giovedì 23 dicembre 2010

Una nuova mangiatoia.

E' la terza. Le due precedenti mangiatoie sono state lentamente ma inesorabilmente distrutte. Come l'acqua chèta che travolge i ponti o la goccia che perfora il granito, il costante lavorio delle capre in stalla è capace di demolire anche i più robusti manufatti. Si intende che sto parlando di stalle 'normali', non scientifiche. Per certi versi, direi, volutamente antiscientifiche.



Non mi andava più di mettere il fieno a terra. Molto andava sprecato, anche se quello che rimaneva a terra serviva da letto; ma per questo ci sono le foglie di castagno. Il più era che non mi andava di farle mangiare dal pavimento, che non è il massimo della pulizia. Così mi sono deciso: ne faccio una terza, stavolta in ferro, voglio vedere se mi distruggono anche questa. Con le capre si impara a migliorare. E' un continuo perfezionamento dei mezzi, finchè non funzionano a dovere.
Ci provo. Taglio col flessibile. Saldo con una vecchia saldatrice ad arco. Lo spazio è poco. Quasi non riesco a muoversi nella cucina che ho adibito a laboratorio. Spazio ormai pieno di oggetti che se devi cercare qualcosa, come dice Bea, ti fa pensare a quel giochetto della "Settimana enigmistica" tipo "Aguzzate la vista"! Poi magari, ma non dopo affannosa ricerca, trovi quel che cerchi. Ma non un tavolo (sgombro)! Non un incudine. Non una morsa da banco. Finisce che i tubolari mi si sforacchiano come burro, anche a bassa intensità, ma non si saldano. Non so come procedere. Un momento di scoramento. Poi l'idea: devo chiedere a Gigi! Dispone di una officina in cui col fratello e il figliolo suo fanno cose straordinarie. Ma ho pudore. Non tanto a chiedere, ormai credo che Gigi sia abituato. Mi dà fastidio l'idea di andare ad intralciare chi seriamente lavora da fabbro, chi lo fa per guadagnarsi onestamente la pagnotta (nonostante tutto! E su questo è meglio stendere un velo di silenzio pietoso, sennò me ne uscirebbero troppe!).
Gli telefono. "Gigi mi dài una mano?" Retorica necessaria. Lo farebbe cascasse il mondo. Ma è giusto informarsi prima, siamo in giorni in cui lo shopping compulsivo raggiunge il parossismo, anche in tempi di crisi.
Il risultato lo vedete nella fotografia. I ferri che ancora luccicano dopo i bagliori della smerigliatrice. Spero di riuscirmi a sdebitare con loro. Anche se so che sarà dura. Una nuova bellissima mangiatoia ora svolge il suo doveroso compito nella stalla. Mi fa piacere pensare che tutte le volte che ci metto su una mano sento la vicinanza degli amici, delle persone care.
Di una cosa non riuscirò mai a sdebitarmi. Del clima che ho assaporato in quella officina. Qualcosa di antico vi aleggiava. Tutti uomini che non si spaventano per il lavoro. Anzi ne vedono una opportunità. Ma non parlo dei guadagni, men che meno quelli facili.





Parlo del gusto. Anzi meglio, magari suonerà bestemmia inaudita alle orecchie nostre moderne, ma lo devo dire, all'amore per il lavoro. Un luogo - questo "Opificio del ferro" - che riunisce uomini col piacere di lavorare. E sottolineo uomini. Spazio maschile, riservato, esclusivo. In cui si può percepire la numinosità, in mezzo ad attrezzi, polvere e rumori, dell'operosità creatrice. La luce commovente che riaffiora nella creatività che l'uomo riscopre, e che la sciocca mentalità maschilista versus femminista moderna ha relegato all'ambito femminile. Lì gli uomini creano, oggi come da sempre. L'avidità mondana di ingrassare il conto corrente bancario non vi gioca alcun ruolo. Il lavoro è gratuito, grazioso, un dono di perfezione , un desiderio di aderire ad un modello che si ha in mente e che poi "vede la luce", in questo senso ispirato. Il martello o il fuoco riversano nel mondo cose buone, e gli uomini sono migliori. Non lottano tra di loro. Non competono nell'odio e nella rivalità. Anzi concorrono in una competizione a suggerire il piccolo consiglio, per fare meglio, per fare più agevolmente, per fare meno fatica e con miglior risultato. Ci si sente parte di una fratellanza i cui abiti possiedono lo stesso odore e le mani lo stesso identico colore.
Per un attimo è un sogno, un gioco, lila in sanscrito, il Gioco con cui Dio intrattiene i Suoi uomini, uniti, fraterni. Come qualsiasi padre vorrebbe vedere i figli suoi. I malsani stridori, la vita malvagia della cosiddetta "civiltà industriale" che riduce l'essere umano a "forza-lavoro", schiavo nell'anima, prima che nella carne, qui per un attimo tutto questo sembra svanito, dissolto come un brutto sogno il mattino. Come farò a sdebitarmi di questo?
Andandomene penso tra me, con cuore deliziato di una nascosta certezza, che peso potrebbe avere avuto sul loro essere solleciti e cortesi, non solo le capacità tecniche, l'amicizia, l'orgoglio virile del mestiere, tutte cose sacrosante, magari anche il fatto che si trattava di costruire una mangiatoia, di entrare in una stalla, lassù sperduta tra qualche valle, tra i boschi innevati dal candido mistero natalizio? Non era forse Janua bifronte il Dio caro ai collegia frabrorum, la corporazione dei fabbri, dell'antica Roma?



