva fa riferimento ad una posizione discorde ed in antitesi con la modernità, una trincea di una bttaglia di mentalità, culturale e spirituale, la cui portata si sviluppa su un linea di atemporalità; viceversa con il termine di Resistenza storica, si fa riferimento ad avvinimento preciso, storico, collocabile nel tempo a partire dagli anni 1944-45 fino a protrarsi alle propagggini apologetiche sostenute dalle forze dell'onda lunga, dell'egemonia post-bellica dei vincitori, come di solito accade inevitabilmente nelle vicende storiche umane.
Ritorniamo a Evola. Nelle sue riflessioni, che risalgono a qualche decennio or sono, ma per molti aspetti ancor oggi valide, e laddove il tempo le ha rese inadeguate non è perchè si collocassero su una linea errata, ma perchè gli spunti critici cui egli accenna hanno avuto modo di svilupparsi ulteriormente, da una parte confermando la fondatezza delle sue intuizioni e dall'altra contribuento a fornire i termini per comprendere le novità verificatesi in questo campo. Per chiarirci, dagli anni '30 ad oggi, e non solo l'alpinismo, ma un po tutta la società ha subito un processo democratico e di industrializzazione acefala, in cui masse secolarizzate da un consumismo devastante erompeva sulla scena sociale a spezzare relazioni stabilmente collaudate da millenni.

Evola raggruppa in tre punti le principali attitudine fuorviate nei modi di vivere la montagna.

A) quella "lirica-poetica", che si esprime in una retorica letteraria impregnto di sentimentalismo borghese, in cui la montagna è datta di 'vedute' e di 'paesaggi' vissuti a debita distanza, lirismo parolaio romantico ottocentesco, oggi ci sembra sussistere come residuo o sotto forma di ricordo nostalgico e folclorico.

B) la visione "naturistica", frutto della crisi della civiltà, la montagna è il luogo in cui si và per 'distendersi' dagli stordimenti, dalle frenesie, delle città, per proteggersi dai meccanismi ad un tempo, razionli ed anonimi, corrisponde ad un bisogno di rigenerazione biologica-psichica, contro l'arido intellettulismo, utilitarista e conformista si scopre un misticismo primitivista e ribellistico contro la città e la cultura, per poter reimmergersi in città e cultura con energie rinnovate da questo bagno rigeneratore e naturistico.

C) quella "ascetismo ed eroismo fisico", qui le forme colte e intellettuali, in qualche modo auliche, assumo la forma dello sport, del sacrificio, del superamento dei limiti fisici, dell'atletismo e dei records, amore per il rischio, la ricerca di vie e pareti intentate, ardimento, coraggio, indomite volontà; tendenza virile che poteva contenere elementi anche positivi di ardimento che è andata spostandosi verso atteggiamenti acrobatici e spettacolari, per spingersi fino a scalare pareti di palazzi e grattacieli.

