giovedì 16 dicembre 2010

FIAT Otomobàil

Il conflitto contrattuale nella Fabbrica Italiana Automobili Torino, quattro parole che corripondono solo con una certa difficoltà con la situazione attuale, sembrerebbe potersi riassumere nell'opposizione tra "contrattazione aziendale" e "contrattazione nazionale".
Questa industria nasce nel 1899, quindi la sua storia è lunga quasi quanto quella del Bel Paese. Nata negli anni della prima industrializzazione ottocentesca; tempi avventurosi, ricca dei primi colpi di mano finanziari e di nascita delle prime banche del Paese in età post-unitaria. L'Italia imparava come si gestiscono le imprese moderne, si comprano, vendono, si svalutano le azioni e i mille trucchi che rendono la nostra epoca essenzialmente senza purezza la sua quotidiane speculazioni borsistiche. Due guerre, il dopoguerra americano fino alla mondializzazione odierna. Che per ultimo sembra farle perdere definitivamente i suoi connotati.
Una epopea che si dissolve nel nulla. Lascia solo ceneri.




Un intreccio che è quasi impossibile riassumere. C'è di tutto e di più della decadenza moderna. Dall'avventurismo giolittiano al corporativismo del Ventennio, dal gramsciano "Ordine Nuovo" e la occupazione operaia e comunista delle fabbriche, la trasformazione antropologica di Torino e dell'Italia del dopoguerra, dalla Balilla alla Topolina, dalla Littorina alla Cinquecento. "Il fondatore della Fiat, Giovanni Agnelli, soleva esprimere tale linea di condotta con la massima 'Noi industriali siamo ministeriali per definizione' ". Ovvio, direi.
Ripercorrerne la storia, nel Secolo delle ideologie è un'opera impossibile. Ogni parola e ogni sentimento soffre di una contrapposizione graffiante, tanto radicale quanto tipica del nostro mondo. Ancora oggi, dico.
Il grande conflitto tra "Capitale e Lavoro" occupa tutto lo spazio mentale. Capitalisti-vampiri e Operai sfruttati esangui. Tertium non datur. Non ci è più nepure concesso di penzare, come faceva ancora P.P.Pasolini, al 'prima' delle catene di montaggio industriali italiane, al Paese contadino, medievaleggiante alla Boccaccio o alla Chaucer. Non gli restava che una desolante, inconsolata, inesorabile 'malattia' delle Borgate. Il Paese come una enorme borgata, un enorme, bidonville sennza speranza, senza futuro. Il Tertium non esiste semplcemente perchè la Storia tutta è vista come una storia di lotta di classi. Ad esser 'ottimisti', una machiavellica-hobbesiana bullum omnia contra omnes, un'unica, costanteguerra di ciuscuno contro tutti. Il "cannibalismo", come lo chiama Gigi. Ma nessuno fa un passo indietro, e mette da parte le ideologie per rivolgersi ad altre forme di pensiero, altre forme dello spirito.
Amava dire il "reazionario" polemista Pasolini, che le trasformazioni urbanistiche fasciste del tipo di Latina o Sabaudia non sono minimamente paragonabili, quanto a devastazione, a un decennio democratico post-belico. Suggestivo invito ad imboccare il tunnel suicida del poeta e regista.
Questa bicameralità cerebrale e ideologica non lascia sopravvivere nulla al nulla. Lo si vede in atto anche oggi in questa opposizione (surrettizia) tra contrattazione nazionale (democratica?) e aziendale (di destra?).
Se la "forza-lavoro" teme ora la 'cinesizzazione' sociale ed economica, non può che prendersela con se stessa, con chi l'ha sempre sostenuta, perchè considerandosi tale, marxianamente, getta le basi della conseguente cinesizzazione. D'altra, (ma teniamo sempre presente, che non è una 'vera' parte 'altra'), perchè mai dovrebbe essere l'Amministratore Fiat Marchionne a dar prove di italianità? L'internazionale non è (stata) una preoccupazione del movimento operaio ("spina dorsale" del regime "resistenziale"-democratico).
Internazionalismo e mondializzazione, due propagande per una sola realtà, da riconoscere, anche quando non piace...



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