E il S. Natale di Gesù non succede nel III-IV secolo d.C. a quello dies natalis Solis Invicti. la Porta solstiziale attraverso cui ri-sorge il Nuovo Sole? Non è la Porta e le Chiavi un gran segreto dell'arte dei Fabbri?
Non è solo nelle mani di S. Pietro, ma anche in quelle, ben più umili, ma forse per questo più preziose, di questi magistri che troviamo la Potestas clavium?

4 commenti:

  1. Franco, sempre suggestivi i tuoi resoconti. Già è vero, la civiltà industriale aliena il lavoro.Porto la mia esperienza. Conosco bene quello di cui parli.
    Mio papà faceva il calzolaio (uno di quei calzolai all'antica, che fabbricava le scarpe a mano), e confrontandomi con la sua esperienza di "maestro artigiano" a volte mi sento io, un laureato, un "ignorante". L'eredità è quella degli antichi attrezzi e delle pelli ammucciate nel magazzino. La nostalgia per l'artigianato è rimasta nel sangue, e da qualche anno ho cominciato a fabbricare anch'io piccoli oggetti come foderi di coltello, portafogli... a mettere tacchi e suole ai miei stivali. Per me stesso o per amici, non per venderli. L'artigianato dà grandi soddisfazioni, perchè hai la soddisfazione di avere qualcosa di "finito" tra le mani: l'hai fatto tu, anche se hai comprato il materiale. Il prodotto è tuo, di nessun altro. E poi col tempo si migliora e si apprende dalla propria esperienza.
    Un caro saluto e auguri di un Natale "fuori dagli schemi...
    indio

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  2. Caro Indio,
    le tue parole mi hanno commosso. Sgorgano dritte dal cuore. Ed al mio sono arrivate. E speriamo anche al cuore di qualcun altro. Quello che mi hai fato è un bellissimo regalo di Natale. "Credevo che fossi morto, ma ti ento ritornato". Non ti infastidisca la mia mielosità. Sarà colpa dell'età.
    Detto questo, al bando i sentimentalismi!
    Parliamo di affari (sic!). Cosa se penseresti se ti ordinassi, ad un prezzo ragionevole, cinque o sei cinture regolabili di cuoio con fibia in ferro cui appendere un campanazzo per le mie capre? Fammi sapere.
    Se poi ci vuoi mettere un fregio di tuo gusto sul cuoio fai tu. La bellezza è utile come la funzionalità.

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  3. Grazie Franco. Ok, si può fare ma mi devi dare tempo. Per i dettagli dovresti darmi la tua mail... così ne parliamo (manda un messaggio anche senza testo a ladrodiombre@gmail.com)
    ciao...

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  4. Caro Franco,
    non vedo per quale motivo tu debba sdebitarti.
    Il nostro rapporto è basato sul reciproco sostentamento, se hai necessità chiedi se ho necessità chiedo, molto semplice. Diversamente credimi avrei parecchie situazioni di sdebitamento da risolvere nei tuoi confronti. Lasciamo correre se ti necessita un aiuto chiedi. Vedila come a te piace definirla "Ore di manodopera prestate, arriverà il momento in cui sarò io a chiedere e tu a rendere le ore ricevute"
    Vivi tranquillo.

    Ciao Franco

    GiGi

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