Potrebbe essere utile confrontarci con questi tre prototipi emotivi e razionali, prima di accedere ad un approccio simbolico e spirituale nuovo e diverso, decisamente contro-corrente, contro il Tempo e le terribili forze che si scatenano contro chi non si sottomette e si rassegna, contro chi complotta sia pur a livello dottrinale, ed a maggior ragione contro chi osa ergersi concretamente ad avversarlo.
Bene fa L. Bonesio a ricordarci dell'invenzione dell'alpinismo. Non è un evento naturale sempre esistito.
L'alpinismo ci appare come una delle forme distorte e profanatrici della mentalità moderna. Non a caso spesso vieme impiegati in questi contesti termini come 'conquista' e 'violazione', quasi a voler sottolineare l'usurpazione da parte dell'uomo di territori che non gi competono. Sembrerebbe più consono alla natura promiscua di terra (creta) e acqua l'ambito profano, a lui più congeniale, base necessaria di consapevolezza da cui eventualmente intrapprendere il cammino-pellegrinaggio. Un cammino ascensionale anche se fosse pianeggiante. Le dimore elevate, le vette, le cime, non possono essere la sua dimora. Al contrario vi risiedono altre forme dell'Essere, divinità di ogni specie, mostri-custodi che presidiano i valichi, fanno carambolare miseramene e sconsolatamente chi con presunzione vi si avvicina senza essersi accertato preventivamente del necessario grado di purificazione richiesto. L'uomo è per antonomasia viaticus. Se il suo cammino giungesse alla vera meta, alla Vetta, dovrebbe trascendere la sua natura umana, perforare la membrana ta l'uomo e il Super-Uomo, l'Angelo, Semi-Divinità. Dante al termine del suo viaggio che gli succede? Certo non torna indietro, il viaggio è senza ritorno. Alcuna nostalgia per la forma umana lo può e lo deve ricatturare nella sua orbita, come se fosse saltato ad un cielo superiore, alquanto inaccessibile, Dante viene assorbito nella Luce divina.
Il privilegio quindi di vivere in montagna sarebbe quello di vivere in prossimità, in vista dlla Vetta. Comeè suggestiva l'idea del romantico J. Ruskin, caso A della tipologia di Evola, quando attribuisce alle Alpi, alle sue guglie, alle sue vette, che era solito valicare ai passi in Val d'Aosta, l'intuizione costruttiva (massonica-operativa) delle maestranze medievali che si diedero all'opera delle cattedrali gotiche medievali, che nel giro di pochissimi anni sorsero un po' ovunque in Europa. Tornato nella sua Inghilterra non potè non fondare la Gilda di San Giorgio, artigiani di una Guerra Santa. Un sogno romantico è stato detto. Ma paragonate questa Europa con le Alpi nel cuore, all'Europa di Maastricht, delle banche, dei finanzieri e degli usurai, e nessuna Poeta si ergerà più a maledire questi moderni caorsini, nessun Pastore di Roma li ammonirà più, ed avrete un'idea del baratro infernale in cui stiamo precipitando.
Circondati dalla perfetta ebetudine dei nostri politici che manco si rendono conto di quanto sta succedendo. Presi come sono ad inseguire il consenso dei loro voti democratici, sempre pronti a dichiarare 'una prioritaria assoluta' l'ultima sventura accidentale. Ciechi ad una visione generale.
I costruttori medievali percorrevano un itinerario esattamente opposto a quello moderno. Essi, con la loro Opera, portvano l'immagine della Vetta alpina nelle pianure al di qua e al di là delle Alpi costruendovi, a riproduzione di quella divina, le loro Vette-Cattedrali. Noi, al contrario, importiamo nelle valli, al cospetto delle Vette, al cospetto di ciò che furono Altari Immacolati, le nostre miserie metropolitane, i nostri veleni su scala industriale, la nostra cattività nella dimensione profana, cattività definitiva, ultima, proprio perchè ce ne vantiamo come un merito, e di conseguente lo si porta avanti con orgoglio. L'inarrestabilità del progresso, come l'accumulo continuo di scorie nucleari dove pensate ci possa condurre?
Quale l'Opera dei Tempi nostri? Quale l'equivalente delle Cattedrali medievali di oggi? Quale la nostra Impresa?

"...Gli Antichi, i quali ignoravano l'alpinismo ovvero ne conoscevano solo forme rudimentali, e quindi avevano dinanzi la montagna secondo i caratteri di una reale inaccessibilità e inviolabilità, appunto per questo furono portati a sentirla secondo il carattere di un simbolo e di una trascendente spiritualità".

Curiosa questa espressione di Evola, che con Antichi con la 'A' maiuscola intende onorarli per la loro immunità verso l'alpinismo, e le altre forme sopra ricordate di deviazioni moderniste. Per poi attribuire al fatto che possedessero "solo forme rudimentali" il merito di ciò. Anzichè attribuirlo al loro carattere aureo, alla capacità che ancora intrattenevano di riflettere le Luci delle Vette, e per questo non le 'conquistassero', commette l'errore materialistico di ritenere un errore, sia pure in forma embrionale, il lievito che li condusse a vedere nella montagna "il carattere di un simbolo e di una trascendente spiritualità".
Forse la sua ansia ad improntare la storia, un'ansia politica, dell'agire in modo non 'costruttivo' ma solo 'produttivo', come un imprenditore assorbito totalmente nella sia industria di successo, ignaro che una manovra speculativa sul mercato di Londra dei futures potrebbe annientrlo dalla sera al mattino senza che se ne accorga.
Torna quindi la domanda dell'Opera. Il contrario del "Che fare?" di leniniana memoria. L'Opera è finalizzata alla realizzazione spirituale. "Il mio Regno non è di questa terra" puntualizza il Vangelo.
E ancora su questa linea da interventista della contingenza storica continua: " è essenziale che le nostre nuove generazioni poco a poco giungano ad elevare l'azione al valore di un rito". Non si capisce perchè dovrebbe essere circoscritto ad un fatto generazionale, se non si tiene conto di quanto gli stia a cuore, fio acondizionarlo, la questione 'del movimento', la presunta urgenza politica, che non è che una mascheratura della sua impazienza esistenziale di fronte al ritmo ciclico che invece la prescinde.
Associare, infine, il "valore di rito" a quanto le "nuove generazioni" potrebbero mettere in atto, rivela drammaticamente quanto la diffidenza verso la dottrina ciclica porti poi a definire come "nuove generazioni" quei soggetti che, anzichè come egli auspica, in grado di operare un "raddrizzamento" del Ciclo, al contrario il più delle volte ne sono le vittime privilegiate, quando addirittura non vengono arruolate nella file della contro-Tradizione e, per così dire addestrati, a combattere negli eserciti dell dissoluzione finale.
Qui sul Tracciolino dello Spirito, le montagne non si vedono, ma la loro presenza è costante. Tutto le ricorda. Le stagioni che tardano in primavera e anticipano l'autunno. Nel fatto che rendono le patate più amiche dei pomodori. Tutto ci ricorda della presenza benefica della Vetta.
Ultimamente l'amico Gigi, in una conversazione amichevole e libera, si confida. "Ma sai Franco, hai fatto una scelta estrema, dura, coraggiosa", un po' tra lo spavento, stupore e ammirazione. Si riferisce alla scelta di resistenza in montagna. Re-sistere, in-sistere, come stare, ri-siedere. La scelta, insomma, di vivere in montagna. Con tutta la simpatia, ma la solitudine, triste e dolorosa, sarà tua sorella. Non te ne stupire. E' l'opinione che spesso si sente. Ma quale è la vera solitudine?


Per un attimo la saggezza di Gigi sembra convincermi, portarmi dalla sua. Poi, un baleno di forza e di luce mi attraversa come una meteora la costellazione delle emozioni e si fa strada tra i pensieri. La solitudine è la vostra, non la mia (e di Bea che la condivide con me). Per prendere in prestito le parole dal poeta dico, siete voi soli, "termitai di eremiti".
Affaccendati nell'oblio, occupati a distrarvi, a di-vertere in divertimenti coatti. Consumatori di merci che soddisfano bisogni che sono sempre meno bisogni. Divertissement nel senso pascaliano, eretto a sistema politico di governo di masse esangui ed ammaestrate alla rassegnazione. Anzi peggio, spinte a credere che la distruzione sia la cosa giusta e che comunque la macchina infernale non si ferma. La Televisione come instrumentum Regni, ma come vera arma di ditruzione di massa. L'altra sera, sotto la copertura di difendere una giusta causa di maltrattamento, sento dire, in mezzo a descrizioni orripilanti, la frase: "La famiglia è la culla della violenza". La cellula vitale gabbata, se in buona fede non saprei, per quella cancerosa. L'effetto sovversivo è indiscutibile. E naturalmente era sula terza rete, quella 'rogressista'. Comunque, non spaventiamoci, sono già pronti modelli 'alternativi' di famiglia.
Consumatori di merci che sono costruite per consumarsi (ragionevolmente, secondo le 'leggi' del mercato assai presto). Più si consumano, e meno costano. Meno costano e più si comprano, e si consumano, e più sono prive di qualità. Alla fine, sono gli stessi consumatori a consumarsi. Cannibalismo, termine caro a Gigi, ma qui siamo all'autocannibalismo. Ci consumiamo da soli. Qual'è la vera solitudine?
L'Opera, dunque, è tutto ciò che contrasta questo autocannibalismo. Comincia da ciò che ci sta intorno, e dal nostro interno. Dalla capacità di saper rinunciare. Saper sfidare in noi stessi sul terreno dello spreco. Attuare il minimo di scambio, valorizzare il baratto, la prestarione d'opera reciproca, contenere lo strapotere del denaro. Creare comunità in cui si pratichino regole nuove, o anzi, antichissime. E altro ancora. Ma non fatto con la tristezza della povertà nel cuore, della solitudine che avvelena ogni istante e mina ogni volontà. Al contrario con gli occhi ed il cuore di chi sente la Vetta, con la vogli di fare dei muratori e scappellini, impiegati nell'impresa dell'Opera, cui bastava un pezzo di pane e una broca d'acqua per compiere cose immortali che oggi ancora, noi con tutta la nostra superbia tecnologia rimaniamo attoniti ad ammirare e a chiederci come abbiano fatto. Con l'energia di quei Cavalieri animati da un fare che fosse solo quello secondo Giustizia, a costo della vita, non come noi che per cinque euro siamo pronti avendere la nostra dignità senza pensarci due volte. Per quale ricopensa? Circondati da ammirazione mista a dileggio, da 'fatti furbo!', li ricompesavano la possibilità di riempire i loro occhi stupefatti e in-cantati con la Visione del Graal, la Presenza sempre invisibile, intangibile, immacolata, inviolabile. Come la nostra Vetta, per noi 'malati' di Tracciolino, la piccola Traccia; è la nostra chèrche, senza mai conquistarla, senza metterci una bandierina e dargli un nome. Poichè è risaputo e scritturale che non è nostra la scienza dei Nomi.
Tutte cose che non si fanno se si è vinti dalla rassegnazione. Per questo l'Opera ha bisogno di energie sempre fresche, come un fronte di battaglia; per questo vengono alla mente i Cavalieri di un tempo, passato senz'altro nelle forme esteriori, ma ancora attuale in quelle interiori.


Per leggere il testo evoliano cui qui si fa riferimento:
www.juliusevola.it
http://leucodermis.blogspot.com/2009/05/la-via-interiore-alla-montagna.html

3 commenti:

  1. "Noi, al contrario, importiamo nelle valli, al cospetto delle Vette, al cospetto di ciò che furono Altari Immacolati, le nostre miserie metropolitane, i nostri veleni su scala industriale, la nostra cattività nella dimensione profana, cattività definitiva, ultima, proprio perchè ce ne vantiamo come un merito, e di conseguente lo si porta avanti con orgoglio." Sono d'accordo con questa affermazione, anche se io parto magari da altri punti di vista. Ne faccio ad esempio una questione più pratica: ovvero che la montagna è addomesticata dalle strade, dalle categorizzazioni sportive(questa via e quell'altra via il 6 e il 7 grado), dalla ferraglia di vetta, dai rifugi e dagli impianti di risalita.Da tutto quel consumismo fatto di loghi tipo North Face e Salewa e attrezzatura fantascientifica. La montagna è se stessa quando non la pieghiamo alle nostre esigenze, quando rispettiamo il suo valore wilderness (idea che però viene proprio dal romanticismo americano dell'ottocento e che io porto avanti contro la cultura alpinistica della "conquista"). Per me la cima è solo una parte della montagna e non mi è mai interessato più di tanto l'arrivo in vetta... rifiuto il concetto alpinistico di avvicinamento, perchè seguire un sentiero nel bosco che conduce ai piedi di una parete ha per me la stessa valenza di una scalata. Apprezzo come voi infatti l'alpinismo dei primordi, che si basava su un'attrezzatura rudimentale, fatto di sacrificio e amore per i grandi spazi selvaggi.
    Se volete sapere come la penso vi rimando a questo mio articolo, che più o meno si rifà ad alcune vostre conclusioni ma partendo da matrici culturali e filosofiche diverse....
    Ciao!
    http://leucodermis.blogspot.com/2010/02/dalla-conquista-della-cima-alla.html

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  2. Vincenzo A: Nelle belle parole di questo post si può leggere la tensione verso il superamento di una concezione della vita mortificante per l' Uomo, e la ricerca di altri percorsi. Sentendo una profonda comunanza di vedute voglio comunicarvi che la mia esperienza personale mi porta a dire che questa difficile ricerca non può essere tacciata come banale utopismo.
    Nonostante la mia giovane età, da bambino ho avuto modo di osservare il modo di vivere di alcuni anziani nati all'inizio del 900' in una terra lontana dalla "Modernità" e dal "Progresso" la Lucania terra d' origine mia e di Indio. Ho avuto la grande fortuna di venire in contatto con persone che conducevano un' esistenza improntata ai valori tradizionali, alla ricerca spirituale, che vivevano di legami sociali improntati alla mutua solidarietà, di un rapporto con le risorse ambientali non distruttivo ma parsimonioso e devoto alla tutela della sua integrità. Non ho più riscontrato in nessun altro contesto quell' antica e semplice saggezza e quella olimpica serenità.La cusriosità giovanile mi ha portato ad abbandonare questo mondo arcaico per inseguire in una grande città le illusioni del "Progresso". Ma questi modelli di vita costituiscono un faro che orienta le mie scelte quotidiane e rischiara il mio cammino.
    Un caro saluto.
    Vincenzo.

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  3. Carissimo Vincenzo,
    non so quanri anni tu abbia. Io ne ho 61 suonati, la vita mi proposto i suoi ostacoli, come tutti.Ce ne ho messo per capire diverse cose. Poi una vita passata nell'insegnamento, forse, mi ha dato modo di rivestire l'anima con parole un pochino elaborate. Ma le tue parole hanno un sapore antico, vibrano di una fiamma che rischiara e non possono altro che provenire da un'anima antica e nobile, non importa per niente il dato anagrafico. Posso solo immaginare come siano i vostri monti. Ho visto le fotografie che sono eloquenti e belle. Quelle case disabitate parlano delle cose tu stai evocando.
    Va da sè che per antico intendo 'antiquo' e non 'vetus'. Distinzione di Sant'Agostino, 'antiquo' significa nobilitato alla luce della Verità immutabile, splendore primigenio che rifluge in quegli uomini e qurll'epoca che ti rievochi, risalente alla tua infanzia. 'Vetus' è solo rancido e consunto.
    Gli uomini e le donne che hai nel cuore, e che forse sono un po miei contemporanei, in effetti, non sono rimarchevoli perchè storicizzavili ad un certo periodo, ma perchè hanno avuto la forza di permeare la tua anima e conquistarsi una posizione, sempre piu indelebile, nel tuo cuore. Gli avi di coloro che tu ricordi, riesci ad immaginarli? Vedi è così tutto in cammino che loro risultano come a te risultano quelli che ricordi. E così via, risalendo all' 'indietro'. Ma 'indietro' e 'avanti' non esistono! Chi parla dell'Eterno 'non conosce n' il pria ne' il poscia" (Dante), e dunque a rigor di dottrina, il progresso si espone nella sua massima fragilità non tanto nell'evidenziare le crepe o contraddizioni del suo funzionamento (critica ambientalista, ripristino del Mulino Bianco, animalismo moderno, cioè senza anima, opposizione ai motocross, alle seggiovie, al turismo massa e predatorio e irrispettoso)cose di per sè lodevoli, ma fondate materialisticamente, quanto piuttosto nella convinzione che il suo accanimento anti-metafisico, a lungo andare, coinvolge nella sua distruzione onnivora anche il progresso stesso.
    Ho deciso di vivere in montagna, di avviare una piccola fattoria. Mi sto ancora organizzando. Penso che aumenteremo i capi ovi-caprini, e spero di operare nella direzione della riduzione della dipendenza dalla 'Macchina Infernale'. Le persone come te e Indio, mi incoraggiano e mi danno forza. Mi dicono che non sono solo. Siamo fratelli, come sento sorelle le pietre di quei villaggi che andate fotogrando nel Pollino. Pietre che, ne sono sicuro, a noi parlano tando, dànno tanto e ci riascaldano il cuore.
    A presto. Teniamoci in contatto e informati sulle iniziative.
    Un caloroso saluto,
    Franco Curti

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